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 2014  maggio 17 Sabato calendario

FRA I CRISTIANI IN ATTESA DI FRANCESCOB“SIAMO L’ULTIMA GENERAZIONE, SALVACI”


Festoni illuminati sulle case in pietra, rullii di tamburi e ovunque l’odore del cinghiale alla brace. L’ultima enclave cristiana della Giordania è in festa per il matrimonio fra i ragazzi di due delle famiglie più in vista. A venti minuti di auto da Amman, siamo in un angolo di Medio Oriente dove l’alcol non è tabù, i cacciatori di maiali selvatici sono gli chef più ricercati, nelle case ci sono le Madonne incorniciate e si balla la dabke, con uomini e donne che flirtano sotto gli occhi di amici e parenti. È l’Oriente dei cristiani, in gran parte ortodossi ma anche cattolici, che si considerano orgogliosi eredi dei bizantini ma soffrono l’assedio dell’Islam fondamentalista.
Il matrimonio si svolge la domenica e il venerdì precedente è il momento in cui le famiglie si ritrovano, conoscono, mischiano. Ci saranno un duecento persone, forse di più. Sono commercianti e imprenditori di successo che accolgono anche Hweishel Akroush, il sindaco eletto al termine di una sfida all’ultimo voto con il rivale, anch’esso fra gli invitati. Appena Akroush entra nella grande sala da pranzo, con decine di sedie lungo le pareti per far sedere tutti gli ospiti, sul lato opposto si siede l’ex rivale. Ed iniziano un dialogo nel quale molti altri intervengono. Il tema è l’imminente visita di Papa Francesco, che proprio da Amman inizierà il 24 maggio il viaggio in Terra Santa che lo porterà a fare tappa a Betlemme e Gerusalemme. «Speriamo che il Papa parli con chiarezza ai popoli arabi», dice un commerciante di mobili, sui 60 anni, spiegando che «qui la situazione per noi si fa difficile». Il riferimento è a un fatto recente, avvenuto in una periferia commerciale di Amman, dove il proprietario di un piccolo negozio ha annullato all’ultimo momento la vendita dell’immobile a un imprenditore cristiano su richiesta di un imam locale. È un tema vissuto con evidente pathos. «È un pessimo segno - osserva uno dei parenti della sposa - perché non era mai avvenuto prima, lascia intendere quanto i fondamentalisti vogliano emarginarci». La fedeltà nel re Abdallah è fuori questione. In ogni casa vi sono i suoi ritratti, le bandiere reali sventolano ovunque in questa cittadina di 20 mila anime - l’ultima del regno hashemita a schiacciante maggioranza cristiana - e quando Abdallah venne in visita tre anni fa fu accolto con grande calore. «Il problema è il Fronte Islamico - aggiunge uno studente universitario, amico dello sposo - perché i Fratelli Musulmani perseguono una Giordania senza di noi, crescono dal di dentro e ci vogliono togliere l’ossigeno dal basso con una miriade di atti quotidiani».
Si spiega così la decisione di alcuni figli dei presenti di aver scelto l’emigrazione all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. Anche perché fare carriera nelle forze armate o nella pubblica amministrazione è quasi impossibile per chi non appartiene alle tribù beduine che esprimono la monarchia. C’è chi è andato in Michigan e chi in New Jersey, investendo capitali di famiglia per creare piccole imprese. Non siamo di fronte a una fuga di massa come avvenuto per i cristiani di Betlemme negli ultimi dieci anni ma la tendenza è in crescita. Il sindaco lo sa, ascolta in silenzio, ed evita di sbilanciarsi. «Siamo tutti cittadini giordani e questo Paese ci ha sempre protetto» dice, a bassa voce, tenendo le mani su un bastone di legno lavorato. Ma è una posizione che l’ex sfidante non condivide: «Il mondo in cui siamo cresciuti non c’è più, i cristiani sono massacrati, uccisi, perseguitati in più Paesi arabi, le cosiddette primavere hanno peggiorato le cose e non ci resta che sperare nel Papa». La quasi totalità dei presenti assicura che sarà nello stadio di Amman per ascoltare il discorso del Pontefice, a cui guardano come una sorta di sovrano protettore nella convinzione che i leader arabi vogliano un rapporto di mutuo rispetto con la Santa Sede.
A spiegare perché è un uomo sui 70 anni, noto per possedere molte proprietà ricoprendo così un ruolo di garante della perdurante identità cristiana di Fuhais, in quanto interprete fedele della legge non scritta che vieta di vendere case ai musulmani. «In Europa ci sono tanti musulmani, i leader arabi hanno interesse che siano trattati bene - osserva - e dunque cercano garanzie dalla Santa Sede, che può chiederne per noi». Sono ragionamenti rudimentali ma a condividerli è anche un ex dipendente dell’ambasciata Usa ad Amman: «Da queste parti bisogna essere espliciti per farsi comprendere». Il batti e ribatti si prolunga per due ore, con il sindaco sempre più taciturno e l’ex sfidante rincuorato dai sostegni ricevuti, fino al momento in cui fuochi d’artificio e tamburi annunciano che «il cinghiale sta per essere servito». Viene da un braciere gigante, dove più cacciatori hanno portato la carne migliore estratta da sei maiali selvatici uccisi nell’ultima settimana. Tagliata a piccoli quadratini, ripassata in una salsa piccante e fatta cuocere e fuoco lento, la carne di cinghiale viene servita avvolta in pitte calde, accompagnata da vino rosso a volontà. È un rito culinario che nasce dalla volontà degli zii cacciatori di regalare ai futuri sposi la carne più pregiata ma in realtà esalta anche le differenze d’identità rispetto alla maggioranza musulmana. Si spiega così il consenso collettivo per quanto avvenne due anni fa, quando cinquecento capifamiglia di Fuhais invasero la strada principale protestando contro la conversione all’Islam di una ragazza cristiana locale, spingendosi fino a dare alle fiamme l’auto del futuro marito. La difesa del territorio si gioca su più fronti, perché il sentimento che prevale è quello di un assedio che cresce e la speranza è in un aperto sostegno da parte del Pontefice. Ma fra i coetanei degli sposi prevale il pessimismo, sono diversi ad affermare che «forse siamo l’ultima generazione di cristiani in Giordania».

Maurizio Molinari, La Stampa 17/5/2014