Diego Gabutti, ItaliaOggi 17/5/2014, 17 maggio 2014
GIARDINA SPIEGA LA PRIMA GUERRA MONDIALE CON GLI ARCHIVI TEDESCHI CHE I NOSTRI STORICI DISERTANO PERCHÉ NON CONOSCONO QUESTA LINGUA
Mentre la seconda guerra mondiale, una ventina d’anni più tardi, incombe sull’Europa come un incubo ben prima che il conflitto abbia inizio, la prima guerra mondiale è un epilogo che nessuno s’aspetta, a parte qualche generalone qua e là. La seconda guerra mondiale ha il suo «trailer», per dire così, nella guerra civile spagnola, dove i nazifascisti corrono al soccorso dei generali golpisti e i futuri «alleati» provano la parte che gli toccherà recitare poco dopo sul palcoscenico globale. Mentre la guerra contro Hitler delle democrazie (e dei comunisti russi, costretti a cambiare alleato in corsa, quando i nazisti gli si rivoltano contro) è un flagello annunciato, la prima guerra mondiale s’abbatte sull’Europa e sul mondo come un’apocalisse a ciel sereno.
Un attimo prima c’è la belle époque: Freud, i cubisti, la Banda Bonnot, Marcel Proust, i sindacati, Chez Maxim’s, i film muti. Un attimo dopo la guerra totale: le trincee, milioni di morti, i gas, i disturbi post traumatici da stress o «nevrosi di guerra», i mutilati. Con una perfetta scelta dei personaggi, degli aneddoti e delle storie, Roberto Giardina racconta giorno per giorno questo tuffo a sorpresa dell’umanità intera nel mare in burrasca dell’impazzimento delle nazioni, delle tempeste d’acciaio, delle decimazioni, delle pulizie etiche ed etniche, dei totalitarismi nascenti. Con 1914. La grande guerra (Imprimatur 2014, pp. 211, 18,00, ebook 6,99 euro) Giardina organizza una specie di bacheca piena di post it, alcuni festosi, i più da brivido: Mata Hari che si esibisce «senza veli in una danza privata innanzi a Filippo Tommaso Marinetti e ai suoi amici futuristi, poeti e pittori», oppure la strana morte nel luglio del 1914 del comandante supremo dell’esercito italiano, il generale Alberto Pollio, di sentimenti notoriamente filogermanici.
In Italia — dove un pugno di studenti invasati, di mestatori nazionalisti, di politici senza scrupoli, d’intellettuali (Giovanni Papini e gli altri guerrafondai da operetta) di cui l’Italia non finirà mai di vergognarsi, d’artisti cialtroni e d’ufficiali gaglioffi riesce a far scendere in guerra un paese pacifista al 99 per cento — ogni cosa precipita da un momento all’altro. Entriamo in guerra senza preavviso, per uno strano effetto farfalla. Un cattivo poeta detto il Vate è pieno di debiti, soldi interventisti francesi finanziano il giornale dell’ex socialista Benito Mussolini, l’intellighenzia decide che la guerra è l’igiene dei popoli, poi risuona un colpo di pistola a Serajevo ed ecco che il paese è in trincea.
È il nuovo secolo, e il suo buongiorno si vede dal mattino. Di questo truce prologo all’età delle guerre e delle rivoluzioni il libro di Giardina è il diario di bordo. Non è una qualunque storia del primo conflitto mondiale, come se ne sono lette tante in questo centenario dallo scoppio della Grande guerra. È una grandinata di notizie, di dati e di date, d’avventure e di sventure, di storie d’amore e di morte; ci sono dirigibili, scioperi, aerei con le ali di tela, tumulti di mujaheddin libici, bombe anarchiche; c’è il giovane Churchill, c’è Cabiria di Giovanni Pastrone su «libretto» del Vate in persona, c’è la prima «comica» di Charlot, ovunque sono all’opera agenti segreti, rivoluzionari e ribelli, donne fatali, grandi banchieri. In 1914 di Giardina tutte queste cose si spargono intorno come le sfere d’acciaio d’uno shrapnel esploso.
Diego Gabutti, ItaliaOggi 17/5/2014