Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 18 Domenica calendario

STOP ALLE NAVI MADRE, TORNANO I BARCONI

L’ultimo colpo alle organizzazioni crimina­li dei trafficanti di uomini è arrivato due giorni fa a Reggio Calabria con la con­danna a 7 anni, da parte del gup Cinzia Barillà, di nove egiziani, l’equipaggio della ’nave madre’ bloc­cata il 15 ottobre 2013 al largo di Capo Spartivento dopo aver trainato un barcone con 226 migrati, tra i quali 75 minori. Condanna importante, non l’u­nica (vedi altro articolo) che colpisce alcuni degli ol­tre 200 scafisti arrestati dal 13 ottobre 2013, data di inizio dell’operazione ’Mare nostrum’. Arresti in aumento: erano stati 200 in tutto il 2013 (anche pri­ma della partenza dell’operazione), sono già più di 130 nel 2014.
La condanna di due giorni fa è il frutto di una del­le prime azioni in alto mare e sono molto soddi­sfatti i magistrati reggini perché ha retto l’inter­pretazione delle Convenzione Onu contro il cri­mine organizzato transnazionale, firmata a Paler­mo nel 2000 che prevede l’intervento per i reati as­sociativi anche fuori dalle acque territoriali. E in­fatti la condanna è stata per associazione a delin­quere finalizzata all’immigrazione clandestina, co­sì come chiesto dai pm Paolo Sirleo e Annamaria Frustaci. È la stessa strada imboccata dalla procu­ra di Catania che ha già operato due sequestri in alto mare, interventi che hanno incassato il soste­gno della Cassazione che lo scorso 28 marzo ha sentenziato che sono di competenza delle autorità italiane le indagini sui reati commessi in acque in­ternazionali dai trafficanti di uomini. Decisione seguita da una analoga.
Mosse vincenti, quindi, che hanno immediata­mente provocato la contromosse dei trafficanti co­me spiega il procuratore di Catania, Giovanni Sal­vi. «Da quando li abbiamo colpiti in alto mare, e ab­biamo fatto capire che avremmo insistito, non usano più le ’navi madre’ ma sono tornati all’utilizzo di barconi più piccoli e strapieni. Ogni nostra mossa – aggiunge il magistrato – fa cambiare le loro stra­tegie e questo dimostra che sono vere organizzazioni criminali. Il traffico va avanti, le barche sono piene perché da un lato i guadagni dei criminali sono for­tissimi e dall’altro non accenna a diminuire la pres­sione di questa povera gente che cerca di fuggire. Il problema – si sfoga il procuratore – è laggiù, in Li­bia e in Egitto, dove si continua a partire, un pro­blema gigantesco ma non possiamo intervenire noi magistrati...». Riflessione analoga fanno in Procura a Reggio Calabria. «Ormai è evidente l’esistenza di organizzazioni criminali ma manca la collabora­zione degli altri Stati sia quelli di partenza che quel­li europei. E senza questa collaborazione è difficile identificare i promotori delle organizzazioni».
Stesso ragionamento fa anche il consigliere Giusto Sciacchitano, magistrato della Procura nazionale antimafia delegato proprio al fenomeno della trat­ta delle persone. «In Italia si finisce per processare solo i responsabili degli atti conclusivi dello sfrut­tamento di persone e non coloro che organizzano tutte le fasi del traffico dal Paese di origine e attra­verso i Paesi di transito e che percepiscono i gua­dagni del traffico stesso. Per poter sviluppare le in­dagini anche contro costoro occorrerebbe la colla­borazione dei Paesi interessati che invece assoluta­mente manca». Nessuna collaborazione «nemme­no da Paesi teoricamente più vicini come Turchia e Grecia», mentre «l’Africa è un vero buco nero e non offre alcuno spiraglio per portare anche in quelle ter­re la lotta al traffico, con il risultato che questa atti­vità è, per i trafficanti, ancora largamente remune­rativa, rispetto ai pochissimi rischi che affrontano». E senza questa collaborazione, denuncia Sciacchi­tano, «possiamo fare molto poco, questo va detto molto chiaramente, e si corre il rischio di nuove tra­gedie ». Di fronte a questo, sottolinea il magistrato antimafia, «non servono nuove norme né nuove convenzioni internazionali. Ci vuole solo un’orga­nizzazione internazionale che le faccia applicare, dovrebbe essere l’Unione europea. Ma – denuncia – manca questa volontà. L’Italia deve chiedere che le Convenzioni siano davvero applicate e fare poi ac­cordi con gli altri Paesi. Perché nessuno ce la può fare da solo. Altrimenti gli affari dei trafficanti e le tragedia continueranno».