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 2014  maggio 19 Lunedì calendario

SAMSUNG LEE III RIACCENDE LA DINASTY DI SEUL


Di sorprese non ce ne dovrebbero essere. Dopo il nonno Byung-chull Lee e il padre Kun-hee Lee, il prossimo a prendere il timone di Samsung sarà proprio il nipote Jay-yong Lee. Un passaggio di mano che potrebbe significare anche un cambiamento (l’ennesimo) per il colosso sudcoreano.
Fondato e gestito dalla famiglia Lee, ad ogni salto generazionale il gruppo ha cambiato pelle: da azienda in espansione per i 50 anni di gestione di Byung-chull a modello d’innovazione per i quasi 30 anni sotto la guida di Kun-hee. Ora che Kun-hee è stato ricoverato in ospedale per un attacco cardiaco, tutti gli occhi sono puntati sul 45enne Jay-yong.
In tanti si chiedono se sia pronto per prendere le redini dell’azienda di famiglia, ma soprattutto che impronta intenda dare alla società.
Ex zuccherificio
Fondata nel 1938, Samsung Sanghoe (letteralmente: «La casa del commercio a tre stelle») nasce come un distributore di generi alimentari con tanto di zuccherificio e lanificio. La svolta elettronica arriva a fine anni 60 con la produzione di un televisore, ma l’embrione di Samsung come la conosciamo oggi arriva negli anni Ottanta: si lanciano pc, videoregistratori e mangianastri e inizia l’espansione verso i mercati esteri. È anche il decennio in cui, dopo mezzo secolo alla guida dell’azienda, Byung-chull passa il testimone a Kun-hee: nel 1987 il fondatore muore e il figlio diventa il nuovo presidente, dopo una lotta dinastica con il fratello maggiore Maeng-hee. Al grido di «Cambiate tutto, eccetto vostra moglie e i vostri bambini», Kun-hee ridisegna le logiche aziendali puntando a una produzione di alto livello e fondando la divisione Electronics. Così dai cellulari si passa agli smartphone (e poi ai tablet), dalle tv digitali alle tv Oled per arrivare fino a quelle 3D.
I successi
Poi ci sono l’alleanza con Google (e il sorpasso di Nokia per produzione di smartphone), il lancio del primo smartwatch. E il primato mondiale nel settore dei beni di consumo, dove il colosso stacca gli altri big da ormai sei anni come sottolinea la classifica «Global powers of consumer products» stilata da Deloitte.
I numeri del 2013 hanno confermato le leadership: Samsung ha chiuso l’anno con un fatturato di 178,9 miliardi di dollari, in crescita del 21,9% rispetto all’anno precedente. Se a livello mondiale la società è una potenza, in Corea del Sud è un leader indiscusso dell’economia.
Grazie ai successi dell’azienda di famiglia e alla sua influenza Kun-hee è diventato l’uomo più ricco del Paese. Alla successione, però, pensa da anni: il figlio Jay-yong è stato designato come futuro presidente già nel 2012. È lui il volto internazionale del gruppo, ed è sempre lui ad aver condotto le trattative con i big internazionali del tech, come Apple o Google.
A livello azionistico, Jay-yong possiede l’11,3% delle azioni di Samsung SDS co (la società che fornisce la tecnologia informatica a Samsung Electronics) e il 25,1% di Samsung Everland, l’holding del gruppo.
Il suo pacchetto di azioni, le missioni di rappresentanza e la carica di vice-presidente lasciano pensare che la transizione tra padre e figlio dovrebbe essere scontata e indolore.
Le sfide
Se Jay-yong pare non dovrà affrontare grandi battaglie per aggiudicarsi la leadership del gruppo, le sfide per la società non mancano. Il settore smartphone, per esempio, va rilanciato: dopo cinque anni di crescita il primo trimestre del 2014 si è chiuso con un rallentamento per quanto riguarda la quota di mercato nel comparto. Colpa, in parte, del Galaxy S4 che non ha convinto gli utenti. Ma pure l’S5 non ha sfondato e, anzi, dopo le critiche sull’estetica del nuovo smartphone, il capo del design ha dovuto dare le sue dimissioni.
Anche ricerca e innovazione arrancano. L’accelerata per essere i primi a lanciare sul mercato uno smartwatch non ha funzionato: il Galaxy Gear non ha conquistato il mercato. Potrebbe andare meglio con i Glass, gli occhiali smart che secondo la stampa sudcoreana Samsung si starebbe preparando a lanciare all’inizio dell’autunno. Anche il delicato equilibrio di alleanze con gli altri big potrebbe essere un grattacapo per Jay-yong. Se con Apple la battaglia passa attraverso i tribunali, con Google la lotta è sotterranea: i due big si spalleggiano, ma più volte (e su diversi fronti) si ritrovano uno contro l’altro. A finire sotto la lente dei critici, infine, c’è anche la struttura stessa dell’azienda: per alcuni è ancora troppo arcaica e gerarchizzata rispetto alle società rivali, vivaci e spesso legate a figure carismatiche piuttosto che a dinastie imprenditoriali.