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 2014  maggio 17 Sabato calendario

SE IL PATTO È IMPOPOLARE


Mentre Ubi prepara le controdeduzioni per Consob sul documento di corporate governance, per la Procura di Bergamo non sarà semplice dimostrare che le associazioni Banca Lombarda e Piemontese e Amici di Ubi Banca hanno esercitato «un’influenza dominante» sulla popolare lombarda, condizione necessaria (secondo l’articolo 122 del Tuf, citato nel decreto di perquisizione) per prefigurare un patto parasociale.
Non solo perché questa tipologia di accordo non ha molto senso in una cooperativa in cui vigono il voto capitario e il limite al possesso azionario. Ma anche perché, che piaccia o no, le associazioni di azionisti sono onnipresenti nelle popolari italiane. A Ubi, per esempio, se ne contano una dozzina e ce n’è per tutti i gusti. Solo a Cuneo, provincia abbastanza periferica del gruppo lombardo, ce ne sono due: Tradizione in Ubi Banca e gli Amici della Banca Regionale Europea del gruppo Ubi. A Milano ha sede Insieme per Ubi Banca, a Varese l’Associazione prealpina azionisti Ubi Banca, mentre nella remota Roma è sorta nel 2013 l’Associazione soci Ubi Centrosud.
Alcune di queste formazioni hanno giocato un ruolo attivo nella campagna elettorale del 2013, come la bergamasca Associazione Azionisti Ubi Banca di Giorgio Jannone che non lesinò critiche all’attuale gruppo dirigente della banca.
Alla Popolare dell’Emilia Romagna un’attività simile è stata svolta dall’Associazione Bper Futura che, sotto la guida dell’avvocato d’affari Gianpiero Samorì, ha condotto per anni una tenace opposizione contro le strategie dell’istituto. E sempre nel gruppo modenese non bisogna dimenticare l’Associazione Dipendenti Azionisti o l’Associazione cooperativa delle Province Sarde che riunisce soci e azionisti delle controllate Banco di Sardegna e Banca di Sassari. Al Banco Popolare invece i soci possono scegliere tra le veronesi Associazione Banca Viva e Prima Banca 1864 o le novaresi Una banca popolare per te e Noi della Bpn, solo per citarne alcune. Molte di queste formazioni puntano a esercitare un’azione, diretta o indiretta, sui destini delle banche di riferimento e, ragionando in punta di diritto, il confine tra attività associativa e patto parasociale appare sottile.
Qualche solerte ispettore della Consob non potrebbe forse assimilare le indicazioni di questa o quell’associazione agli «obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del diritto di voto» di cui parla l’art. 122 del Tuf? Per fortuna dei soci nulla del genere è mai accaduto e l’unica eccezione sembra destinata a rimanere tale. Si tratta della multa comminata lo scorso anno agli ormai disciolti Amici della Bipiemme, l’associazione di dipendenti-soci che per quasi un decennio ha influito sulle strategie della banca. Agli Amici, Bankitalia e Consob contestarono la costituzione di un accordo parasociale in forma associativa nascosto alla Vigilanza. Secondo via Nazionale l’associazione avrebbe esercitato «un’indebita influenza sulla gestione della banca», determinando così «un marcato deterioramento» nell’attività dell’istituto. In quel caso, insomma, le autorità di Vigilanza ravvisarono comportamenti che mettevano a rischio la sana e prudente gestione e scelsero di intervenire. Nel caso di Ubi non si ha per ora notizia di risvolti di questo genere. Il decreto di perquisizione risulta infatti piuttosto vago sul tema e, come conseguenze del presunto patto occulto, si limita a citare «risvolti sulla governance complessiva del gruppo Ubi, anche tenuto conto sia delle asserite deliberazioni in ordine all’aumento di capitale che ha interessato l’istituto bancario (probabilmente l’operazione da un miliardo lanciata nel 2011, ndr), sia degli obblighi conseguenti all’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 36 del decreto legge 6 dicembre 2011 (cioè il divieto di interlocking, ndr), i cui profili di sostanziale incompatibilità con posizioni di vertice in altri gruppi o istituti bancari, rispetto alle cariche societarie del gruppo, non appaiono del tutto trasparenti». Per il momento tali addebiti appaiono vaghi e sarà necessario attendere altri elementi. Anche la linea assunta dalla Consob impone prudenza visto che l’authority, che nei mesi scorsi avrebbe condotto un’ispezione nelle sedi delle due associazioni lombarde e contestato la completezza del documento di corporate governance, ha scelto per ora la linea del silenzio.
Se il lavoro dei magistrati è ancora un cantiere aperto, la tempesta abbattutasi su Ubi pone una volta di più sotto i riflettori il tema della governance delle popolari. Non vi è dubbio che l’autoreferenzialità e la non contendibilità degli istituti cooperativi costituisca oggi un problema per società quotate in borsa e in procinto di ricadere sotto la vigilanza unica. Molte popolari contano centinaia di migliaia di azionisti, ma le loro sorti sono decise da poche migliaia, spesso organizzati in associazioni o formazioni di altro tipo. «Le recenti modifiche statutarie suggerite da Banca d’Italia hanno ulteriormente accentuato questo fenomeno», spiega a MF-Milano Finanza un banchiere di lungo corso. «Con cinque deleghe per socio e il voto a distanza bastano 3-4 mila preferenze per vincere un’assemblea. Con le nuove normative sulla governance che entreranno in vigore nei prossimi anni questa anomalia sarà accentuata ancor di più: in sostanza la democrazia sostanziale sarà sacrificata in nome della democrazia formale», conclude il banchiere.
L’ingresso nei consigli di amministrazione di consiglieri indipendenti e rappresentati dei fondi potrebbe scalfire questa autoreferenzialità, ma difficilmente si avrà una svolta decisiva senza una legge ad hoc del Parlamento. Le cronache degli ultimi mesi e l’imminente entrata in vigore della vigilanza unica potrebbero inserire questo intervento nell’agenda delle grandi riforme del governo Renzi. Fonti romane suggeriscono che tra alcune forze politiche sarebbero in corso contatti per arrivare a formulare tra ottobre e dicembre una legge. Forse per le popolari e il mercato sarà la volta buona.

Luca Gualtieri, MilanoFinanza 17/5/2014