Marco Cremonesi, Corriere della Sera 17/5/2014, 17 maggio 2014
«SMENTISCI LA ARIOSTO, SARAI SINDACO DI MILANO» DOTTI, QUEI 16 ANNI DI SODALIZIO CON L’EX CAVALIERE
MILANO — «Smentisci la Ariosto e io ti faccio sindaco di Milano». Il libro inizia così, con il momento della crisi — innescata dall’affaire Ariosto — e con una proposta indecente. Un’offerta abnorme che viene circostanziata: «Ti metto a disposizione i miei telegiornali, basta una tua semplice dichiarazione». Chi racconta è Vittorio Dotti, avvocato e amico di Silvio Berlusconi dal 1980 al 1996, che ripercorre gli anni trascorsi a fianco dell’ex premier: «Una corsa a perdifiato senza mai voltarsi indietro e che solo alla fine ti dà la misura della strada fatta, delle difficoltà superate, dei traguardi raggiunti». L’avvocato del diavolo , il libro scritto da Dotti a vent’anni dalla fatale discesa in campo dell’amico Silvio, al di là di come ciascuno la pensi — per molti «zelanti servitori» dell’ex Cavaliere, Dotti fu il primo, archetipico traditore — è un documento assai interessante e con il pregio grande di farsi leggere di corsa.
Perché apre un sipario su quella Milano dei primi anni Ottanta in cui Silvio Berlusconi si fa avanti a grandi falcate in un’ascesa che appare ben presto non resistibile, propiziata dalle tivù gemmate quasi per miracolo dalla televisione via cavo di Milano 2, Tele Milano. Che ben presto diventa una antenna che sembra nazionale ma non lo è. Le trasmissioni vengono registrate in anticipo e le cassette inviate via corriere a varie emittenti, che le trasmettono in contemporanea: «Una diabolica coglionata, ma tutti se la bevono senza fiatare».
Le citazioni che aprono il libro — di Berlusconi e dello stesso Dotti — in qualche modo sono ingannevoli. Fanno pensare a un rancore lungamente distillato, a un tappo che salta quando l’imperatore è già stato messo a nudo. E invece è un memoriale pacato, un racconto in cui fatti e persone vengono tratteggiati per quello che sono, restituiti senza sconti dall’esperienza diretta, ma senza alcuna animosità e neppure l’urgenza di fornire la propria versione di fatti che pure hanno segnato indelebilmente la vita dell’autore. I protagonisti dei primi capitoli sono gli amici che hanno accompagnato l’ascesa del re di Mediaset: Marcello Dell’Utri, allora una sorta di factotum che viveva nella villa di Arcore. Il «moderatore» Fedele Confalonieri, compagno di liceo e unico in grado di contenere le fughe in avanti del giovane imprenditore. Cesare Previti, «l’altro» avvocato le cui manovre sul Tribunale di Roma provocarono la rottura tra Berlusconi e Dotti. Filippo Rapisarda, il costruttore siciliano «dalla fedina lunga due metri» le cui vicende finirono per collidere con quelle degli uomini più vicini al Cavaliere. L’«oscuro antennista brianzolo, Adriano Galliani». E poi la prima comparsa di Veronica Lario, futura moglie ma allora soltanto attrice.
Quel che non sa, Dotti non può raccontare: sulle famose 22 holding che custodivano il capitale di famiglia dice onestamente di non sapere nulla. Ma quando chiede a Berlusconi: dove hai preso i soldi? la risposta suona sincera: «Come fanno tutti». Non c’erano i soldi per costruire? «Non c’era che una soluzione, vendere sul progetto!». Lui e Confalonieri. Ricevevano i clienti direttamente sul prato. «Ma dov’è la casa?» chiedevano quelli, un po’ spaesati. «La casa non c’è» annunciava Silvio. «Però possiamo provare a immaginarcela».