Meo Ponte, la Repubblica 18/5/2014, 18 maggio 2014
DAL NOSTRO INVIATO
VERCELLI .
Non è una confessione quella di Lorenzo Manavella. È il lucido racconto di un massacro immotivato ma feroce, la ricostruzione della mattanza di un ragazzo che senza un perché ha ucciso la zia che gli faceva da madre e i nonni che lui continua a dire «sono la mia unica gioia nella vita». Sono le 7,15 quando i pm Roberta Brera e Francesco Albino iniziano l’interrogatorio di Lorenzo nell’ufficio del comandante del reparto operativo dei carabinieri di Vercelli. Paolo Tamponi, procuratore capo, cui preme capire se ha ucciso da solo o se nello sterminio della sua famiglia ha avuto complici, ha voluto che ascoltassero prima possibile il
ragazzo arrivato nella notte da Venezia dopo che la sera prima si era consegnato alla polizia ferroviaria della stazione di Santa Lucia dicendo: «So che mi cercate. Sono qui, voglio collaborare». Ai carabinieri che lo avevano preso in consegna e che gli spiegavano che dovevano aspettare un vaporetto per evitare un inopportuno passaggio sul ponte di Calatrava ha risposto: «Sono uno sportivo, so obbedire, forse quello che non funziona è nella mia testa».
Ai pm Lorenzo si presenta vestito ancora con i bermuda e la felpa indossati la notte del massacro. Gli dicono che è accusato di triplice omicidio e di rapina aggravata. Non c’è bisogno di fargli domande. Lui dice di slancio: «Sono stato io, ho fatto tutto da solo». Parla con voce pacata, scegliendo bene ogni parola. Non piange, nelle cinque ore di interrogatorio non verserà una sola lacrima sorprendendo i magistrati e il suo stesso avvocato, Andrea Brignoglio. Ricostruisce
il massacro della sua famiglia con lucidità, soffermandosi sui particolari con insistenza. Come se ad uccidere fosse stato un altro.
«Quella sera ero stato ad un aperitivo per un compleanno — racconta — la serata sarebbe proseguita con una pizza e in discoteca ma non avevo soldi. Così gli amici mi hanno accompagnato a casa. Erano le 22,30. Con Tony ci eravamo fatti una canna e sniffati un po’ di coca. Quando sono salito su a casa zia Patrizia era sul divano. Sono andato in cucina, ho preso un coltello e l’ho colpita. Una, due, tante volte. Lei urlava, invocava aiuto ma io continuavo a colpire. Poi l’ho sollevata e l’ho messa sul letto. L’ho coperta con un lenzuolo...».
Magistrati e avvocato ascoltano allibiti. Lorenzo non sa
spiegare il perché di quel primo delitto, dice solo: «Ero fatto. Io volevo bene a zia...». La morte di Patrizia Manavella è però solo il primo atto di tragedia che segue un crescendo da film horror. «Ho sentito il bisogno di farmi ancora — racconta Lorenzo — sono uscito senza accorgermi che chiudendomi la porta alle spalle avevo lasciato la chiave nella toppa interna. Ho comprato altra cocaina, l’ho sniffata e sono tornato a casa. Non so cosa volessi fare, so solo che volevo rientrare. Ho trovato la porta chiusa allora ho appoggiata la scala alla finestra del secondo piano e sono salito in silenzio. Ho strappato la zanzariera e sono entrato, scendendo al primo piano. Nonno si era svegliato, l’ho visto tra il corridoio e la sua camera da letto. L’ho
aggredito, lui è finito a terra e rantolava. Non potevo sentire i suoi lamenti, gli volevo troppo bene. L’ho colpito con tutto quello che potevo. Con un cassetto del mobile, con un vaso di fiori, con il secchio della spazzatura. Fino a quando ho visto che non si muoveva più. Sono andato in cucina e ho preso un coltello. Sono entrato nella camera della nonna e l’ho colpita. In testa. Più forte che potevo...».
I pm rabbrividiscono: nelle foto scattate dagli esperti del Ris il coltello è immerso per tutta la lunghezza della lama nella tempia destra dell’anziana. «Non so quanto sono rimasto in casa. Ho frugato un po’ ovunque in cerca di soldi. Ho messo insieme trecento euro. Ho inforcato la bicicletta ed ho pedalato sino alla stazione.
Lì ho buttato il telefono cellulare, non ricordo dove. I primi treni andavano a Roma e a Milano. Roma mi spaventava, troppo grande, troppo caos, troppa gente. Ho preso il treno delle 5,40 per Milano...».
I carabinieri già venerdì pomeriggio avevano i filmati delle telecamere di sorveglianza della stazione di Santhià che riprendevano Lorenzo sul marciapiede in attesa del treno. E più tardi anche quelli della stazione centrale di Milano mentre studia gli orari dei convogli per il nord. Infine per proseguire la sua fuga Lorenzo Manavella ha scelto Venezia. Gli amici dicono che probabilmente voleva arrivare in Croazia: «Un posto dove era stato in vacanza e da cui era tornato entusiasta». In procura a Vercelli ipotizzano: «Forse però una volta arrivato a Venezia, smaltiti gli effetti della cocaina, è tornato in sé e si è reso conto che la sua era una fuga disperata e soprattutto inutile ». Così Lorenzo Manavella si è presentato negli uffici della polizia ferroviaria di Santa Lucia dicendo: «Sono io quello che cercate. Riportatemi a Santhià, dirò tutto». Senza però spiegare che cosa lo ha spinto a massacrare la sua famiglia.