Raimondo Bultrini, la Repubblica 17/5/2014, 17 maggio 2014
INDIA, IL TRIONFO DELL’HINDU CHE CANCELLA L’ERA GANDHI
NEW DELHI
Davanti alla sede del partito Bjp della capitale in tripudio, i cannoni d’aria sparano fiori color zafferano sulla folla, il colore del partito ultrareligioso che sta per riscrivere la storia dell’India moderna. Narendra Modi è il nuovo premier indiano.
Qualcuno tra i fan in delirio sventola il titolo dell’edizione speciale di Hindustan Times che dice “TsuNaMo”. È l’acronimo di Narendra Modi, il prossimo premier di un miliardo e 200 milioni di indiani che hanno dato al Bharatiya Janata party — e a lui come prossimo premier — la maggioranza assoluta senza bisogno di aiuti esterni, ovvero più dei i 272 seggi richiesti su 543. Non succedeva da 30 anni, da quando il Congresso della dinastia Gandhi, oggi letteralmente spazzato via con meno di 50 poltrone in Parlamento, ottenne 400 seggi sull’onda emotiva dell’assassinio di Indira.
Calcolando gli alleati tradizionali del partito di Modi, la nuova maggioranza alla Camera Lok Sabha sale a quasi 330 deputati, un dato che si amplifica col Congresso sceso in picchiata dai 206 seggi del 2009. Non solo. Con Modi ora conterà pochissimo sulla carta anche la galassia dei partiti regionali un tempo determinanti per le alleanze.
Per non creare disarmonia nel giorno del giubilo, il neo premier in pectore ha però subito usato toni conciliatori. «Ho sempre detto che per governare la nazione è nostra responsabilità accogliere tutti», ha assidopo i primi dati trionfali alla folla in festa nella circoscrizione di Vadodara in Gujarat, che lo ha premiato con oltre 500mila preferenze. Ha chiesto addirittura la «benedizione» della sua gente per poter «formare un governo di vaste alleanze». E ha aggiunto: «Il XXI sarà il secolo indiano, serviranno 10 anni, non troppo», per strappare a Cina e Usa la palma di
potenza mondiale. Dove potrà arrivare è ancora difficile da prevedere: la sua figura è divisiva e controversa per il ruolo di capo ministro del Gujarat durante le stragi di musulmani ad Ahmedabad nel 2002, che gli costarono i duri attacchi del Congresso e il rifiuto del visto dagli Stati Uniti. Oggi però gli Usa sono pronti a «lavorare con ogni governo emerso dalle urne», e il presidente Barack Obama ha telefonato a Modi congratulandosi e invitandolo a Washington.
Nonostante la sua cattiva fama, le concessioni di Modi ai fondamentalisti religiosi della destra hindu raccolti nella RSS e ai suoi stessi compagni di partito dell’ala dei falchi sono state pochissime. Il manifesto elettorale presentato ad aprile è in gran parte dedicato alla nuova politica di apertura, agli investimenti interni e internazionali dell’India su modello del suo Stato, dove non a caso il Bjp ha fatto l’ en plein con 26 seggi su 26. Modi sogna città rimodernate in tutta l’India e 100 centri urbani nuovi di zecca, treni superveloci, agevolazioni fiscali, burocratiche e terre agli imprenditori già in fila alla sua porta per impiantare le loro fabbriche, con preferenza alle industrie manifatturiere ma anche all’edilizia, alle nuove tecnologie Internet, al sistema bancario, agli sfruttamenti minerari che tanto preoccupano gli ambientalisti.
È stato il mantra della ripresa economica e del lavoro per tutti a dominare i suoi discorsi fino a quello celebrativo di ieri, e dopo 10 anni di crisi economica e aumento dei prezzi attribuiti al Congresso, la gente ha dovuto più che voluto credergli, grazie anche a una campagna martellante di propaganda della sua figura di salvatore del Paese senza alternative plausibili amplificata dai media dei grandi gruppi industriali e finanziari che vogliono un governo forte e stabile.
