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 2014  maggio 19 Lunedì calendario

UCRAINA, PERCHÉ PUTIN NON VUOLE IL VOTO


Il 25 maggio in Ucraina si terranno le elezioni presidenziali. La Russia, già adesso, sta facendo di tutto per evitarle nelle regioni dell’Est e del Sud. Ma se, nonostante tutto, le elezioni si terranno, con una probabilità vicina al cento per cento, la dirigenza russa o non ne accetterà il risultato oppure considererà il nuovo presidente non del tutto legittimo. La Russia è pronta a riconoscere solo un presidente ucraino pienamente sotto il suo controllo, nessun altro andrà bene.
Il quadro di un vuoto di potere creato artificiosamente in Ucraina, emerge a poco a poco. Guardando agli eventi di febbraio-marzo, si intravede un pezzo del puzzle. Molti strani fatti di quei giorni trovano spiegazione soltanto adesso.
La domanda più importante riguarda l’ultima decade del febbraio 2014: perché è scappato l’allora premier filorusso Viktor Yanulcovic? Perché il presidente di una repubblica presidenziale, che controllava tutte le forze armate, è fuggito abbandonando il Paese?
Lui ha detto che la sua sicurezza era minacciata. Ma le telecamere di vigilanza nella villa di Janukovic hanno fissato sui nastri l’inizio dei preparativi qualche giorno prima della fuga. Non è stata una decisione improvvisa, Janukovic si è preparato a scappare, i suoi beni sono stati portati via su alcuni camion. Le cose di valore erano tante che raccoglierle in un giorno solo sarebbe stato impossibile. A metà febbraio, a Kiev, nella via delle Banche, Janukovic incontrava gli ambasciatori dell’Unione europea, discuteva e firmava piani per la soluzione della crisi. Intanto la servitù preparava le valige.
A metà febbraio il Primo Ministro ucraino, Mykola Azarov, fedelissimo di Janukovic, si era dimesso per facilitare la transizione. E partendo, Janukovic, ha portato con sé, via da Kiev, anche lo speaker del Parlamento. Infatti, erano scappati con lui il Presidente del Parlamento ucraino Vladimir Rybak e il Ministro dell’Interno Vitali Zakharcenko. Così i tre rami principali del potere ucraino, la sera del 20 febbraio, erano di fatto decapitati. A questo bisogna aggiungere un dettaglio complicato da spiegare: dopo la sparatoria in piazza Majdan, nel giorno della fuga dei vertici dal Paese, i media russi hanno diffuso la notizia secondo cui gli insorti avevano occupato il Parlamento. La Komsomol’skaja Pravda, sotto la dicitura «dal corrispondente al Majdan», titolava: «Sotto i nostri occhi si è superato il punto di non ritorno». L’articolo cominciava con le parole «I radicali ucraini hanno occupato l’Assemblea nazionale...». Ma la Rada non fu occupata, né in quel giorno né nei successivi. Non furono occupati né l’edificio del governo, né l’amministrazione presidenziale. Sebbene la precipitosa ritirata e fuga delle divisioni «Aquila» che fronteggiavano l’insurrezione popolare, avesse creato, perché ciò si verificasse, tutte le condizioni. L’impressione era che si stesse realizzando uno strano piano, di cui i giornalisti russi erano a conoscenza in anticipo. Se gli insorti avessero occupato i principali edifici amministrativi e non si fosse riusciti a convocare il Parlamento, effettivamente, la legittimità istituzionale sarebbe venuta meno. Sarebbe rimasto solo il presidente, il quale, però, era scappato a Kharkov.
A Kharkov non c’erano agitazioni, al contrario, in città era in corso il congresso dei sostenitori di Janukovic, che aspettavano l’arrivo del presidente. Per Janukovic non c’era, in tutta l’Ucraina, un posto più tranquillo. Ma lui scelse di non apparire in pubblico e continuò la sua fuga da Kharkov a Donetsk, alla Crimea e infine alla Russia. L’unica persona a cui competeva il potere reale e legale era uscito dal Paese.
Non sono un partigiano delle teorie del complotto, penso che i piani complicati, di regola, non arrivano a compimento e che molto della nostra vita è deciso dal caso. Ma un dettaglio sorprendente mi impone di guardare alla fuga di febbraio di Janukovic, non come a un evento nella catena delle casualità ma come a un piano di delegittimazione. Il dettaglio è la medaglia coniata per «il ritorno della Crimea» alla Russia dal ministero della Difesa di Mosca. Più precisamente, le date sulla medaglia, che riportano: 20 febbraio – 18 marzo.
Il 20 febbraio è il giorno della strage in piazza Majdan e della fuga del presidente filorusso Viktor Janukovic. A Kiev non si era ancora formato un nuovo governo ostile a Mosca e filo-Ue, a Sebastopoli non c’erano ancora state manifestazioni di piazza della popolazione locale, i «guastatori» russi non avevano ancora occupato gli edifici del Parlamento e del governo della Crimea. Nessuno degli eventi che hanno portato all’annessione della Crimea e ai grandi sabotaggi nelle zone orientali del Paese si era verificato, ma l’operazione di delegittimazione del potere ucraino di Kiev da parte dei Servizi speciali russi era evidentemente già iniziata e, per il momento, non ci sono segnali che sia finita.
In Ucraina c’è un Parlamento legittimo, eletto nel 2012, e, ora, un governo sostenuto da una maggioranza costituzionale, sebbene sarebbe bastata una maggioranza semplice. Dopo il 25 ci sarà anche un presidente eletto. Ma tutto questo non ha alcun significato per i poteri russi e per i separatisti dell’Est da loro controllati. Barando con le parole, chiamano il governo civile dell’Ucraina «golpista», non lo riconoscono, fanno appello a polizia ed esercito perché non eseguano gli ordini di Kiev.
È chiaro a tutti che gli organi di potere istituiti dai separatisti sono fuori della legge. Ma se anche il potere centrale ucraino è «fuori legge», allora fra due poteri «fuori legge» si può mettere il segno «uguale». È quello a cui mira la propaganda di Putin e, attraverso il ministro Lavrov, la diplomazia di Putin.
Inoltre i separatisti sono pesantemente armati: granate, armi anti-carro, contro-aerea. L’esercito e i suoi comandanti, per contrastarli, hanno bisogno della determinazione e sicurezza che deriva dall’agire pienamente nella legge. Ma questa sicurezza è loro negata dalle chiacchiere sulla illegittimità del governo di Kiev.
A Putin è convenuto accettare i risultati falsificati del referendum organizzato in fretta e furia in Crimea, ma non accetterà i risultati delle elezioni ucraine, per quanto preparate con scrupolo. La Russia sta conducendo nel territorio ucraino una guerra, nella quale si è già sparso molto sangue ma, ancor più, molte bugie. E Putin non ha intenzione di fermarsi, si spargeranno ancora molto sangue e molte bugie. Se la consultazione elettorale non ci sarà o se non ne sarà riconosciuto il risultato, altro non sarà che una operazione di guerra. Non decisiva ma importante.
(Traduzione a cura di Jolanda Bufalini)