19 maggio 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - LA RIVOLTA IN LIBIA
REPUBBLICA.IT (ORE 13.23)
TRIPOLI - In Libia è ancora caos, dopo i ripetuti scontri tra forze militari laiche e miliziani islamisti radicali. Nell’attacco portato ieri contro l’assemblea legislativa, due persone sono rimaste uccise e altre 55 ferite. Protagoniste del blitz, forze leali al generale Khalifa Haftar, ex fedelissimo di Gheddafi che, secondo le autorità libiche, sarebbe sostenuto dalle due milizie al-Qaaqaa e Sawaaq, le più grandi di Tripoli, nonostante operino sotto il mandato del governo.
Intanto si susseguono annunci e smentite sulla sorte del Parlamento ad interim. Il colonnello Mokhtar Fernana ne ha annunciato lo scioglimento. Il ministro della Giustizia, Salah al-Marghani, oltre a condannare l’assalto al Congresso nazionale, ha negato che le attività dell’organo legislativo siano state sospese e ha detto che l’attacco al Parlamento non ha nulla a che fare con l’offensiva di Haftar a Bengasi.
A Tripoli la situazione oggi resta tesa. Ieri sera le milizie che appoggiano il governo ad interim hanno sorvegliato i posti di blocco intorno alla capitale, mentre le forze di Haftar sembrano concentrate lungo la strada che porta all’aeroporto e nella periferia meridionale della città. Stamattina gli spari lungo la strada dell’aeroporto si sono attenuati e sembra esserci una calma provvisoria.
Le autorità sembrano determinate a far passare il messaggio che le attività procedono come al solito. Il ministero dell’Istruzione, citando l’agenzia di stampa Lana, nega che gli esami finali delle scuole superiori siano stati sospesi e invita gli studenti ad andare a scuola normalmente.
Intanto, uomini armati hanno attaccato la base aerea di Benina, nella città di Bengasi, ma nessuno sembrerebbe essere rimasto ferito. Di questo attacco il colonnello Saad al-Werfalli accusa gli islamisti radicali e definisce "la situazione finora non grave".
L’instabilità ha evidenti riflessi sullo svolgimento di Lybia Build, fiera a cui partecipano un’ottantina di imprese italiane. Rodolfo Giampieri, presidente della Camera di commercio di Ancona, ha spiegato la situazione a Labitalia. "Abbiamo messo giù poco fa il telefono con la nostra capo delegazione, Vanessa Ficarelli, una delle più esperte in materia di Nord Africa e anche di edilizia. La notte è passata tranquilla e ci ha dato la notizia che la Lybia Build è partita. La fiera dovrebbe durare da oggi al 23 maggio. Da quanto ne sappiamo, la Farnesina e l’ambasciata hanno già pronto un piano B per l’evacuazione dei nostri connazionali se le cose dovessero precipitare".
Nove imprese sono marchigiane e fanno parte parte della missione della Marchet, azienda speciale della Camera di commercio di Ancona, che vanta un bilancio di 60 milioni di export e 50 milioni di import con la Libia. Nella giornata di ieri gli imprenditori marchighiani sono rimasti bloccati all’hotel Corinthia. "La nostra funzionaria si trova lì con i rappresentanti delle nostre aziende - ha spiegato ancora Giampieri -. Da quanto ci ha raccontato Ficarelli, tutti i nostri imprenditori che stavano negli alberghi sono stati rintracciati, stanno bene, la situazione è in ordine".
L’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Buccino Grimaldi, nega che sia stato preso in considerazione alcun piano di evacuazione per gli imprenditori di Lybia Build. "Non siamo a questo livello", spiega il diplomatico all’Adnkronos, raggiunto telefonicamente mentre si stava recando alla fiera, anche se "suggeriremo ai connazionali la massima prudenza". Dal canto suo, la Farnesina, contattata da Adnkronos, si limita a commentare che sono previsti "oltre duecento piani di evacuazione per altrettante situazioni di crisi".
