Paolo Tomaselli, Corriere della Sera 19/5/2014, 19 maggio 2014
ROMULO, IL SOGNO SI È AVVERATO
Romulo Souza Orestes Caldeira, classe ’87, 62 partite (43 da titolare) con Fiorentina e Verona (8 gol), brasiliano tuttofare, con una parlata italiana quasi perfetta e un posto quasi assicurato fra i 23 azzurri di Cesare Prandelli per il Mondiale, oggi arriverà a Coverciano per il ritiro. Se l’aspettava?
«Una piccola speranza ce l’avevo, sì. La sorpresa è stata la chiamata tra i 40 che hanno effettuato i test ad aprile. Ho parlato con Prandelli a Verona, ero in tribuna perché squalificato. Lui mi ha detto che stavano verificando i documenti e che sarei stato chiamato. Sono rimasto veramente molto contento e spero di essere tra i 23 per il Mondiale».
Quella appena terminata con il Verona è stata la miglior stagione di tutta la sua carriera?
«Sì, è stato un anno fantastico, non solo per me, ma per tutta la squadra».
Prandelli punta sulla sua capacità di adattarsi a diversi ruoli e sulla sua corsa, dato che lei nel Verona ha fatto 13 km di media a partita. Cosa può dare lei a questa nazionale?
«Posso fare il terzino destro, il centrocampista, l’esterno alto. La mia utilità in tanti ruoli può essere un vantaggio. Darò il 100 per cento, perché fin da piccolo ho avuto la grinta giusta e la voglia di dare il massimo».
9 luglio 2006, l’Italia diventa campione del mondo per la quarta volta. Lei dov’era?
«In Brasile. Giocavo nella Primavera della Juventude, una squadra di serie A. Sognavo di arrivare in Europa e fare anch’io un giorno la finale di un Mondiale. Ma era un periodo duro, guadagnavo poco anche per vivere. Mi mancava anche il cibo di base. Allora sconfinavo in Paraguay per comprare profumi e creme e rivenderli in Brasile a prezzi più alti. Ma il mio sogno è sempre rimasto intatto, ieri come oggi».
Nelle serie minori brasiliane si parla quasi di «schiavi» del calcio, ammassati nei dormitori e sfamati con poco. Lo è stato anche lei?
«Ho vissuto una storia così quando avevo 13 anni. Ho dormito col materasso per terra e anche insieme a un altro nello stesso letto. Ma non eravamo schiavi, perché diventare calciatori era il nostro sogno, quindi non eravamo tristi. Sapevamo che un giorno presto o tardi ce l’avremmo fatta. Anche se di quei tempi solo un altro ha fatto strada oltre a me».
Una bella scuola di sopravvivenza, non trova?
«Sì, possiamo definirla così».
Dal dormitorio a Coverciano. Quali compagni la incuriosiscono di più?
«Mio padre mi parlava sempre di Buffon e Pirlo. A vedermi lì con loro potrebbe svenire!».
Domanda d’obbligo: l’inno di Mameli lo conosce?
«Abbastanza bene. L’ho studiato e lo canterò certamente».
La lingua l’ha studiata con un professore?
«No, sono migliorato giorno per giorno. Non lo parlo ancora perfettamente, perché è molto difficile. Ma leggo i giornali e dei libri, soprattutto per ragazzi, che mi aiutano a imparare».
In Italia come ci è arrivato?
«Grazie a Pantaleo Corvino che mi seguiva già da un paio di anni quando ero all’Atletico Paranaense. Ero molto contento».
Le sue origini italiane quali sono?
«I miei trisnonni sono nati a Mogliano Veneto, vicino a Venezia, e da lì sono emigrati nel sud del Brasile».
Pensa che qualcuno in Italia possa essere contrario alla sua convocazione, non solo per motivi tecnici?
«Magari sì. Alcuni vogliono vedere una nazionale di soli italiani, non lo so. Ma io ci tengo a dare il massimo sul campo per convincere tutti».
C’è qualcosa in cui si sente italiano?
«L’Italia mi piace tantissimo. All’inizio non capivo niente, ma con mia moglie mi sono messo a studiare e adesso stiamo benissimo. Vogliamo restare qui per tanti, tanti anni. È un Paese molto accogliente».
In cosa si sente un vero brasiliano?
«Sorrido sempre, mi piace scherzare ed essere simpatico con tutti».
Una caratteristica italiana a cui non riesce ad adeguarsi?
«Noi brasiliani mangiamo velocemente. Qui, quando uno si siede, rimane tre ore a tavola!».
Conosce qualcosa della nostra storia?
«Poco, so che l’unità è stata abbastanza recente e che prima eravate tutti un po’ separati».
Pensa che i suoi connazionali non gradiscano il suo passaggio in azzurro?
«Non lo so, ma io con la Seleçao non ho avuto mai un contatto o una possibilità. Quindi non c’è alcun tradimento. Se la nazionale brasiliana mi chiamasse adesso direi di no, perché l’Italia ha creduto in me».
Il Brasile è il grande favorito?
«Difficile da dire, ma quando è partito favorito, come nel 1998, ha sempre perso. Non si sa mai».
Si aspetta un Mondiale di festa o di tensione?
«Credo che la maggioranza dei brasiliani farà una festa indimenticabile. Ma tanti sono arrabbiati, perché manca un aiuto del governo sulla salute e l’educazione. Spero non ci siano incidenti come un anno fa, se no sarà un casino».