Pietro Saccò, Avvenire 18/5/2014, 18 maggio 2014
USA-UE, QUEL LIBERO SCAMBIO CHE CAMBIERA’ L’ECONOMIA GLOBALE
Ogni famiglia europea ci guadagnerà, nel migliore dei casi, 45 euro al mese. In cambio però dovrà accettare qualche sgradevole notività. Come trovarsi nel piatto la carne di mucche gonfiate di steroidi o scoprire che a qualche chilometro da casa le multinazionali del petrolio stanno pompando liquidi esplosivi in profondità per tirare fuori lo shale gas. Impostato in questo modo, il dibattito sul Ttip non lascia alternative: non ci si può che opporre a questo negoziato per la creazione di un’area di libero scambio tra Europa e Stati Uniti. Per fortuna la questione del ’Transatlantic trade and investment partnership’ ( Ttip, appunto) – i colloqui riprendono domani – è più complicata, abbastanza da meritare di essere salvata dalla distruttiva e ripetitiva battaglia tra complottisti no-global e hooligan del mercato senza regole.
Non è facile strappare questo negoziato da scontri dialettici disordinati. C’è un problema di partenza: sono passati dieci mesi dall’inizio delle trattative e dei contenuti del Ttip si sa ancora pochissimo. È inevitabile, spiegano fonti di Bruxelles coinvolte nel progetto: per arrivare a un’intesa i negoziatori hanno bisogno di trattare senza sentirsi quotidianamente addosso le pressioni della politica e dei diversi gruppi di interesse coinvolti (come possono essere le imprese, i sindacati, le associazioni dei consumatori). Per quanto Karel De Gucht, commissario europeo per il Commercio – e quindi primo responsabile del negoziato – si sforzi di ripetere che non si era mai vista tanta trasparenza attorno al cantiere di un trattato commerciale internazionale, il fatto che una trentina di alti funzionari dell’Ue stiano negoziando con i loro colleghi americani accordi sullo scambio delle merci e dei servizi senza rendere puntualmente conto del loro operato agli eletti (cioè al Parlamento europeo, i cui membri possono consultare le carte ma non copiarle) crea un clima di mistero dove le teorie del complotto possono crescere floride.
Fino ad arrivare alla storia della carne con gli ormoni, che secondo gli antagonisti del Ttip gli Stati Uniti starebbero imponendo a forza ai cittadini europei. «La carne è fuori dalla trattativa. Così come l’agricoltura geneticamente modificata. C’è già una legislazione europea su questi temi, e secondo il mandato che ci ha dato il Parlamento non trattiamo, perché le regole europee non cambieranno. Davvero non capisco perché c’è chi continua a dire il contrario» assicura De Gucht.
I veri problemi del Ttip non sono le mucche o il petrolio, ma questioni burocratiche meno intriganti. Da Bruxelles ammettono per esempio che ci sono tre i temi su cui il negoziato è davvero difficile: gli appalti pubblici, che negli Usa hanno regole diverse da uno stato all’altro; le indicazioni geografiche per vino e cibo, che sono inconcepibili in una cultura dove i prodotti sono protetti dai trademark; l’apertura del mercato dei servizi, contro cui si stanno muovendo le lobby di entrambe le sponde dell’Atlantico. La cancellazione delle barriere doganali è in effetti la cosa più semplice. Il grosso del lavoro è l’armonizzazione delle regole. Ci sono casi, come quello degli Ogm, in cui le regole americane e quelle europee sono diverse per una precisa volontà politica. Su questi ambiti non si tratta. La trattativa è aperta invece sui tantissimi settori in cui Europa e Usa si sono dati regole diverse per raggiungere lo stesso obiettivo. L’esempio più citato è quello della protezione degli automobilisti: sia Bruxelles che Washington esigono che le auto siano costruite per garantire la massima sicurezza a chi è a bordo. Le regole previste per raggiungere quell’obiettivo però sono diverse, e questo costringe i costruttori di auto a dedicare del tempo e dei soldi all’adeguamento delle macchine per il mercato di destinazione. Il negoziato punta ad arrivare a regole unitarie che eliminino questi costi aggiuntivi. In altri ambiti l’armonizzazione delle regole è più complessa. Ad esempio nella chimica gli Stati Uniti sono molto più lassisti dell’Europa, quindi Bruxelles punta ad armonizzare le regole su aspetti specifici senza arrivare a un quadro che valga per l’intero settore. Discorso a parte, su Avvenire lo tratteremo in una seconda puntata, merita la trattativa sugli arbitrati internazionali. Quello che preoccupa di più i negoziatori è il tempo a disposizione. Sono diciotto mesi, settimana più settimana meno, poi inizia la campagna presiomani denziale americana e tutta la trattativa sarebbe rimessa in discussione.
Visto da Bruxelles, ma anche da Washington, il Ttip è un accordo in qualche modo difensivo. Le economie “mature” — cioè Europa, Stati Uniti e Giappone — fanno maledettamente fatica a crescere. Servono carburanti per fare andare il Pil. Una grande liberalizzazione degli scambi tra le due aree che restano le più ricche del pianeta potrebbe essere un combustibile potente. I centri studi a cui l’Europa si è rivolta per capire i possibili effetti benefici del Ttip hanno scritto che un’intesa potrebbe portare una crescita dei Pil da 0,3 a 1,3 punti percentuali. Lo studio più autorevole, quello dell’inglese Centre for Economic Policy Research, stima in 120 miliardi di euro all’anno i benefici per l’Ue e in 95 miliardi quelli per gli Usa nel 2027. Naturalmente non sarebbe un ’bonus’ una tantum, ma gli effetti positivi sarebbero permanenti. Se quei soldi fossero divisi equamente tra i nuclei famigliari d’Europa, sarebbero 545 euro a famiglia. I negoziatori dovranno essere abili per lasciare che quella stima si trasformi in un dato reale e fare in modo che quel denaro vada finire davvero alle famiglie e non soltanto a qualche colosso industriale abbastanza grande da potere approfittare dell’apertura dei mercati.