L’ambasciatore usa toni rassicuranti, dicendosi in contatto con i connazionali presenti in Libia per garantire loro eventuale assistenza. "La situazione stamane è migliore, la città sta vivendo con normalità", ha riferito l’ambasciatore, in collegamento telefonico con Sky Tg24. "Il traffico è scarso, ma non si registrano particolari problemi: la situazione è dunque diversa da ieri sera. Dobbiamo vedere se nelle prossime ore si giungerà a un accordo politico e il clima resterà sotto controllo.
"La Libia - ha osservato l’ambasciatore - è a un bivio del suo processo di transizione: da un lato c’è la democrazia, la proposperità, le prossime elezioni parlamentari, la redazione di una Costituzione e un futuro prospero grazie alle grandi ricchezze di questo Paese. Dall’altro c’è invece una conflittualita diffusa e prolungata che aumenterebbe i problemi. Stiamo seguendo e monitorando con la massima attenzione, in contatto con i nostri connazionali".
La Ue, tramite il portavoce di Catherine Ashton, responsabile della diplomazia dell’Unione, si dice "profondamente preoccupata" per "il significativo deterioramento della situazione sia politica sia della sicurezza" in Libia. Nella dichiarazione, la Ashton "deplora la perdita di vite umane a Bengasi e Tripoli", ma non prende posizione sull’attacco al Parlamento, limitandosi a un "appello a tutte le parti per fermare il bagno di sangue e evitare ulteriori violenze" e "a lavorare insieme" per "arrivare a una democrazia stabile".
REPUBBLICA.IT DI IERI
E’ una resa dei conti fra le milizie laiche e i gruppi armati islamisti quella che è iniziata da venerdì a Bengasi e si è allargata drammaticamente a Tripoli nelle ultime ore. Khalifa Haftar, il generale in pensione che da molti è considerato quasi un personaggio da operetta, è solo la facciata di un’operazione che, per le forze che sono scese in campo, potrebbe essere molto più seria del colpo di testa di un ex militare gheddafiano caduto in disgrazia negli anni Ottanta e da allora sopravvissuto negli Stati Uniti fino al momento della rivoluzione.
Nella giornata di domenica a Tripoli ci sono stati alcuni segnali molto chiari: innanzitutto la potente milizia di Zintan si è di fatto schierata col generale, che a sua volta nella battaglia contro le milizie islamiche di Bengasi è stato appoggiato da pezzi dell’esercito regolare e della stessa aviazione che ha bombardato i campi dei fondamentalisti. Zintan, che controlla l’aeroporto di Tripoli, secondo alcune voci potrebbe puntare a prendere anche il controllo dell’altro aeroporto della capitale, quello di Mitiga che è vicino al centro della città, ma che è controllato da milizie filo-islamiche molto agguerrite.
Ci sarebbero inoltre uomini di Zintan fra i responsabili dell’assalto al Parlamento in cui i deputati stavano discutendo la conferma della fiducia al nuovo premier (sostenuto dagli islamici) Ahmed Maiteeq, eletto la settimana scorsa con 121 voti rispetto al quorum necessario di 120 voti sui 200 membri del parlamento libico. Maiteeq è un giovane uomo d’affari di Misurata, preparato e moderno, ma da tutti visto come il cavallo di Troia degli integralisti islamici che nelle ultime settimane hanno rafforzato la loro alleanza con la potente milizia di Misurata e con i capi politici della città.
