Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 17/5/2014, 17 maggio 2014
LA DINASTIA GANDHI E L’ABITUDINE ALLE AVVERSITÀ
Gli indiani che la amano, la chiamano Bharat maaki beti, figlia della Madre India. Leggendo i risultati definitivi del voto non sembrano essere rimasti in molti ad adorare Sonia Gandhi. Dei 543 seggi parlamentari, il Bjp ne conquisterà quasi certamente 282: abbastanza per governare da solo in un Paese dal pletorico numero di partiti. Il Congress guidato da Sonia, ne avrà una cinquantina: uno dei risultati più tristi del partito che ha creato l’India contemporanea. Finisce un’era ma non necessariamente ne incomincia una nuova. Anche se uno dei suoi protagonisti è la donna italiana più potente al mondo, conosciamo poco dell’India. Tendiamo ad andare per stereotipi: il Paese della povertà, della spiritualità oppure dell’hi-tech. Uno degli stereotipi più ricorrenti è la più volte annunciata fine della dinastia Nehru-Gandhi che ha governato il Paese per la gran parte dei suoi 67 anni d’indipendenza. Era accaduto nel 1964 quando morì Jawaharlal Nehru; nel 1977 quando sua figlia Indira Gandhi perse le elezioni e fu arrestata; nell’89 quando suo figlio Rajiv fu sconfitto e nel 1991 quando fu assassinato. Non ci sono relazioni familiari con il Mahatma Gandhi: Indira assunse questo cognome quando sposò Feroze Gandhi, un oscuro militante del Congress che non era parente del Mahatma. Ma generazione dopo generazione, di padre in nuora acquisita, la dinastia ha sempre continuato a restare al centro della vita politica indiana: ora al potere, ora all’opposizione in attesa di tornare al potere. Per adorarli o per detestarli prima di tornare di nuovo ad amarli, l’India dei 500mila villaggi e quella post-moderna di Bangalore, sembrano non poter fare a meno dei Nehru-Gandhi. Certamente è incapace di vivere senza di loro il Congress, alla cui guida la famiglia è quasi ininterrottamente dalla sua fondazione, nel 1885. La solidità della vittoria elettorale di Narendra Modi sembra non dare spazio all’illusione del Congress di tornare presto al potere. Anche i nazionalisti del Bjp sono vittime di qualche stereotipo. Nonostante lo sciovinismo hinduista della sua ideologia, dal 1999 al 2004 il partito ha governato accelerando le riforme economiche avviate dal Congress, e la crescita del Paese. «Abbiamo costruito più autostrade in cinque anni noi che il Congress in cinquant’anni», dicevano a ragione. Sonia Gandhi, vedova di Rajiv e leader del Congress, come suo figlio Rahul, il candidato premier sconfitto, erano al loro posto per obbligo di stirpe: erano e restano leader politici quanto meno riluttanti. L’inadeguatezza dimostrata da Rahul, 43 anni, rende estremamente difficile una sua ricandidatura fra cinque anni. Ma la famiglia non finisce qui. Resta sua sorella Priyanka, sposata Vadra, di un anno più giovane. Priyanka ha sempre rifiutato di candidarsi ma non ha mai smesso di fare politica: non c’è elezione in questi ultimi vent’anni, in cui non abbia partecipato per promuovere partito e famiglia. Diversamente dal padre Rajiv, dalla madre Sonia e dal fratello Rahul, lei possiede la vocazione che ciclicamente fa perdere la testa agli indiani. Ha il volto più bello e dolce di Indira ma della nonna ha la determinazione, il tocco, la capacità di elettrizzare le folle. Come già fece con la riluttante madre vent’anni fa, il Congress incomincerà a premere su di lei e a convincerla. È certamente una questione di potere, ma non solo: in questo amore-odio che l’India e i Gandhi provano l’una per gli altri, esiste un destino, un karma, al quale il Paese né la sua dinastia possono sottrarsi. Perché, sostiene un guru della nuova economia, Vijay Mahajan, fondatore della business school di Bangalore, «il marchio globale dell’India senza la sua spiritualità, sarebbe un marchio difettoso».
Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 17/5/2014