Luciana Grosso, D la Repubblica 17/5/2014, 17 maggio 2014
SPIN DOCTOR, CARRIERA SEGRETA
Tutti sanno chi sono Tony Blair e Barack Obama. Meno noti – se non tra gli addetti ai lavori – sono i nomi di Alistair Cambpell e di Jim Messina e David Axelrod. Ma se
conoscete i primi, il merito è soprattutto dei secondi. Sono stati loro infatti che, ingaggiati come spin doctor, hanno saputo costruire il consenso, l’immagine e persino la politica dei leader per cui lavoravano con un’opera,
sapiente e invisibile, a metà tra l’artigianato del consenso, l’architettura della propaganda e la guida invisibile dell’opinione pubblica e del flusso dei voti.
Per avere successo, uno spin doctor deve saper essere tante cose insieme: un consulente di immagine, un ghost writer, un portavoce, un consigliere. Deve saper diffondere le notizie buone e far scomparire, o far passare inosservate, quelle cattive; consigliare al leader che vestito o cravatta indossare; scegliere il momento giusto per parlare, quello per tacere e oggi anche quello per postare, twittare.
«Uno spin doctor è uno che annusa l’aria, capisce il clima di opinione e sa trovare le parole giuste per fare in modo che quel clima si trasformi in consenso per il suo cliente. O meglio, uno che riesce a trasformare quest’ultimo nella “risposta” giusta a quello che chiede la gente», spiega uno tra i più affermati specialisti (doctor) dei colpi a effetto (in inglese, spin) italiani, Marco Cacciotto. Fondatore della società Public strategie per il consenso, tra i primi consulenti politici italiani, dal 1996 svolge consulenza per organizzazioni politiche e sindacali, leader, pubbliche amministrazioni, gruppi di cittadini e aziende con interessi pubblici, oltre a insegnare Marketing politico e public affairs alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano.
Agli studenti che aspirano a intraprendere la sua carriera,
raccomanda due cose: «Conoscere bene la politica, anche facendo i volontari in una campagna elettorale, e conoscere i giornali, le logiche che li muovono, i criteri che rendono un evento una notizia».
Politica e informazione dunque come ingredienti base di una formazione che è molto più articolata, fatta di intuito, tempismo e attenzione. Una formula che può dare luogo, in fortunati e talentuosi casi, a ottime remunerazioni. «In cosa consiste il nostro lavoro? Sono mille ruoli in uno, anche se brutalmente si tratta di gestire il flusso di notizie e di eventi nel corso di giornate che, specie in campagna elettorale, non hanno sosta». «Occorre sapere tutto quello che succede, in tempo reale, e poi altrettanto velocemente saper rispondere ai media. Con gli anni si è fatto sempre più difficile: se fino a poco tempo fa le notizie uscivano in finestre temporali ben precise, al mattino sui giornali o con i notiziari
della sera, il flusso ora è ininterrotto: tv all news, social network… Ogni tweet è una potenziale bomba che lo spin
doctor deve individuare, interpretare e disinnescare in tempi rapidissimi».
Un risolutore di problemi, ma anche soprattutto un venditore capace di prendere un politico, un partito o un ideale e trattarlo come un prodotto da vendere. E per vendere come si fa? Ovvio, si carica la propria mercanzia di valori positivi, non è indispensabile che sia vero: basta che lo sembri. Come fece Silvio Berlusconi nel 1994, segnando una nuova epoca per la comunicazione politica: «Oltre all’utilizzo delle (sue) televisioni, introdusse lo storytelling raccontando se stesso, facendo
propaganda». Oggi le cose sono cambiate: «Ci sono nuovi professionisti, con una grande cultura in fatto di comunicazione politica, gente che ha studiato alla virgola la campagna di Obama e che ha nuove competenze».
Che il lavoro stia cambiando lo sa anche una delle pioniere del campo, Patrizia Rutigliano. Ieri, negli anni 90, nello staff del sindaco di Milano Gabriele Albertini, oggi presidente del Ferpi, Federazione Relazioni Pubbliche Italiana. «Quello che difficilmente sa chi si avvicina a questo mondo è che in un decennio è profondamente cambiato: un tempo gli incarichi erano di natura fiduciaria e personale, c’era un singolo che si affidava a un altro singolo. Oggi fare comunicazione è una faccenda molto più articolata, un lavoro di squadra. Per questo ai giovani provo a infondere ottimismo: se il mestiere è tanto cambiato significa che è entrato in una fase nuova, più matura, in cui, cosa rara di questi tempi, ci sono nuove possibilità di lavoro e nuove richieste per nuove competenze».