Fabio Di Chio, Il Tempo 19/5/2014, 19 maggio 2014
POCHI PENSIONATI, TANTI AMMAZZATI. LA FINE DEI CAPI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA
Più morti che vivi. Tanti sono andati in pensione e parecchi sono stati ammazzati. Capi, gregari, «soldati», pentiti, sedicenti eredi. Chi è stato nei ranghi della vecchia banda della Magliana è finito male. O almeno questo è il destino che è toccato alla maggior parte dei personaggi che hanno affollato la platea criminale. Spesso vittime di guerre interne, per il potere che ha mostrato miraggi di onnipotenza a chi voleva vederli, e dal di dentro e con violenza ha finito per divorare ogni ambizione. Il primo morto illustre della serie è proprio chi ha posato la prima pietra della banda, Franco Giuseppucci, detto «er Fornaretto » perché figlio di un fornaio di Trastevere, poi chiamato «er Negro ». Ha dato un orizzonte da boss a quei delinquenti che poco prima facevano paura nei loro quartieri ma non vedevano oltre la canna della propria pistola. Iniziò a lavorare come buttafuori di una bisca clandestina di Ostia, a nascondere e trasportare armi per conto di altri criminali e di terroristi neofascisti legati ai Nar. Nel 1976 mise assieme Enrico De Pedis, di Testaccio, e Maurizio Abbatino, della Magliana, formò l’organizzazione che ha scalato il malaffare di Roma. I tre scalzarono gli altri, fecero guerra agli avversari del clan Proietti, i pesciaroli . Fino al 13 settembre dell’80, quando fu Giuseppucci preda dei suoi nemici.
Er Negro viene ucciso in piazza Santa Maria in Trastevere mentre sale sulla sua Renault5. Con lui se ne va il capo carismatico, l’ideatore del grande progetto del terrore, del sequestro nel novembre ’77 del duca Massimiliano Grazioli Lante, che ha riempito le casse della «fratellanza nera» coi soldi del riscatto, riversati negli interessi sporchi della Magliana. Nel febbraio di un anno dopo, al Tiburtino, il sangue scorre ancora. Stavolta a rimanere sull’asfalto è il sorvegliato speciale Antonio Leccese. È un altro regolamento di conti. Ma non è l’unico cadavere che viene ritrovato. C’è un altro morto eccellente. Gli investigatori lo scoprono i primi di marzo, alla foce del Tevere. Il corpo è pieno di tatuaggi. È grazie a questi che chi indaga arriva al nome dello scomparso. Si chiama Nicolino Selis, noto pregiudicato di Ostia. Nella banda voleva contare troppo nella banda, imporre le sue conoscenze, la sua visione criminale. Invece è stato ammazzato, preso a mazzate e finito con un colpo di pistola esploso a distanza ravvicinata. La sequenza tragica non si placa. Nell’82 il gruppo perde un altro pezzo da novanta. È Danilo Abbruciati, 38 anni. Il delitto sembra piuttosto un incarico professionale. È andato a Milano per fare fuori il vicepresidente e direttore generale del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone. Però le cose sono andate in modo diverso. Ha esploso un colpo, ha ferito il bersaglio alla gamba e mentre assieme al complice stava per scappare, l’autista del ragioniere ha afferrato la sua 357 Magnum e ha avuto una mira migliore. Nel febbraio ’83 tocca al pregiudicato Angelo De Angelis, trovato bruciato in un’auto vicino a un ristorante di Grottaferrata, prima freddato a colpi di pistola da due persone che impugnavano armi di differente calibro.
In questi pochi mesi le vittime finite sotto terra sono state tante altre, alcune emerse nel corso dei processi che hanno fatto luce sulle trame oscure dell’organizzazione. Abbatino e l’altro della banda Vittorio Carnovale sono stati giudicati dal collegio della terza Corte di Assise per gli omicidi di Giuseppe Magliolo, a Ostia il 24 novembre 1981, Claudio Vannicola (Roma, 23 febbraio 1982), Fernando Proietti (Roma 30 giugno 1982), Angelo De Angelis (Grottaferrata, 24 febbraio 1983) e Michele D’Alto (Roma, 31 luglio 1982). E la guerra interna non finisce. È spietata. I conti al vertice si regolano con le pallottole. Nell’89 rimane a terra Edoardo Toscano. Nel ’90 è la volta di " Renatino " Enrico De Pedis, crivellato in via del Pellegrino. La banda comincia a sfaldarsi. Claudio Sicilia si pente, racconta tutto ai poliziotti sperando di ottenere un lasciapassare per uscire fuori dai guai. Invece ci entra in maniera definitiva, giustiziato dai suoi ex complici. Nel ’92 i sicari premono il grilletto pure al Trullo, sulla Portuense, contro Francesco Mazza, er Monchetto . La lugubre lista non si ferma. Ci entrano i personaggi che prima sedevano nella terza fila dell’organizzazione e ora si ritrovano nella prima, nei panni di eredi, veri o presunti. Nel ’96, a Ostia, è la volta di Ottorino Addis. Nel 2002, ancora sul litorale romano, crolla Paolo Frau. Due anni dopo Giuseppe Valentini ( «er Tortello »), e dodici mesi più tardi ad Antonello Fa. Nell’aprile 2012 non trova scampo Angelo Angelotti, 62 anni. Non è ucciso per vendetta, ma mentre tenta la rapina a due gioiellieri, a Mostacciano. È la fine dei criminali pensionati. E ieri ha chiuso gli occhi l’altro reduce Gianfranco Urbani, per morte naturale. «Era più un uomo di chiacchiere che di pistola - dice il sostituto procuratore presso la Corte d’Appello di Roma, Otello Lupacchini, negli anni della Magliana giudice che firmò gli arresti dell’operazione di polizia che smantellò l’organizzazione - Ebbe qualche problema quando morì Angelo De Angelis: dimostrò poca discrezione, fu incaricato di sistemare il cadavere da qualche parte, ma lo fece Girlando bruciandolo nel parcheggio della sua villa, a Grottaferrata. Quando papa Wojtyla visitò i detenuti nel carcere di Regina Coeli, Urbani era lì, faceva parte del picchetto d’onore, era in carrozzella. Quando vide il pentito Abbatino si avvicinò per salutarlo e lo baciò chiedendogli sottovoce se rientrava in una certa lista. Lui rispose che era stato graziato».