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 2014  maggio 18 Domenica calendario

IL PIÙ GRANDE DINOSAURO DEL MONDO E IL FASCINO DEL PIANETA PRIMA DELL’UOMO


È stato appena scoperto nella Patagonia argentina e non ha ancora un nome, ma il soprannome è già pronto. È il «Big one», quello grosso. Forse il più grosso animale mai apparso sulla Terra. Un bestione alto come un palazzo di sette piani. Lungo il doppio. Pesante come quattordici elefanti africani. Riuscite a immaginarlo mentre si muoveva? E quanto doveva essere imponente il suo mondo perduto?
È impossibile non sgranare gli occhi di fronte alle fotografie con il paleontologo Diego Pol sdraiato di fianco al gigantesco femore, come un Davide vicino a Golia. Si tratta con ogni probabilità di una nuova specie di titanosauro, enorme erbivoro del tardo Cretaceo. L’età delle rocce in cui è stato trovato da un agricoltore suggeriscono che abbia 95-100 milioni di anni. Gli altri numeri dell’identikit, ancora provvisorio in attesa di una pubblicazione scientifica, sono: 20 metri (l’altezza con il collo sollevato), 40 metri (la lunghezza dalla testa alla punta della coda), 77 tonnellate (il peso stimato in base alle dimensioni delle ossa). Non è neppure un esemplare unico. Nel deserto vicino a La Flecha i paleontologi del Museo Egidio Feruglio hanno portato alla luce sette scheletri, per un totale di 150 ossa. Se la sua mole sarà confermata, il nuovo arrivato supera di sette tonnellate l’attuale detentore del record, l’Argentinosaurus, un altro sauropode della Patagonia. Le 70 tonnellate del vecchio campione, inizialmente sovrastimate fino a 100, valgono come un monito: quando ci si imbatte in un colosso si tende fatalmente a credere che sia il più grande di tutti, anche se spesso i primati sono fatti per essere infranti. Calcolare le dimensioni di un animale estinto sulla base di uno scheletro parziale è sempre un azzardo, ma in questo caso la ricchezza dei reperti sembra dalla parte di Pol e del collega José Luis Carballido. E pensare che questa settimana la rivista Plos One aveva già annunciato un’altra specie di sauropode venuta fuori dallo scrigno della terra d’Argentina.
Il fuoco mai spento della dinomania, insomma, si è riacceso. Ma cos’è questa attrazione forte e misteriosa che tanti provano verso degli animali scomparsi dalla faccia del pianeta molto prima che facesse capolino il primo essere umano? I bambini ne conoscono i nomi a memoria: tirannosauro, velociraptor, carnotauro e via continuando. Libri illustrati, giocattoli, mostre, film e cartoni sono altrettante dimostrazioni del rapporto speciale che abbiamo con queste creature, grazie all’alleanza tra scienza e immaginazione. I dinosauri stanno lì, sul confine fra kitch e ricerca di frontiera, con gli scienziati impegnati a misurare la potenza dei loro morsi assassini, riprodurne i vocalizzi, immaginarne la vita sessuale. Secondo la vulgata ci piacciono tanto per tre ragioni: sono grossi, feroci (non tutti) ed estinti. Ovvero sono dei mostri abbastanza pericolosi da ispirare giochi e fantasie divertenti, ma relegati in un passato talmente lontano da impedirci di avere davvero paura. Il grande paleontologo Stephen Jay Gould sosteneva che a fare la fortuna dei dinosauri è stato soprattutto un buon marketing, e non c’è dubbio che Hollywood abbia contribuito parecchio a trasformarli in un mito. È l’effetto Jurassic Park. Ma se c’è qualcuno che è riuscito a spiegare il loro fascino è Brian Switek, che dalla dinomania dell’infanzia non è mai guarito, come testimonia il suo libro «Caro brontosauro». Ben prima che Richard Owen coniasse il termine «Dinosauria» nel 1842, le antiche civiltà avevano già trovato enormi fossili che erano andati ad arricchire leggende e folklore. Poi queste creature hanno continuato a simboleggiare le nostre paure e le nostre speranze.
Per buona parte del ventesimo secolo i dinosauri sono stati descritti come delle corazzate senza cervello. Animali troppo massicci e inefficienti, destinati a soccombere alla competizione con concorrenti più piccoli e dinamici, i mammiferi. Negli anni 70 e 80 è arrivato il rinascimento: le code si sono sollevate da terra, il sangue si è scaldato, abbiamo iniziato a vederli come organismi complessi e flessibili. La storia drammatica dell’asteroide che sessanta milioni di anni fa ha contribuito a spazzarli via per sempre ne ha fatto delle creature tragiche, portatrici di un avvertimento sui rischi che anche l’umanità corre. Mentre il fatto che una parte dei dinosauri sia arrivata fino a noi sotto forma di uccelli è diventata una testimonianza della forza e della resilienza dell’evoluzione. Parafrasando Switek, prendete il titanosauro della Patagonia e in quell’antica creatura troverete la prova inconfutabile che il nostro pianeta ha una storia così profonda che fatichiamo a comprenderla, che la vita è cambiata drammaticamente nel corso del tempo, e che l’estinzione è il destino ultimo di tutte le specie. «Niente come un dinosauro incarna in modo tanto maestoso queste semplici e potenti verità della natura».