Ernesto Corvetti, Lettera43 18/5/2014, 18 maggio 2014
CINA, IL NEOLIBERISTA
Quando Milton Friedman morì 94enne nel 2006, il New York Times se ne uscì con un pezzo celebrativo che sosteneva quanto segue: il teorico dello “Stato minimo”, dell’inutilità del welfare, dalla privatizzazione della sicurezza sociale, della “mano invisibile del mercato”, il santo patrono del conservatorismo alla Thatcher e alla Reagan, fu in realtà architetto del programma sociale di maggior successo di tutti i tempi. La sua proposta, che chiamò Imposta negativa sul reddito, consisteva nel sostituire tutti i programmi di welfare esistenti con un unico trasferimento di contanti, 6 mila dollari per gli Usa, a ogni cittadino. Soldi: brutti, sporchi e subito. Il disoccupato si sarebbe preso la somma nella sua interezza; il salariato ne avrebbe presa solo una percentuale. L’intento era quello di supportare i meno abbienti (e la domanda) senza incentivare i fannulloni.
Ebbene, questo modello non trovò mai piena attuazione neanche nelle patrie del neoliberismo realizzato; ma in Cina, la trovata del fondatore della Scuola di Chicago ha una sua recentissima applicazione. Se si fa un salto a Sanya, la città più meridionale dell’isola di Hainan, meta turistica à la page, si scopre infatti che il governo locale è poco meno che una filiale dei Chicago Boys.
Dopo aver estratto un buon surplus dai propri conti pubblici, le autorità cittadine hanno infatti deciso di dare ai residenti una sovvenzione una tantum di 360 yuan (circa 40 euro), per aiutarli ad affrontare l’aumento dei prezzi.
In realtà si tratta di un incremento della quota già introdotta a partire dal 2010 e assegnata dopo i primi sei mesi dell’anno, misura cuscinetto contro l’aumento del costo della vita dovuto al boom della località. I soldi andranno a circa 620 mila residenti, compresi i lavoratori migranti e quelli che hanno l’hukou (residenza) nella città anche se stanno altrove.
In pratica la logica è: qui arriva sempre più gente, dai nuovi ricchi cinesi ai miliardari russi; portano tanti bei soldi ma fanno schizzare in alto anche i prezzi; cari abitanti di Sanya, non dite che vi obblighiamo a lasciare le vostre case e ad andare come mingong (lavoratori migranti) in giro per la Cina, beccatevi un po’ di soldi e arrangiatevi.
Per altro, il sussidio di quest’anno costerà alla città circa 220 milioni di yuan, oltre 25 milioni di euro, una percentuale minima del budget di Sanya, dove il solo reddito da turismo ha raggiunto l’anno scorso i 23,3 miliardi di yuan (2 miliardi e 700 milioni di euro) e il suo Pil totale i 37,3 miliardi (4 miliardi e 345 milioni). Ora, se si considera che a differenza della meta turistica che si affaccia sul Mar Cinese Meridionale, la maggior parte dei governi locali cinesi è indebitata, non si vede come anche quei 360 Rmb (40 euro) a testa possano essere erogati altrove.
«La sovvenzione è positiva in quanto dimostra che il governo si preoccupa delle condizioni di vita del popolo», ha scritto Beijing News, riconoscendo tuttavia che «potrebbe non essere la soluzione migliore, ma certamente neanche la peggiore». Ma sui microblog le critiche non si sono fatte attendere: «Non avrà altro effetto che quello di spingere ulteriormente in alto i prezzi. Avrebbe più senso impiegare il denaro per la sanità e l’istruzione», ha scritto qualcuno su Weibo.
PRL’indice dei prezzi al consumo della città è infatti salito del 3,8% anno su anno nel primo trimestre dell’anno. La cifra è di 0,5 punti percentuali superiore a quella del resto della provincia di Hainan e 1,5 in più rispetto al dato dell’intera Cina. Il turismo ha reso rovente il mercato immobiliare e il prezzo medio delle abitazioni in città si era attestato sui 21.060 yuan (2.400 euro) nel gennaio 2012 – a quel tempo risalgono gli ultimi dati disponibili – facendo di Sanya la quinta città più cara a livello nazionale per quanto riguarda il mattone.
Il dibattito che si è scatenato online sul miglior uso dei fondi pubblici non è da poco, perché da qui passa il futuro della sicurezza sociale cinese. I programmi varati finora sembrano andare in direzione di un sistema misto: assicurazioni private sussidiate in parte dallo Stato.
È questo per esempio il caso della copertura sanitaria. Da un lato, si è estesa con un certo successo l’assicurazione alla gran parte della popolazione cinese, che sarebbe già coperta al 95% secondo dati ufficiali. Dall’altro si sussidiano gli ospedali e le strutture sanitarie, affinché offrano servizi all’altezza.
Ma talvolta i soldi spariscono, così ci si trova nella situazione paradossale di malati in grado di pagare le cure che non trovano strutture adeguate e personale sufficiente. Da qui, il diffuso fenomeno di pazienti che si aggirano con rotoli di soldi in tasca per le corsie d’ospedale, a caccia di qualcuno che li stia a sentire, e delle aggressioni ai medici.
Questo problema ha fatto dire a diversi economisti cinesi che sarebbe meglio togliere anche quel barlume di welfare pubblico e agire solo sul fronte della domanda: dare cioè soldi alla gente, privatizzare gli ospedali e lasciarli alla loro sorte, così solo i più efficienti sopravviverebbero e lo Stato risparmierebbe. «La narrativa che va per la maggiore all’interno delle università cinesi è quella neoliberista», ha confermato Steve Cohn, visiting professor statunitense all’Università di Pechino.
Che la soluzione di mercato sia cultura diffusa lo rivela anche il fatto che, proprio a Sanya, i lavoratori non residenti che però hanno aderito per almeno sei mesi al locale programma di assicurazione medica saranno inseriti tra i 620 mila che possono beneficiare del sussidio. Così si incentiva il programma sociale “alla Friedman”.