Il generale Haftar ha fatto dichiarare in serata dai suoi portavoce che la designazione di Maiteeq di fatto è stata un golpe, e che la sua operazione militare è stata decisa per evitare che i "terroristi" si impadronissero dello stato libico. Haftar, 71 anni, aveva frequentato l’Accademia militare a Bengasi prima del colpo di Stato del 1969 di Muhammar Gheddafi. Sostenitore del gruppo di ufficiali che si schierò con il colonnello, Haftar partecipò alla guerra tra Libia e Ciad (1978-1987). Alla testa di un’unità militare, Haftar venne fatto prigioniero dall’esercito ciadiano e sconfessato dal Colonnello: secondo Tripoli, il generale non faceva parte dell’esercito libico. A quel punto intervennero gli Stati Uniti, che con un’operazione semi-clandestina lo liberarono e gli concessero asilo politico.
Dopo vent’anni di negli Usa, Haftar rientrò a Bengasi nel marzo 2011, allo scoppio della rivolta contro Gheddafi. Un buon numero di ufficiali che avevano servito nell’esercito gheddafiano lo sostenne come possibile nuovo capo di Stato maggiore della Libia rivoluzionaria, ma i nuovi capi politici del paese si unirono contro Haftar, di cui non si fidavano. Adesso l’operazione militare lanciata a Bengasi e l’azione concertata con la milizia di Zintan a Tripoli potrebbero di fatto essere una nuova pagina nella Libia del dopo-rivoluzione: l’avvio di una resa dei conti fra milizie islamiche e gruppi laici per la conquista del potere a 3 anni dalla scomparsa di Muhammar Gheddafi.
CORRIERE.IT
Libia sempre più nel caos. Le forze del generale in congedo Khalifa Haftar, dichiarato golpista dal governo di Tripoli e che da venerdì ha attaccato le milizie islamiste a Bengasi, causando 79 morti, hanno chiesto che il Parlamento fermi i suoi lavori e ceda i poteri ad un Assemblea Costituente per definire il testo della nuova Carta libica. Il portavoce di Haftar ha dichiarato che «l’obiettivo dell’attacco sono gli islamisti che proteggono le milizie estremiste che stanno affliggendo la nazione, e il Parlamento che le protegge». L’auto proclamato «Esercito libico» di Haftar ha anche letto una dichiarazione al canale tv «al-Ahrar», in cui respinge la nomina a premier di Ahmed Maiteeq. Almeno quattro razzi avrebbero colpito la sede della tv da dove è stato fatto l’annuncio.
Il Parlamento libico è diviso tra islamisti e non islamisti, che si sono trovati in disaccordo sulla nomina di un nuovo governo e su nuove elezioni.
Nella serata di domenica il governo libico ha annunciato che il bilancio degli scontri seguiti all’attacco del Parlamento a Tripoli è di due morti e di 55 feriti. Almeno 20 tra deputati e funzionari pubblici sarebbero stati presi in ostaggio proprio nell’attacco al parlamento.
Divieto di sorvolo
(Afp)(Afp)
Sono state le forze di Haftar, forse in collaborazione con le milizie di Zintan, ad attaccare domenica il Parlamento, da cui secondo il «Libya Herald» sarebbero stati portati via sette deputati. Il governo libico ha fin da subito accusato Haftar (che chiama la sua operazione «Dignità della Libia» e che agisce per mezzo dell’autoproclamato «Esercito nazionale libico»: leggi l’approfondimento) di voler mettere in atto un golpe e sono stati vietati i voli sulla città orientale della Cirenaica, culla della rivolta che nel 2011 aveva portato alla caduta e alla morte di Gheddafi. Qualunque aereo dovesse sorvolare Bengasi verrà abbattuto, ha avvertito Tripoli, dopo che le forze di Haftar avevano usato anche velivoli per attaccare i miliziani.
Nuove accuse di golpe
Sabato sera il presidente del Parlamento Nouri Abu Sahmein aveva letto una nota nella quale il governo di Tripoli accusava Haftar «di sfruttare l’aumento della violenza a Bengasi per interesse personale» e rinnova le accuse di un tentativo «di rivoltarsi contro la legittimità dello Stato». E ancora, dopo gli scontri a Tripoli, in un comunicato il ministro della giustizia Salah Al-Marghani ha sottolineato che gli scontri di Tripoli «non hanno alcun collegamento reale» con l’offensiva lanciata venerdì dall’ex generale Khalifa Haftar contro gruppi di islamisti radicali a Bengasi, nell’est del Paese, definita dalle autorità un tentativo di colpo di stato.
