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 2014  maggio 16 Venerdì calendario

IL TESORO DI ALIBABA


PECHINO
La matematica non faceva per lui: bocciato due volte nel test d’accesso all’università. Provò con l’inglese: prima interprete per comitive sulla Grande Muraglia, poi professore. Infine la scoperta di Internet, anno 1995. Cercò due parole: birra e Cina. Risultati, zero. L’uomo del decennio e l’Ipo dell’anno escono da una combinazione di fallimenti e di folgorazioni. Toccato il fondo, un poverissimo Ma Yun quattro anni dopo si trasformò in Jack Ma e le sue goffe ricerche sul web, in una baracca di Hangzhou, assunsero un nome che solo un sognatore ha il coraggio di dare: Alibaba. «Mi aveva colpito l’eroe buono che apre il Sesamo — ha raccontato anni dopo — e restituisce ai poveri il tesoro dei quaranta ladroni». Testò il brand a San Francisco, per strada. Nessun passante ignorava la favola di Alibabà, tutti sorridevano. Vent’anni dopo, mister Ma si definisce il «coccodrillo dello Yangzi», ha 49 anni, è il miliardario più ricco della Cina e dopo il presidente Xi Jiping è l’uomo più potente di quella che s’appresta a diventare la prima economia del mondo.
La sua creatura, “Alibaba”, è invece un gigante da cui dipendono la ripresa globale e la salvezza finanziaria del “tech”. Dimensioni: 24 mila dipendenti, 235 milioni di clienti, giro d’affari annuo da 250 miliardi di dollari. Scaldati i muscoli sulla piazza di Hong Kong, entro l’estate andrà alla conquista di Wall Street e l’ambizione è trasformare una fiaba in storia. Il bazar digitale della super-potenza comunista che censura la Rete è deciso a sbancare il mercato del simbolo del capitalismo democratico, dove Internet è nato: Alibaba, in poche ore, potrebbe raccogliere tra i 15 e i 20 miliardi di dollari, essere proiettata ad una capitalizzazione di 121 miliardi, irrompendo tra i primi quindici titoli quotati sul pianeta. Meglio di Facebook, o della Visa. Conseguenze di un’umiliazione. «Cina e birra — ha spiegato il giorno in cui per festeggiare il decennale indossò una parrucca bionda cantando per i dipendenti — erano le parole chiave per un sesto dell’umanità, ma sulla voce elettronica del presente neppure esistevano ». Incontrato casualmente Jerry Yang, fondatore di Yahoo, il quadro fu improvvisamente chiaro: Alibaba avrebbe messo in contatto la “fabbrica del mondo”, i produttori cinesi, con il mercato del pianeta, i consumatori americani. Dialogo e affari in tempo reale, tramite i distributori, «tra chi fa e chi usa». Risultato: non un negozio e neppure una vetrina online, come Amazon o eBay, ma un guru del consumismo globale che garantisce la qualità del “clic”. «Serviva qualcuno — ha detto il campione del capitalismo di bambù — che desse forma ai sogni che non sappiamo fare, che assicurasse la bontà della merce, che anticipasse le risorse per possederla, che la portasse in ogni casa e che la ritirasse se non fosse piaciuta». Questo segreto ha consentito ad Alibaba di togliersi qualche soddisfazione: fattura più della somma tra Amazon ed E-Bay, vale il 2% dell’intero Pil cinese, ha spostato sul web l’8% di tutti i consumi della Cina, mette il timbro sull’80% dell’e-commerce nazionale, ha spinto in Rete 600 milioni di connazionali ed entro cinque anni avrà generato un mercato virtuale più ricco di quelli di Usa, Germania, Giappone, Gran Bretagna e Francia messi insieme. Per farcela è andato oltre l’imitazione. I figli di Alibaba, “Taobao”, “Tmall” e “Alipay”, uniscono i consumatori tra loro, i grandi marchi e i piccoli clienti, gli shopping center elettronici e i risparmiatori. Prossimo step: il debutto nel cinema con Pictures Group, società di Hong Kong appena fondata per consegnare agli utenti anche film e musica via streaming.
