Luca Vinci, Libero 17/5/2014, 17 maggio 2014
NUTI: «TORNO CON UN FILM»
Come se fosse emerso da un lungo silenzio. Anche se quel silenzio non è ancora finito. «Io non dialogo, io guardo negli occhi», dice. Chi? Francesco Nuti.
Lui, il Chiaro e lo Scuro. Tutti insieme, dentro di lui.
Lo abbiamo amato, tanto, nei film in cui si innamorava, in cui camminava con la sua giacchetta di velluto e l’aria sempre un po’ randagia. Nei film in cui giocava a biliardo, e sembrava sfidare il mondo intero. Poi le sue storie d’amore, dentro e fuori dal set. I rapporti difficili con i produttori. E quella lacerazione, quel giorno che separa un prima e un dopo nella sua vita, nella sua storia.
La caduta, in casa. C’erano stati i problemi di alcol, la depressione. Ma sembravano superati. Poi quella caduta, un ematoma cranico, le due ore di operazione alla testa. Quasi tre mesi di coma. E il lento ritorno alla vita. Un ritorno faticoso. Una maratona di otto anni per tornare a muoversi.
Parlare, ancora no. Ma le idee le ha molto chiare. Su di sé, sul suo passato, sul suo presente e sul suo futuro.
Oggi Francesco Nuti compie cinquantanove anni. Ma il regalo lo ha fatto a noi. La sua prima intervista. Realizzata via mail, con l’aiuto del fratello Giovanni, una delle persone che più sono state vicine a Francesco. Fratello, amico, medico. E musicista: è Giovanni l’autore di tutte le colonne sonore dei film di Francesco. Francesco, sono stati anni duri, per te. Che cosa ti ha addolorato, nell’atteggiamento degli altri?
«Niente. Da quando sono riemerso dal coma, io non mi arrabbio più. Lascio ad altri questo spreco di energie». Devi fare i conti con delle limitazioni fisiche. Quale ti fa più male?
«Non giocare al calcio. E non parlare. Ma tanto, io sono stato sempre di poche parole».
Cge cosa c’è stato di positivo, se c’è stato, nella battaglia che hai dovuto combattere? Quali amici ti sono stati più vicini?
«Di positivo c’è che sono guarito. Prima, è come se avessi vissuto per dieci anni con la febbre a 39 ̊. Tra gli amici, Giovanni Veronesi, con cui abbiamo scritto tutti i film per vent’anni, è quello che mi è stato più vicino. Ma non è l’unico.
Ci sono gli amici di Narnali, il posto vicino Prato dove vivo, e mio fratello Giovanni. Che ora è qui, accanto a me».
Il cinema italiano ha proseguito il suo percorso. Ha vinto un Oscar poco tempo fa. Quali registi ti sembrano interessanti, adesso?
«Continuano a piacermi Vittorio De Sica e Pietro Germi». C’è qualche cosa, del tuo passato, che non rifaresti?
«Non mi berrei il cervello. Per il resto, non rinnego niente». Leggi libri, vedi film, ascolti musica? Che cosa fai, che cosa hai fatto in questi anni?
«Non leggo, non vedo film. Ascolto la musica di Giovanni, quando mi viene a trovare e gli chiedo di prendere la chitarra».
Qual è la sua canzone che ti è più cara?
«Ce ne sono tante. Ma quella che ora mi appartiene di più è Marilyn. Più che di una donna, parla di un poeta incompreso». Quanto è difficile la battaglia per la riabilitazione?
«Mi diverto un sacco con gli amici della riabilitazione, per me ormai è un gioco». Ti fa paura la solitudine?
«No. Non siamo mai soli».
Qualcuno è scomparso dai radar dopo la malattia?
«Sì, gli aeroplani e qualche topo saltatore. Ma poca roba». In questi giorni, in questi anni hai avuto molto tempo per pensare. Quali pensieri ti vengono più spesso alla mente?
«Che la mia mamma è una grande rompiscatole, ma ha un coraggio da leone». Anche tu hai coraggio. Hai scritto in un messaggio che vuoi realizzare il tuo prossimo film. E che i produttori devono «tirare fuori gli attributi» e produrlo. Che film è?
«Si chiama Olga e i fratellastri Billi. È la storia di due fratellastri, stesso padre, due madri diverse. E di Olga, compagna di uno dei due, bella e spregiudicata. È lei che costringe il suo uomo a una scelta importante, per non perdere l’amore». Chi vorresti al tuo fianco, per aiutarti a dirigerlo, se vuoi qualcuno?
«Al mio fianco vorrei un regista giovane. Che non abbia timore reverenziale, ma neanche si senta in competizione». E come Olga, come protagonista, chi immagini?
«Sarebbe perfetta Penelope Cruz. Appassionata, bella e anche un po’ crudele». Che cosa consiglieresti, oggi, a un ragazzo che vuole fare il cinema?
«Gli direi che il successo passa. Quello che resta è l’amore per l’arte». Che cosa auguri a tua figlia Ginevra?
«Di non farsi fregare dalla vita».
Quando Ginevra ha cantato Sarà per te al PalaMandela a Firenze, nella festa che hanno organizzato per te Pieraccioni, Conti, Panariello e Masini, cosa hai pensato?
«È qualcosa che le parole non riescono a dire».