Fabrizio d’Esposito, Il Fatto Quotidiano 17/5/2014, 17 maggio 2014
I “NUOVI” COMPAGNI DEL COMPAGNO GREGANTI
Francesco Riccio detto Ciccio, calabrese della Locride, quand’era tesoriere del Pds, introduceva il comizio finale del compagno segretario alla festa nazionale dell’Unità, come era d’uopo. Seguì poi Claudio Velardi, ex lothar dalemaniano di Palazzo Chigi, nella società Reti. Soci. E lobbisti. Ma i due da tre anni non lavorano più insieme. Riccio fa il consulente per conto proprio e tre mesi fa, a febbraio, come annotano i finanzieri, ha incontrato Primo Greganti. È l’unico contatto chiaro, per il momento, che emerge tra il compagno G e il suo antico mondo di riferimento, sia dalemiano, sia bersaniano. A più di una settimana dal suo secondo e clamoroso arresto, Greganti e le sue relazioni romane con il Pd rimangono il mistero più grande della nuova via crucis giudiziaria della sinistra.
Al centro di tutto, le sue visite al Senato, senza lasciare traccia all’ufficio passi. È come se, una volta entrato, il compagno G fosse stato inghiottito da un buco nero. Chi l’ha visto? Chi l’ha ricevuto? Il giallo Greganti a Palazzo Madama riecheggia, per certi versi, l’enigma della valigetta da un miliardo di lire che varcò Botteghe Oscure portata da Gardini e di cui non si è mai saputo il destinatario, cruccio storico dell’allora pm Antonio Di Pietro. Ancora una volta, il tentativo è quello di accreditare il compagno G come uno che sbaglia da solo e che millanta rapporti che non ha. Eppure le conferme sulle sue relazioni di partito, vent’anni dopo la stagione di Tangentopoli, non mancano. Al di là dei nomi citati nell’ordinanza di custodia cautelare, emergono nuovi dettagli forniti dall’ineffabile coppia Frigerio-Cattozzo.
I due, parlando un anno fa di appalti legati a Finmeccanica, ribadiscono lo schema delle coperture bipartisan per avere successo. Dice Cattozzo: “Ma perché tu non metti in campo tutto il tuo prestigio con Gianni Letta e il Presidente, e Primo dall’altra parte parla con D’Alema con chi cazzo vuole?”. Frigerio risponde: “Certo”. Giorno dopo giorno si ispessisce sempre più il filo che lega il compagno G al giro dalemiano, da cui forse non si è mai distaccato. Altro esempio di peso sono le pressioni, intercettate dagli investigatori, del tesoriere ligure del Pd sul governatore di quella regione, Claudio Burlando, dalemian-bersaniano. La catena di Greganti sembra invisibile ma è d’acciaio. In fondo anche i suoi rapporti con i corregionali Sergio Chiamparino e Piero Fassino appartengono a quegli ambienti. Che poi Chiamparino e Fassino sia siano convertiti al renzismo questo è un altro fatto. Anche Greganti ha sempre sperato in futuro riformista e largo del Partito democratico, alla maniera dell’ex sindaco di Firenze. Senza dimenticare, però, che il famigerato Cattozzo in un’altra intercettazione, già nota, fa riferimento a un sì di Bersani, riferito da Greganti, sulla conduzione della Sogin. Una banda di millantatori?
Tutta questa catena conduce ai mercoledì di Greganti a Roma. Lucio Barani, senatore socialista di Gal, il gruppo autonomista, ha dichiarato di avere visto il compagno G a Palazzo Madama insieme a “due o tre senatori del Pd e a un componente del governo”, forse un ministro, oppure un sottosegretario. Chi? Il ministro Martina, per esempio, che si occupa di Expo ha già detto di non avere mai visto Greganti. C’è da credergli, fino a prova contraria.
Ma resta l’imbarazzante silenzio di quel senatore o di quei senatori amici di Greganti. Perché non escono allo scoperto, invece di alimentare questa caccia all’uomo? Passare per amici di Greganti, oggi come vent’anni fa, è una sorta di marchio infame. Otto anni fa, in un libro-intervista sulla sua vita, il compagno G alla fine si congedò così: “Il compagno G non andrà in pensione. Tenderò ad occupare tutti gli spazi che mi saranno consentiti per sostenere le mie idee. Lasciami essere presuntuoso: il bisogno che sento di esprimerle è prima di tutto motivato dalla inadeguatezza e la superficialità dell’offerta politica oggi disponibile”. Se sostituite la parola “idee” con “appalti”, sembra una confessione, non una profezia.
Fabrizio d’Esposito, Il Fatto Quotidiano 17/5/2014