«La grotta delle meraviglie — parola di “coccodrillo di fiume capace di divorare gli squali dell’oceano” — si rivela un universo, ancora da scoprire». Perché Alibaba non solo è diventato il cuore della classe media più numerosa del pianeta, rendendo tutto sicuro, economico e a portata di mano, ma si è scoperto moltiplicatore straordinario di bisogni. Il nuovo ad Jonathan Lu scherza, rivelando di aver registrato anche il marchio “Alimama”, ma è evidente che aver imposto una necessità ha reso obbligatorio fornirle una risposta. L’umanità chiede merce e Alibaba la costringe a partorirla, come una mamma che allatta i suoi figli. Basta un tocco di tastiera, e si viene sparati nella galassia «dove esiste anche quello che nessuno crede possibile». Lo stile della casa è un mix di glamour, prodigio, scandalo e anteprima. In offerta c’è il laser che succhia il grasso e a fianco la statua di Schwarzenegger, nudo, obeso e con il mitra in mano. Si trovano mutande usate, ma solo fashion e in stock da 24 mila paia, partite di ferro messicano e di petrolio libico, o kit per manicure con la foto di Steve Jobs impressa sull’astuccio. Lo slogan «l’uomo che ami odiare» propone la maschera di Gheddafi, la sezione «canaglie globali » propone quella di Bin Laden, o i baffetti alla Hitler, ordinabili in minimo 300 esemplari. Un gruppo di famosi pittori di ogni continente assicura ritratti di vip, da Paris Hilton, a Cristiano Ronaldo, da Vladimir Putin a Lady Gaga, o le immagini di chiunque spedisca una fotografia: consegna dell’opera, a olio, entro una settimana. Le fiere mondiali dell’hi-tech si sono fatte anticipare sul cappello-karaoke, sull’orologio-vocale e sul carica-tablet che scarica e proietta film. La «farmacia del futuro» anticipa le pillole di caffeina indiana, con l’avvertenza che oltre i 10 grammi si rischia la morte, o le sanguisughe moldave, il meglio per i nostalgici del salasso.
Entrati nella “grotta di Alibaba”, difficile uscirne incolumi. Jack Ma non produce, non vende e non distribuisce, ma offre il tutto che supera la fantasia. Sette milioni di fornitori solo in Cina, clienti in 240 Paesi, commissioni tra 0,5 e 5%, profitti dalla pubblicità e 800 milioni di prodotti: automobili, animali, moda, ville, cibo, materie prime, viaggi, arte, pezzi di ricambio per jet e perfino sorgenti d’acqua in Himalaya, maggiordomi britannici, cene private con le star e partner per la vita. L’ultima trovata, per combattere la noia degli acquisti in solitudine, sono le statuine di personaggi impegnati a defecare, in stile catalano: pochi dollari e sul tavolo del salotto può finire un Lagerfeld a ginocchia piegate e calzoni abbassati, o una Merkel, un Di Caprio, una Naomi, o un Obama. Tradizione, celebrità, dissacrazione e satira politica, per chiarire che Alibaba è sì l’icona dell’epocale passaggio di consegne tra l’influenza Usa e quella della Cina, ma non è condizionata dalla leadership rossa di Pechino. Un’altra mezza verità, dopo lo scivolone dei «fornitori d’oro» nel 2011, che valse al colosso l’indimenticato titolo «Alibaba e i 2.236 ladroni», i fornitori che truffavano i clienti. Perché Jack Ma in patria è un eroe popolare, il partito-Stato lo ha inserito nella sua élite e lui è perfettamente integrato nel capital-comunismo nazionalista dell’«arricchirsi è glorioso». Di più: l’Alibaba lanciato alla conquista del mondo è oggi la spina dorsale dell’autoritario «sogno cinese» di Xi Jinping, fondato sui consumi interni, sulla crescita sostenibile, sullo sviluppo della classe media e sulla creazione di una nuova «cultura cinese delle megalopoli». Alle autorità offre la più ricca banca-dati della Cina, il monitoraggio sulle abitudini degli ex compagni, il ricatto dei loro debiti. In cambio riceve il monopolio del mercato online più promettente del pianeta, protezione politica, garanzia di opacità, la disponibilità della più strabiliante forzaindustriale della storia e presto i capitali cinesi all’estero.
Conquistato l’Oriente, quello che l’Economist ha definito «fenomeno Alibaba» va dunque a caccia dell’Occidente, convinto che americani ed europei siano «disperati e soli come i cinesi », ormai «in balìa dei beni che non avrebbero mai osato immaginare ». Se fallisce l’Ipo a Wall Street fallisce Alibaba, ma pure Jack Ma, Xi Jiping, la Cina e dunque il mondo che da trent’anni si regge sul consumo del superfluo a basso costo, possibile grazie agli schiavi dell’Asia. Una civiltà nelle mani di “mister clic”, genio e-commerciale del «soddisfatti o rimborsati » online. Per questo né Pechino né New York, a malincuore, possono più tagliare le ali al cinese che cominciò con una profezia, studiando l’inglese. Senza toccare uno spillo, genera oggi il maggior valore del pianeta, candidandosi a plasmarlo chinglish , a misura di una nuova «generazione Alibaba». «Fossi nato sotto il Celeste Impero — ha detto il coccodrillo dello Yangzi — sarei stato un generale. E il destino dell’umanità non sarebbe stato quello che conosciamo».

Giampaolo Visetti, la Repubblica 16/5/2014