Cristiana Salvagni, la Repubblica 16/5/2014, 16 maggio 2014
ROBINIA E AGAVE LA GUERRA EUROPEA ALLE PIANTE ALIENE
Con i suoi fiori rosa brillante il fico degli ottentotti tesse tappeti che si espandono finché trovano terra, ma sfratta le piante locali. L’ailanto, o albero del paradiso, sfoggia un fogliame folto ma di divino per strade e monumenti ha giusto la punizione: rompe l’asfalto, spacca le tubature, occupa le aree archeologiche mandando in tilt il bilancio dei comuni. Anche l’ambrosia ha poco a che fare con il nettare degli dei: il suo fiore racchiude un polline ultra allergenico che fa starnutire mezzo mondo. Ancora la robinia è utile al rimboschimento ma si diffonde così in fretta da sostituire gli alberi nativi e l’agave con i bracci spinosi invade coste e aiuole e ruba la luce ai vicini.
Sono questi alcuni esempi delle piante invasive che l’Europa vorrebbe vietare. Specie aliene, arrivate dall’Australia, dalle Americhe, dalla Cina o dal Sud Africa insieme ai botanici e ai grandi viaggiatori per ornare ville e giardini, coltivare i frutti o rinvigorire i boschi. Ma che si sono adattate così bene da prendere il sopravvento sulle specie locali. Tanto che adesso in molti paesi minacciano la biodiversità, colonizzano le zone agricole, provocano fastidi alla salute. Solo nel 2008 sono stati spesi quasi 13 miliardi di euro in Europa per strappare dai fiumi il giacinto d’acqua, sfalciare i prati contro l’ambrosia o eradicare il panace gigante che, se toccato, provoca dermatiti.
Ecco, dal 2016 queste specie potrebbero finire al bando: vietato acquistarle, farle entrare in Europa, anche solo trasportarle attraverso gli stati membri. Nei casi più gravi diventerà necessario eradicarle. Lo prevede una proposta di regolamento esaminata lo scorso aprile dal Parlamento europeo, che verrà approvata ufficialmente nel Consiglio dei ministri dell’Ambiente il 12 giugno. «Il fenomeno è in aumento: l’espansione degli scambi internazionali e dei flussi turistici porterà nuove specie esotiche invasive e i cambiamenti climatici potrebbero persino peggiorare la situazione» spiega il testo legislativo. Meglio correre ai ripari, prevenire invece di curare.
Partendo dalle 162 specie invasive che più flagellano l’Europa (erano 90, quasi la metà, cinquant’anni fa), si dovrà compilare un elenco rilevante per tutti i paesi dell’Unione, che includa cioè quelle piante dannose un po’ ovunque. Per stilare la black list gli Stati membri potranno proporre delle specie da proibire, sottoporre all’esame dei casi concreti: un ruolo a cui l’Italia si prepara da tempo. Già dal 2008 il ministero dell’Ambiente insieme alla Società botanica e all’Ispra individua e cataloga i danni sul territorio: «Abbiamo dato una forte spinta nel promuovere il regolamento perché siamo tra le prime vittime» spiega Renato Grimaldi, direttore generale della protezione natura e mare, «presenteremo una lista di 50 esemplari, animali e vegetali, che intaccano le nostre peculiarità». Alcuni da mettere al bando, altri da tenere sotto stretta sorveglianza.
Vediamo i casi principali. «A Roma l’ailanto aggredisce le zone archeologiche, rovina i monumenti » spiega Giuseppe Brundu, agronomo dell’Università di Sassari che lavora alla classificazione. Diverso è il fico d’India: «Al Sud è di grande interesse agricolo ma va gestito meglio, controllato, altrimenti dilaga e occupa gli habitat naturali di altre piante». E ancora: «Il senecio inaequidens, margherita a fiore giallo diffusa in Valle d’Aosta, minaccia l’apicoltura: ha un polline tossico che rende il miele pericoloso. Come l’acetosella a fiore giallo può diventare letale per le pecore che ne sono ghiotte».
Cristiana Salvagni, la Repubblica 16/5/2014