Sergio Romano, Corriere della Sera 17/5/2014, 17 maggio 2014
STATISTICHE SULL’OCCUPAZIONE IL MISTERO DEI QUINDICENNI
Ogni volta che sento parlare di disoccupazione giovanile, che non è certamente un’invenzione ed è un problema ovviamente grave, tra i ragazzi dai 15 ai 24 anni rimango esterrefatto. Perché 15 anni? Ma nel nostro Paese non c’è la scuola dell’obbligo sino a 16 anni?
A parte questo, se un diploma (liceale o professionale e non tanto come fine per avere un pezzo di carta, ma per aver avuto il tempo di apprendere qualche cosa) lo si consegue a 18-19 anni non è lecito domandarsi che cosa mai sappiano fare i ragazzi a 16 o 17 anni? A che posto di lavoro aspirano? Eppure molte offerte di lavoro ci sarebbero anche per loro. Molti artigiani, infatti, chiedono mano d’opera giovane a cui insegnare un mestiere. I panettieri, per esempio. Sembra, però, che questi non siano posti ambiti: tutti dicono che ci si dovrebbe alzare troppo presto... Ma come questo, ci sono molti altri mestieri: anche i meccanici, i falegnami, i fabbri, i calzolai ecc. cercano ragazzi da far crescere. Ci si ritrova, invece, con queste attività che tendono a scomparire. Domando quindi al governo e ai sindacati: perché non ripristinare l’apprendistato come mezzo per imparare un mestiere, così com’era negli anni 50 e 60? I giovani, magari, venivano sfruttati per un certo periodo, ma imparavano a lavorare, mentre prima non sapevano fare niente. Ripeto, preoccupiamoci della disoccupazione, ma non strumentalizziamola per fini politici e facciamo una vera analisi dei dati.
Giuliano Sassa
Caro Sassa,
Devo fare anzitutto una premessa. La fonte dei dati sulla disoccupazione non è soltanto nazionale. Esiste un istituto europeo – Eurostat – che fu creato negli anni Cinquanta per le esigenze della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) ed è divenuto nel 1958 una direzione generale della Commissione di Bruxelles. Un istituto europeo che utilizza per le sue indagini statistiche gli stessi criteri e le stesse definizioni è indispensabile per rendere i dati omogenei e quindi comparabili. Ho fatto una piccola ricerca, anche presso l’ufficio studi della Cgil e ho preso nota di alcune denominazioni che servono a una migliore lettura.
I disoccupati sono quelli che ricercano lavoro e non l’hanno ancora trovato. Gli inoccupati sono quelli che non hanno una occupazione, ma non risultano avere fatto una domanda di lavoro. Vi è anche una categoria composta da quei giovani che non sono più impegnati negli studi, non stanno facendo uno stage e non hanno ancora un lavoro. La sigla che li definisce in inglese è: Nieeot ( not in education, employment or training) .
La statistica sulla disoccupazione si calcola in percentuale sul numero delle persone che sono alla ricerca di un lavoro. Nel gruppo dei giovani dai quindici ai ventiquattro anni la categoria dei quindicenni, soprattutto nei Paesi dove esiste un obbligo scolastico fino ai 16 anni, è vuota. Ho chiesto perché la definizione non sia stata modificata e mi è stato risposto che è parso preferibile mantenere il nome di una serie storica con cui è utile fare confronti. La risposta non mi è parsa del tutto convincente. Se i quindicenni sono ancora a scuola, non capisco perché debbano fare parte di un gruppo a cui non appartengono. Aggiungo che in questo gruppo, di cui fanno parte anche gli universitari, il numero degli inoccupati è probabilmente molto elevato.
Per concludere, caro Sassa, ho l’impressione che questi dati non siano bombe da buttare nella società italiana ogniqualvolta si vogliono lanciare segnali d’allarme o di ritrovato ottimismo. Le statistiche sono spesso meno chiare di quanto non appaia a prima vista.