Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 17 Sabato calendario

L’ITALIA RISCHIA DI PERDERE 42 MILIARDI DI FONDI EUROPEI


Spendiamo troppo lentamente e pure male. L’Italia, da sempre, ha difficoltà nell’investire i Fondi strutturali che l’Europa destina alle regioni più povere dell’Unione. Ma anche quando i progetti superano l’esame della Commissione Ue, i fondi arrivano e i piani decollano, i risultati ottenuti sono più scarsi che altrove.
L’occasione di crescita si dissolve nei mille rivoli della burocrazia, nella sconfinata frammentazione dei progetti finanziati e nella mancanza di un quadro comune che li contenga. E’ così che il Sud, da anni, perde le poche occasioni concesse per recuperare il gap che lo separa dal resto del Paese e dall’Europa.
Lo spreco di risorse si può dedurre da un’analisi di Riccardo Padovani contenuta nell’ultimo rapporto Svimez, che mette a confronto (nel periodo 2007-2010) l’andamento del Pil misurato in pari potere d’acquisto nelle distinte regioni dell’Europa a 15. In media, fra il 2007 e il 2010, le aree della convergenza (le più povere dei vari paesi) hanno subito una caduta della ricchezza del 3,5 per cento contro il meno 1,7 delle aree più sviluppate. Ma l’Italia è andata decisamente peggio sia riguardo alla media, che rispetto a Grecia e Spagna, poli della crisi. Nel periodo considerato, infatti, l’area della convergenza (Campania, Calabria, Puglia, Sicilia), quanto a Pil in pari potere d’acquisto, ha subito un crollo del 4,6 per cento, contro il meno 4 della corrispondente area greca e il meno 3,8 della Spagna. I risultati hanno penalizzato, in genere, i paesi con maggior scompenso territoriale e la responsabilità del fallimento non può essere completamente attribuita all’uso fatto dei Fondi strutturali europei e della corrispondente dotazione che il bilancio dello Stato deve mettere sul piatto, precisa la Svimez, ma certo i risultati parlano chiaro, l’occasione è andata persa e il problema va affrontato. Anche perché, secondo i calcoli del premier Renzi, sommando le «vecchie» risorse ancora da spendere, quelle previste per la programmazione 2014-2020, e i 55 miliardi del Fondo per lo sviluppo e la coesione, nei prossimi sei anni ci saranno complessivamente 180 miliardi da impegnare: «l’ultima chance per la svolta» ha detto.
In realtà, secondo i dati del ministero della Coesione territoriale i miliardi a disposizione risultano essere 106 (84 per i prossimi anni più i 22 da spendere entro il 2015). E va anche precisato che la quota propriamente europea di quei fondi non va oltre i 42 miliardi: il resto proviene interamente dal bilancio dello Stato. La mancata crescita e l’aumento del debito pubblico potrebbero quindi mettere a rischio i futuri investimenti.
«Fino ad oggi le speranze di crescita sono naufragate nella burocrazia e lentezza che accomuna i nostri progetti e nella eccessiva frammentazione dei piani presentati dalle regioni» commenta Adriano Giannola, presidente della Svimez. «Il rientro degli investimenti è basso perché le risorse sono destinata e opere piccole: un rifacimento di una piazza là, un restauro qua, interventi spesso di bassa qualità. Si distribuisce un po’ di lavoro, si coltivano le clientele, ma nel complesso non c’è un progetto unitario che favorisca la crescita».
Del fatto che la frammentazione fosse il nocciolo del problema se ne erano già accorti Fabrizio Barca e Carlo Trigilia, ministri della Coesione economica nei governi Monti e Letta. Trigilia aveva avviato un processo di razionalizzazione della spesa, concentrazione degli obiettivi e controllo dei risultati, ma le buone pratiche rischiano ora di essere superate dai tempi stretti. «Gli interventi devono essere concentrati in pochi obiettivi qualificati e selezionati sulla base di una strategia volta ad affrontare i problemi di coesione territoriale» scriveva nel suo ultimo rapporto sull’attività svolta. Appena arrivato al ministero si era trovato sul tavolo oltre 400 azioni che chiedevano di essere ammessi ai finanziamenti e li aveva drasticamente ridotti ad una quarantina, finalizzandoli soprattutto all’occupazione e al rilancio delle imprese. Ma il nuovo governo (che non ha nominato un ministro ad hoc, ma ha assegnato la delega al sottosegretario della presidenza del Consiglio Graziano Delrio) dovendo accelerare i tempi della spesa e consegnare a Bruxelles l’Accordo di partenariato (il documento guida della nuova programmazione) entro il 22 aprile, ha riaperto le porte alle richieste delle regioni e ha fatto lievitare i progetti da finanziare a quota 330.
Il rischio frammentazione è tornato. I dati dell’ex ministro Barca sottolineano poi che fra il 2007 e il 2013 in diverse province del Sud la spesa procapite finanziata dai Fondi ha superato i 4 mila euro: visti i mancati effetti sull’occupazione, un’occasione sprecata.

Federico Fubini e Luisa Grion, la Repubblica 17/5/2014