Luigi Ripamonti, Corriere della Sera 17/5/2014, 17 maggio 2014
PERCHÉ SIAMO QUATTRO ANNI PIÙ LONGEVI DI UN AMERICANO?
A dispetto di difficoltà e pessimismo imperanti l’Italia si conferma fra i Paesi in cui si vive più a lungo.
A certificarlo sono le World Health Statistics 2014 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo il rapporto le bambine nate nel nostro Paese nel 2012 hanno una speranza di vita di 85 anni, e i bambini di 80,2. Per fare un paragone significativo, i nostri attuali «duenni» hanno la prospettiva di vivere in media 4 anni in più dei loro coetanei nati negli Stati Uniti d’America, dove l’aspettativa è di 81 anni per le femmine e di 76 anni per i maschi.
La classifica generale per gli uomini registra una situazione migliore della nostra soltanto in Islanda (81,2 anni ), Svizzera (80,7) e Australia (80,5). Nel «campionato» femminile stravincono le giapponesi (87 anni), mentre le signore di Spagna, Svizzera e Singapore precedono le nostre di appena un decimale a 85,1. I dati combinati danno per l’Italia un’aspettativa di 82,6 anni, dietro solo a Svizzera (82,9) e Singapore (82,65). A livello globale i valori medi sono 73 anni per le donne e 68 per gli uomini, ma se un bambino nato in un Paese ricco vive intorno ai 76 anni, uno che nasce in un Paese povero non supera i 60.
Come si spiegano gli ennesimi risultati positivi in questa classifica di un’Italia per tanti versi «in crisi»? «Per cominciare con il fatto che, comunque, rimaniamo un Paese più ancorato di altri a una dieta di stampo mediterraneo, che è la più efficace nella prevenzione di malattie cardiovascolari e tumori» commenta Giuseppe Paolisso, presidente della Società Italiana di Geriatria. «Ma anche con gli effetti di una serie di politiche sanitarie iniziate già 20-30 anni fa nel nostro Paese, con l’adozione dei piani nazionali di prevenzione e con l’attuazione degli screening per la diagnosi precoce dei tumori» sottolinea Giuseppe Ruocco, direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute.
«A questo va aggiunto che il nostro Sistema sanitario è uno dei pochi a essere allo stesso tempo moderno e universalistico» precisa Niccolò Marchionni, presidente della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica. «Se consideriamo entrambi i parametri abbiamo uno dei migliori Servizi sanitari del mondo e questo ha un enorme impatto sulla vita media. Prova ne sia che in una nazione come gli Stati Uniti, dove le tecnologie in campo cardiologico sono le migliori del mondo ma non c’è un sistema sanitario ad accesso universale, il tasso di mortalità media per malattie cardiovascolari non è molto diverso da quello dell’Albania. E quelle cardiovascolari, insieme ai tumori, sono le patologie che influenzano di più la vita media nei Paesi in cui è stata abbattuta la mortalità infantile».
Ma non sarà anche una questione di geni? «Il pool di geni che “circola” in Italia è probabilmente buono in termini di longevità, ma si stima che possa pesare non più del 20-30 per cento sull’aspettativa reale di vita» chiosa Paolisso. «Quello che conta di più è ovviamente l’altro 70 percento — conferma Marchionni —. Non solo perché rappresenta la quota maggiore, ma perché è l’unico su cui si può intervenire, e che quindi può fare davvero la differenza fra nazione e nazione. Considerazione che assume un valore ancora più significativo se si valuta anche la qualità della vita e non solo la quantità».
«Secondo dati europei recenti, non ancora pubblicati, che valutano l’aspettativa di vita in rapporto all’aspettativa di vita senza disabilità — puntualizza l’esperto — la Finlandia, per esempio, ha un’attesa di vita non molto diversa da Italia e Spagna, ma la sua attesa di vita con disabilità è molto maggiore. In altre parole: i finlandesi vivono più o meno quanto spagnoli e italiani, ma trascorrono più anni “da malati”, e su questo parametro l’influenza di stili di vita, prevenzione e accesso a cure efficaci, è molto maggiore di quella dei geni che si possono ereditare da genitori longevi».