REPUBBLICA DI STAMATTINA
GIAMPAOLO CADALANU
ROMA .
La Libia è di nuovo nel caos. Il Parlamento è stato preso d’assalto dai blindati, i deputati sono stati costretti a scappare. In azione le milizie di Hiftar: l’ex generale chiede che il General National Congress fermi i lavori e ceda i poteri a un’assemblea costituente per definire il testo della nuova Carta. Per Tripoli si tratta di un golpe. Scontri anche a Bengasi. Il bilancio in serata è di un’ottantina di morti, quasi 150 i feriti.
Gli scontri in Libia NON è bastata la morte di Muammar Gheddafi per scacciare l’incubo della guerra civile: la Libia è di nuovo spaccata, con una fetta del paese e delle Forze armate addirittura all’attacco delle sedi istituzionali di Tripoli, e un’altra fetta che invece difende lo status quo, mentre cresce il ruolo delle milizie islamiche di stampo qaedista. Ieri davanti al Congresso nazionale c’era quello che Al Jazeera ha definito «un campo di battaglia»: le milizie del generale Khalifa Hiftar hanno attaccato il palazzo del Parlamento per «arrestare gli estremisti» islamici.
L’alto ufficiale, ex collaboratore del colonnello Gheddafi poi fuggito negli Stati Uniti e rientrato in Libia solo nel 2011, ha preso la testa del dissenso contro la deriva jihadista di parte del paese: con lui sono schierati i miliziani di Zintan, protagonisti della rivoluzione, mentre gli uomini di Misurata, anch’essi colonna della rivolta anti-regime, sembrerebbero schierati con i jihadisti radicati a Bengasi e in tutta la Cirenaica.
L’attacco al Parlamento è stato respinto, dopo che le forze di sicurezza avevano fatto evacuare i parlamentari. Non è ben chiaro se i militari abbiano preso qualche politico in ostaggio, secondo il Libya Herald in mano ai ribelli ci sono almeno sette parlamentari. Diverse testimonianze riferiscono che le truppe fedeli a Hiftar hanno anche sparato contro una vicina base militare, controllata da una milizia islamista. A tarda serata, Tripoli appariva deserta, con i segni degli scontri vicino al Parlamento e nella zona di Abu Salim e al quartiere della “collina verde”.
Il generale sembra deciso ad andare avanti, convinto che le autorità del Paese non abbiano mandato legale per governare. Il Parlamento è in effetti diviso, con gli islamisti che cercano di
varare un nuovo governo e i laici che vorrebbero nuove elezioni. Proprio poche ore prima dell’attacco, il premier ad interim Ahmed Maiteeq aveva annunciato la formazione di un nuovo governo, che avrebbe dovuto essere votato nei prossimi giorni. Ma dopo quasi due mesi di impasse, a prendere l’iniziativa ci ha pensato appunto Hiftar, venerdì, con un robusto attacco contro gli islamisti a Bengasi: si parla di una ottantina di morti negli scontri, mentre i feriti sono almeno il doppio.
Due fra le milizie più potenti schierate a Tripoli, denominate Al Qaaqaa e Sawaaq, composte in gran parte da miliziani provenienti da Zintan, si sono schierate con il generale. I primi hanno spiegato la decisione con un comunicato apparso su internet: abbiamo attaccato il
Parlamento perché «sostiene i terroristi». I due gruppi avevano già indirizzato un ultimatum ai parlamentari perché sciogliessero la camera.
