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 2014  maggio 17 Sabato calendario


«INTERNET NON SALVA IL MONDO MA L’ETICA SALVERÀ INTERNET»


Si chiama Evgeny Morozov, ha trent’anni ed è bielorusso d’origine. Si è addottorato ad Harvard e il suo aspetto ricorda molto, occhialini, capello cortissimo e look total black, quello di un 
geek , di un super smanettone della Rete. In realtà questo giovanissimo sociologo è autore di uno dei bestseller più critici usciti su Internet negli ultimi anni, ovvero L’ingenuità della rete ( Codice, 2011) ed è appena tornato in libreria con un ponderoso saggio che di nuovo mette i puntini sulle “i” su quelle tecnologie che da molti sono considerate come una possibile panacea a tutti i mali: Internet non salverà il mondo 
(Mondadori,pagg.452,euro 19). È per questo che lo hanno invitato al Wired Next Fest di Milano. 

Dottor Morozov lei è un antitecnologico? È da lì che parte la sua critica alla Rete? 

«Io non sono affatto antitecnologico. Sono preoccupato, invece, di come noi discutiamo di queste tecnologie. Di come si svolge il dibattito sulle medesime. È questo il cuore del mio saggio». 

In che senso? 

«Esiste una visione del mondo, ovviamente propagandata da molti guru e aziende della Silicon Valley, che vede nelle tecnologie digitali la risposta a ogni problema. 
In questa visione, attraverso una riorganizzazione dell’esistenza che passa dalle nuove tecnologie, è possibile monitorare e migliorare ogni comportamento. Io invece penso che questi strumenti non siano neutri, che i loro effetti vadano esaminati in chiave politica ed etica. Che si debba riflettere su chi, e come, ce li mette a disposizione ». 

Il limite di questo approccio è quello che lei nel suo nuovo saggio chiama «Soluzionismo »? Ci spiega cosa intende con questo termine? 

«È un approccio in cui per tutto esiste una soluzione ben precisa e computabile. Tecnica. Spesso si ha a che fare con aziende o istituzioni che cercano di applicare una risposta high-tech senza che le persone riflettano sulla complessità del problema e sulle sue implicazioni. Senza contare i casi in cui la tecnologia genera problemi che non esistono per poi risolverli...». 

Può farmi un esempio? 

«Esistono ormai spazzolini da denti intelligenti o “smart” che raccolgono informazioni su quante la volta l’utente che li possiede si lava i denti e con che intensità... Vengono regalati e possono fornire queste informazioni sia al dentista che alla compagnia assicurativa che copre la polizza di assicurazione sanitaria... Ci sono bidoni della spazzatura che con una telecamera monitorano cosa si butta e se si fa bene la raccolta differenziata... Ho visto un modello di forchetta che calcola con un sensore se mangiamo troppo o troppo in fretta... I nostri dati personali stanno diventando la nuova moneta corrente? Va bene, ma allora cerchiamo di capire come funziona ». 

Un problema di privacy? 

«Quello è solo un pezzo della questione. Quello che si nota di più. Esiste la tendenza a delegare temi di responsabilità personale o collettiva a meccanismi di controllo decisamente discutibili. Meccanismi che piacciono anche ai politici perché gli forniscono l’illusione di qualcosa di oggettivo, misurabile. Sono palliativi pericolosi». 

Ma se la tecnologia avanza e Internet ci mette a disposizioni nuovi strumenti sempre più complessi... 

«La fermo subito. A me il termine Internet non piace. Ci finisce dentro di tutto e alla fine non spiega più nulla. Diciamo così: c’è una proliferazione di strumenti tecnologici e ci sono esperti di questi oggetti che, spesso, alimentano l’idea che non li capiamo e che, quindi, dobbiamo lasciare che siano gli esperti a decidere come usarli. Io penso che invece esiste un livello diverso, legato alla politica, all’etica, alle persone. La maggior parte di noi non sa come funziona un aereo però i governi e le persone prendono lo stesso decisioni su come regolamentare il settore». 

E quindi in concreto cosa dovremmo fare? 

«Laicizzare la rete. Prendere atto che questi oggetti, queste tecnologie, queste “up” non sono automaticamente buone, automaticamente una soluzione. Le faccio un esempio. Nessuno pensa che le banche siano “buone”. Magari pensiamo che siano utili ma sappiamo che il loro scopo è fare soldi e stiamo attenti a quello che ci propongono. I media le sorvegliano e ne scrivono. Rispetto ai prodotti della rete questo livello di controllo non c’è ».
Faccio l’avvocato del diavolo. A ogni rivoluzione tecnologica, a partire da quella della stampa, qualcuno si è preoccupato degli effetti disastrosi. Poi ogni volta i costi si sono rivelati inferiori ai benefici... 

«Vede lo fa anche lei. Io voglio andare al di là di un approccio tecnologico alla questione. Un conto è la tecnologia un conto è il contesto sociopolitico in cui si sviluppa. Io dico che serve una visione etica e politica per sviluppare in senso positivo queste tecnologie. Non va bene pensare che la tecnologia sia un bene a prescindere... Non bisogna credere che sia una soluzione sostituire i politici con i tecnocrati ». 

Dobbiamo continuare a scegliere dei modelli che ci piacciano a livello politico ed etico e solo dopo implementarli? 

«Ci sono modelli che vivono di cooperazione dal basso come Wikipedia e altri che sono start up con fini di mercato... Questi due ambiti, ad esempio, vanno tenuti distinti». 

In Italia ci sono state polemiche su alcune voci di Wikipedia, risentivano delle idee politiche degli utenti. 

«Wikipedia ha delle regole, e io credo siano stringenti, poi ovviamente sulle informazioni intervengono sempre gruppi di persone o interessi che cercano di aggirarle. E di nuovo torna il tema del controllo personale, dell’etica della responsabilità».