Ettore Livini, la Repubblica 17/5/2014, 17 maggio 2014
ALTRI 17 PER SCARONI, CONTI E CATTANEO
MILANO.
Il tetto ai compensi dei dirigenti dello Stato può attendere. Le norme draconiane messe a punto dal governo Renzi per frenare i super-stipendi non valgono per le aziende quotate in Borsa. E Piazza Affari – grazie all’antica regola del lascia (il posto di lavoro) e raddoppia (la busta paga) – si prepara ad accompagnare all’uscita un’altra generazione di manager pubblici con la consueta pioggia di buonuscite d’oro. I 5,45 milioni di premio garantiti da Finmeccanica ad Alessandro Pansa sono solo l’aperitivo. L’Eni chiuderà l’era di Paolo Scaroni girando 8,3 milioni – di cui 3,2 per la risoluzione del contratto e 2,2 come patto di non concorrenza – all’ex amministratore delegato. L’Enel saluterà Fulvio Conti lasciandogli come ricordo una liquidazione vicina ai sei milioni mentre l’addio di Flavio Cattaneo da Terna sarà reso meno amaro dallo “zuccherino” da 2,4 milioni previsto dai suoi contratti.
Niente di nuovo sotto il sole. Il passato, il presente e molto probabilmente pure il futuro del listino italiano sono pieni di dirigenti diventati Paperoni dalla sera alla mattina proprio nel giorno in cui hanno lasciato la loro azienda. Il paracadute d’oro garantito dal Cane a sei zampe a Scaroni, per dire, è per lui un dejà vu, visto che nel 2005 è uscito dall’Enel con un assegno da 10,9 milioni. Puoi fare bene o male – Pierfrancesco Guarguaglini ha lasciato Finmeccanica nella bufera con un premio di 5,5 milioni, Antonio Vigni ha mollato l’Mps alla vigilia del crac con 4 milioni di scivolo – puoi lavorare nel pubblico o nel privato, poco importa: le dimissioni (o il licenziamento) sono spesso uno dei momenti migliori, finanziariamente parlando, per i manager dell’Italia Spa.
Il recordman assoluto, imbattuto dopo tanti decenni, è Cesare Romiti che ha calato il sipario sull’esperienza in Fiat con una buonuscita di 50,1 milioni. A ruota inseguono Alessandro Profumo (40 milioni da Unicredit) e Matteo Arpe che dopo il lungo braccio di ferro con Cesare Geronzi in Capitalia è stato liquidato con 31 milioni. Geronzi, che dall’istituto capitolino è uscito con un misero «premio alla carriera» di 20 milioni, si è rifatto con gli interessi in Generali, dove dopo un solo anno di lavoro è stato messo alla porta con un jackpot di consolazione da 16 milioni.
La crisi è servita appena a calmierare il mercato. Certo una decina di anni fa, quando le cose in Italia e a Siena andavano un po’ meglio, persino il Monte Paschi poteva permettersi di garantire un «premio di operosità» da 10 milioni a Emilio Tonini dopo 38 anni di servizio. Anche oggi però, alla faccia del paese in panne, il tariffario delle buonuscite non scherza: Franco Bernabè ha salutato Telecom Italia incassando 8,2 milioni. Enrico Cucchiani ne ha presi 3,6 dopo due anni in Intesa, il Biscione ha ricompensato Maurizio Costa dopo tre lustri in Mondadori con una liquidazione da 5,5 milioni.
Le cose non vanno molto meglio all’estero. Anzi. Henrique De Castro, ex-numero due di Google, ha salutato baracca e burattini 15 mesi dopo l’assunzione annacquando il dispiacere in una buonuscita da 96 milioni di dollari. Tanti? Sì, meno però (in proporzione) degli 80 finiti in tasca a Robert Marcus che – dopo 6 settimane da numero uno di Time Warner – ha venduto la società a Comcast. Qualcuno, va detto, va controcorrente e ha saputo dire di “no” – questione di decenza – ai paracadute d’oro. Daniel Vasella, ex numero un della Novartis, ha rinunciato a 70 milioni di euro. Nelle scorse settimane anche Philippe Varin, uno dei supermanager della Peugeot, ha preferito rispedire al mittente l’offerta di una buonuscita da 21 milioni. Esempi che in Italia, finora, hanno fatto pochissimi proseliti.
Ettore Livini, la Repubblica 17/5/2014