I vertici libici parlano di colpo di Stato. Nouri Abu Sahmein, presidente del Parlamento, di tendenze islamiche, ne ha parlato alla tv Al Nabaa: «Noi siamo stati eletti per questo ruolo, e lo portiamo avanti. Chi ci attacca colpisce qui e là per far vedere che ha influenza, ma noi e le milizie leali alle istituzioni abbiamo tutto sotto controllo». Secondo fonti di Tripoli, il governo ad interim avrebbe chiesto alle brigate di Misurata, fedeli al Parlamento e di tendenze islamiste, che avevano lasciato la capitale, di rientrare per difenderla.
Dopo la rivoluzione del 2011, l’attività politica libica è stata
spesso paralizzata dagli scontri fra fazioni: le scaramucce fra brigate paramilitari, gli attacchi al Parlamento e persino il sequestro del premier, nei mesi scorsi, hanno bloccato ogni tentativo di stabilizzare il Paese e hanno preso in consegna giacimenti, condutture e porti, riducendo l’estrazione di petrolio da 1,4 milioni a 200 mila barili al giorno. L’attacco di ieri, lanciato da Hiftar con il programma di “ripulire” le istituzioni dalla presenza islamista, sembra un passo ulteriore verso il caos. Già a febbraio il generale aveva suscitato voci di golpe comparendo in pubblico con l’uniforme d’ordinanza per chiedere che un comitato presidenziale fosse investito di poteri governativi per indire nuove elezioni e togliere il paese dall’impasse.
RENZO GUOLO
RENZO GUOLO
LA LIBIA precipita nel caos. Nelle ultime settimane si sono susseguiti assalti al Parlamento, sequestri di parlamentari e minsitri, attacchi di gruppi jihadisti e salafiti. Sullo sfondo, la consueta incapacità del governo centrale di imporre la propria sovranità sulle milizie e sulla Cirenaica, dove i separatisti guidati da Ibrahim al Jadran continuano a controllare parte dei terminal della regione.
L’attacco contro le milizie islamiste radicali dell’ex-generale della riserva Khalifa Hiftar, non è che l’ennesimo episodio di questa infinita transizione. Hiftar punta a catalizzare quanti ritengono di mettere fine alla fibrillazione seguita al post-Gheddafi. Il suo bersaglio è duplice: piegare le forze islamiste, accusare di destabilizzare il paese, e riportare l’Est sotto il controllo di Tripoli. Il governo centrale ha definito questo tentativo «un colpo di Stato»: del resto le forze della Fratellanza Musulmana sono decisive in Parlamento, come ha dimostrato anche la farsesca vicenda della nomina di Ahmed Maiteeq a nuovo primo ministro al posto del premier a interim Abdullah al-Thani, annullata innescando una grave crisi istituzionale. Con il risultato, paradossale, che la Libia si è trovata con due capi del governo, anche se un governo
effettivo non c’è.
Hiftar, che si è presentato come capo dell’Armata nazionale, ha l’appoggio anche di effettivi e mezzi dell’esercito regolare, frustrato dalla sua irrilevanza nell’attuale situazione e dagli attacchi condotti dalle milizie dell’Est contro le sue truppe. Bisognerà vedere se riuscirà a aggregare altre unità. Anche se il capo di Stato maggiore delle forze regolari, Abdessalem Jadallah al-Salihin, ha fatto appello a militari e milizie rivoluzionarie, vero cuore del potere, perché si oppongano contro chiunque tenti di controllare Bengasi con la forza.
Hiftar ha vissuto per vent’anni negli Stati Uniti dopo aver abbandonato, alla fine degli anni Ottanta, il regime di Muammar Gheddafi. Potrebbe essersi mosso autonomamente, puntando a un crescente consenso interno e internazionale se il suo tentativo di «sradicare il terrorismo» andasse in porto. In caso contrario, nessuno si preoccuperebbe della sua sorte. Un tentativo, comunque, destinato a alimentare l’instabilità sulle sponde del golfo della Sirte.