«L’India ha vinto — ha detto Modi — sono in arrivo i giorni buoni. Avete scritto un nuovo capitolo della storia dall’Indipendenza ». Parole brucianti per i responsabili indiscussi della sconfitta, in particolare la presidente del Congresso Sonia e il suo vice, il figlio Rahul, epigoni di una dinastia che da ieri potrebbe restare relegata nei libri di storia e scomparire dalla scena dell’India. I numeri del Congresso non sono più alti di quelli di alcuni partiti regionali come l’Ajadmk di Jayalalithaa nel Tamil Nadu e il Trinamool di Mamata Banerjee in Bengala.
Insieme madre e figlio sono usciti nel pomeriggio dalla loro residenza di Jampath per dire davanti a una sparuta folla di sostenitori e un numero ben più alto di reporter che accettano la sconfitta. «Rispettiamo il volere del popolo e ci congratuliamo con i vincitori. Noi siamo andati male» ha ammesso Rahul prima di passare la parola a sua madre: «Sappiamo che vincere e perdere fa parte della democrazia. Io mi assumo la responsabilità di questa sconfitta », ha detto con voce flebile facendo poi cenno a Rahul di rientrare a casa.
Nella stessa strada elegante di Jampath, quando poche ore prima era già evidente la capitolazione del Congresso, parecchi militanti avevano inscenato una piccola manifestazione invocando la discesa in campo di Priyanka, sorella minore di Rahul molto amata dalla base. «Dateci Priyanka, salviamo la nazione » gridavano con le sue foto sui cartelli. Ma la giovane e combattiva madre di famiglia non ha mai mostrato l’intenzione di sostituire il fratello e la madre in un immediato futuro. Nonostante il dato nazionale, la presidente del Congresso ha ottenuto personalmente 500 mila voti, pochi meno di Modi nel suo collegio, e anche questo è stato attribuito più alla capacità oratoria di Priyanka che al debole carisma di Rahul, a malapena rieletto secondo i primi calcoli.
Col Congresso al tramonto, abbiamo chiesto ad Amit Shah, braccio destro di Modi per le strategie e papabile ministro, se l’ideologia nazionalista del partito Bjp sarà un ostacolo alla soluzione del problema dei marò italiani in attesa di processo per il delitto di due pescatori del Kerala. Non ha risposto. Le speranze restano affidate al fatto che le critiche recenti di Modi contro il mancato arresto dei due fucilieri potrebbero cedere il passo alla real politik degli scambi commerciali.
Tra gli sconfitti di questa tornata elettorale con 840 milioni di aventi diritto e 551 milioni di votanti
c’è anche il partito dell’Uomo qualunque fondato da Arvind Kejriwal, che vince appena 4 seggi in tutta l’India, mentre nella città sacra di Varanasi dove si è presentato in competizione con Modi potrebbe aver ottenuto meno dei voti necessari per un posto in Parlamento.
Protagonista di una campagna in stile presidenziale costata come quella americana, 300mila chilometri percorsi soprattutto in elicottero, 457 comizi, NaMo ha parlato a decine di milioni di seguaci osannanti che gridavano il suo nome anche grazie alle “proiezioni” virtuali dei grandi schermi installati in città e villaggi. Come conseguenza della sua vittoria ormai scontata la borsa di Mumbai ha avuto una impennata temporanea di più del 6% per riscendere allo 0,8%. Modi comincerà a lavorare fin da oggi al nuovo governo, con un incontro nella sede del partito di Delhi. Poi in serata si recherà a chiedere la benedizione degli dèi nella città santa di Varanasi, sulle rive del fiume Gange, scelta come trampolino per la sua sfida al secolare Congresso.
Inquinato da scarichi industriali e minacciato dalle dighe, il Fiume Madre dove stasera celebrerà una cerimonia, è il simbolo dell’India sofferente, disposta a pagare un prezzo prevedibilmente alto per lo sviluppo promesso dal nuovo vate dell’economia nazionale.
Raimondo Bultrini, la Repubblica 17/5/2014