Antonio Maria Mira, Avvenire 18/5/2014, 18 maggio 2014
STOP ALLE NAVI MADRE, TORNANO I BARCONI
L’ultimo colpo alle organizzazioni criminali dei trafficanti di uomini è arrivato due giorni fa a Reggio Calabria con la condanna a 7 anni, da parte del gup Cinzia Barillà, di nove egiziani, l’equipaggio della ’nave madre’ bloccata il 15 ottobre 2013 al largo di Capo Spartivento dopo aver trainato un barcone con 226 migrati, tra i quali 75 minori. Condanna importante, non l’unica (vedi altro articolo) che colpisce alcuni degli oltre 200 scafisti arrestati dal 13 ottobre 2013, data di inizio dell’operazione ’Mare nostrum’. Arresti in aumento: erano stati 200 in tutto il 2013 (anche prima della partenza dell’operazione), sono già più di 130 nel 2014.
La condanna di due giorni fa è il frutto di una delle prime azioni in alto mare e sono molto soddisfatti i magistrati reggini perché ha retto l’interpretazione delle Convenzione Onu contro il crimine organizzato transnazionale, firmata a Palermo nel 2000 che prevede l’intervento per i reati associativi anche fuori dalle acque territoriali. E infatti la condanna è stata per associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina, così come chiesto dai pm Paolo Sirleo e Annamaria Frustaci. È la stessa strada imboccata dalla procura di Catania che ha già operato due sequestri in alto mare, interventi che hanno incassato il sostegno della Cassazione che lo scorso 28 marzo ha sentenziato che sono di competenza delle autorità italiane le indagini sui reati commessi in acque internazionali dai trafficanti di uomini. Decisione seguita da una analoga.
Mosse vincenti, quindi, che hanno immediatamente provocato la contromosse dei trafficanti come spiega il procuratore di Catania, Giovanni Salvi. «Da quando li abbiamo colpiti in alto mare, e abbiamo fatto capire che avremmo insistito, non usano più le ’navi madre’ ma sono tornati all’utilizzo di barconi più piccoli e strapieni. Ogni nostra mossa – aggiunge il magistrato – fa cambiare le loro strategie e questo dimostra che sono vere organizzazioni criminali. Il traffico va avanti, le barche sono piene perché da un lato i guadagni dei criminali sono fortissimi e dall’altro non accenna a diminuire la pressione di questa povera gente che cerca di fuggire. Il problema – si sfoga il procuratore – è laggiù, in Libia e in Egitto, dove si continua a partire, un problema gigantesco ma non possiamo intervenire noi magistrati...». Riflessione analoga fanno in Procura a Reggio Calabria. «Ormai è evidente l’esistenza di organizzazioni criminali ma manca la collaborazione degli altri Stati sia quelli di partenza che quelli europei. E senza questa collaborazione è difficile identificare i promotori delle organizzazioni».
Stesso ragionamento fa anche il consigliere Giusto Sciacchitano, magistrato della Procura nazionale antimafia delegato proprio al fenomeno della tratta delle persone. «In Italia si finisce per processare solo i responsabili degli atti conclusivi dello sfruttamento di persone e non coloro che organizzano tutte le fasi del traffico dal Paese di origine e attraverso i Paesi di transito e che percepiscono i guadagni del traffico stesso. Per poter sviluppare le indagini anche contro costoro occorrerebbe la collaborazione dei Paesi interessati che invece assolutamente manca». Nessuna collaborazione «nemmeno da Paesi teoricamente più vicini come Turchia e Grecia», mentre «l’Africa è un vero buco nero e non offre alcuno spiraglio per portare anche in quelle terre la lotta al traffico, con il risultato che questa attività è, per i trafficanti, ancora largamente remunerativa, rispetto ai pochissimi rischi che affrontano». E senza questa collaborazione, denuncia Sciacchitano, «possiamo fare molto poco, questo va detto molto chiaramente, e si corre il rischio di nuove tragedie ». Di fronte a questo, sottolinea il magistrato antimafia, «non servono nuove norme né nuove convenzioni internazionali. Ci vuole solo un’organizzazione internazionale che le faccia applicare, dovrebbe essere l’Unione europea. Ma – denuncia – manca questa volontà. L’Italia deve chiedere che le Convenzioni siano davvero applicate e fare poi accordi con gli altri Paesi. Perché nessuno ce la può fare da solo. Altrimenti gli affari dei trafficanti e le tragedia continueranno».