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 2014  maggio 18 Domenica calendario

PERCHÉ LA GRAN BRETAGNA VOLLE GLI EBREI IN PALESTINA


Durante la Prima guerra mondiale si svolse una accanita lotta tra le navi di superficie dell’Intesa e i sommergibili tedeschi. Il 1° febbraio 1917 la Germania proclamò la guerra sottomarina indiscriminata, comportante l’affondamento senza preavviso di tutte le navi, anche quelle adibite al trasporto di passeggeri o di merci. Questo fatto viene fornito come appoggio alla tesi giustificativa dell’ingresso degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale. Altra versione la darebbe originata dalla dichiarazione di Balfour fatta a Lord Rothschild con la quale veniva formulata la promessa ai sionisti di un focolare in Palestina il che la presupporrebbe come compenso all’ingresso degli Stati Uniti a fianco dei belligeranti che combattevano contro le potenze centrali. Penso che l’accusa di aver scatenato la guerra pronunciata da Hitler il 30 gennaio 1939 alludesse alla seconda supposta motivazione. Vorrebbe approfondire l’argomento esprimendo la Sua opinione? 

Antonio Fadda


Caro Fadda,
Gli Stati Uniti entrarono in guerra contro la Germania il 6 aprile 1917 mentre la dichiarazione di Balfour porta la data del 2 novembre dello stesso anno. Fra i leader del movimento sionista vi fu un grande personaggio della vita pubblica americana, il giudice della Corte Suprema Louis Brandeis. Ma non dette alcun contributo alla decisione interventista del presidente Woodrow Wilson e i suoi contatti con il governo di Washington, in quel periodo, servirono soprattutto a favorire il progetto per l’instaurazione di un protettorato britannico in Palestina dopo la fine della guerra. La tesi secondo cui gli ebrei americani avrebbero agito per ottenere l’intervento degli Stati Uniti nel conflitto appartiene all’arsenale propagandistico di Hitler e di Goebbels.
Chaim Weizmann, leader del movimento sionista in Gran Bretagna, ebbe a sua volta cordiali rapporti con i maggiori esponenti della vita pubblica inglese, ma i principali temi delle sue discussioni furono quasi sempre le condizioni delle comunità ebraiche in Palestina e il futuro status della regione nel trattato di pace. L’uomo che sarebbe divenuto il primo presidente d’Israele dopo la fondazione dello Stato cercò di convincere i suoi interlocutori che gli insediamenti ebraici avrebbero giovato alla politica estera del Regno Unito e, come scrisse nella sua autobiografia, avrebbero salvaguardato il controllo britannico del Canale di Suez. Londra non voleva che tutta la Grande Siria (di cui la Palestina faceva parte) cadesse nelle mani dei francesi. La creazione di un focolaio ebraico avrebbe suscitato maggiori simpatie nel mondo ebraico per la causa alleata e meglio giustificato il progetto di un protettorato britannico. Vi fu quindi, nell’intera vicenda, una buona dose di realismo politico.
Il quadro non sarebbe completo, tuttavia, se non aggiungessi che i sionisti trovarono nella classe politica britannica forti simpatie religiose. Molti degli uomini con cui Weizmann dovette trattare erano cristiani nonconformisti, seguaci delle «sette» protestanti (come venivano chiamate nei Paesi cattolici) che si erano lungamente battute per sopravvivere contro l’egemonia della Chiesa anglicana. Credevano nella seconda venuta del Cristo ed erano convinti che il ritorno degli ebrei nella terra promessa sarebbe stata la condizione necessaria per la realizzazione della profezia. Nelle sue memorie Weizmann scrisse che quegli uomini di Stato britannici «della vecchia scuola» erano sinceramente religiosi e che il ritorno degli ebrei in Palestina rispondeva ai principi della loro tradizione e della loro fede. Hitler non poté capirlo perché odiava gli ebrei, ma anche, e forse soprattutto, perché non era cristiano.