Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 16 Venerdì calendario

L’INVERNO MITE DIETRO LO STOP ALLA RIPRESINA


A un primo esame, i dati sul prodotto interno lordo italiano, resi noti ieri  a livello europeo, secondo un calendario stabilito da molto tempo, non influenzato dalla data delle elezioni europee, appaiono del tutto scoraggianti: dopo l’incremento dello 0,1% sul trimestre precedente, registrato nel periodo ottobre-dicembre 2013, ecco una contrazione dello 0,1% nel periodo gennaio-marzo 2014.
Conclusione: sei mesi di stagnazione, il tunnel che si allunga ancora e l’estinguersi della luce che sembrava segnalarne la fine. In realtà, come dice un vecchio proverbio, il diavolo (nel nostro caso la speranza) nasconde la sua coda nei dettagli. Un’analisi non superficiale dei dati che tenga conto di questi dettagli induce a risultati sicuramente meno negativi e soprattutto corregge l’impressione di una sconsolata e sconsolante stagnazione. La ricomparsa del segno meno sul principale dato statistico relativo alla congiuntura è infatti dovuta pressoché unicamente a due elementi, uno dei quali può essere definito casuale – e comunque al di fuori del nostro controllo – mentre l’altro presenta un forte elemento strutturale italiano.
L’elemento casuale ci riporta al fattore climatico, troppo spesso snobbato dai mercati che hanno reagito, come altre volte, in maniera affrettata facendo calare vistosamente gli indici di Borsa e salire quasi altrettanto vistosamente lo spread. La contrazione del prodotto è stata determinata in primo luogo dal forte calo produttivo del comparto energetico, dovuta ad un inverno eccezionalmente mite che ha richiesto un minor uso degli impianti di riscaldamento. Rispetto al gennaio-marzo 2013, la «fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria» secondo la dicitura ufficiale dell’Istat, risulta in nettissima diminuzione, addirittura del 9,3 per cento.
Anche la diminuzione della produzione delle raffinerie («fabbricazione di coke e prodotti petroliferi», scesa del 4,7 per cento) deriva sicuramente in buona parte da fattori climatici. Gli inverni troppo caldi, come quelli troppo freddi, durante i quali le strade gelate impediscono in parte lo spostamento delle merci, hanno ripercussioni molto negative sui dati della produzione; in questo stesso periodo, l’eccezionale caduta (-1,4 per cento) del prodotto lordo dell’Olanda è stata spiegata dall’ufficio statistico di quel Paese con la caduta delle esportazioni di gas naturale, di notevole importanza nel panorama economico. L’impressione di un’economia europea complessivamente alla deriva, con una crescita tendenziale dello 0,2 per l’intera area dell’euro e dello 0,3 per il totale dei 28 Paesi membri, deve essere corretta, o per lo meno decisamente attenuata.
La contrazione della produzione del settore energetico non è però sufficiente a spiegare il segno «meno» del prodotto lordo italiano nel suo complesso. E qui entra in gioco un’altra anomalia, questa volta tipicamente italiana, relativa all’industria delle costruzioni, la cui produzione è in forte caduta ormai da anni. Ponendo pari a 100 la produzione dell’industria delle costruzioni del 2010, a febbraio 2014 ci si collocava a poco più di quota 62, una delle contrazioni più vistose mai registrate, se si escludono i tempi di guerra. La situazione risulta aggravata dall’assenza pressoché totale di segnali di rallentamento della caduta e di una successiva, modesta risalita – se si esclude la forte ripresa dei mutui fondiari nelle ultime settimane – che sono ampiamente visibili in quasi tutti i settori manifatturieri. Il detto francese, secondo il quale «quando l’edilizia va, tutto va» può essere letto anche al contrario: quando l’edilizia non va è molto più difficile far ripartire un sistema economico. Escludendo energia ed edilizia, il resto dell’economia italiana mostra ormai abbondanti, anche se certo non spettacolari, segnali di ripartenza e di recupero dai quali può derivare una tenue speranza di rinascita.
Come liberarci di questi «buchi neri» che stanno compromettendo il nostro futuro economico? Il dato del settore energetico manda un segnale chiaro: ci dice che prima o poi dovremo cominciare a fare i conti con un problema globale, come il mutamento climatico in atto, smettere di far finta che non esista e modificare di conseguenza il nostro sistema produttivo. Il dato relativo all’industria delle costruzioni ci riporta invece a un problema squisitamente italiano, ossia la crescente difficoltà di carattere burocratico e procedurale cui va incontro in primo luogo l’industria delle costruzioni ma più generalmente qualsiasi iniziativa imprenditoriale. Basta scorrere le cronache politico-giudiziarie per trovare abbondanti richiami alle tangenti, un costo di produzione occulto ma molto reale; e anche a prescindere dalle tangenti, le complicazioni burocratiche dell’attività costruttiva sicuramente non sono diminuite ma, anzi, quasi certamente aumentate.
Per combattere questa tendenza non possono bastare l’attivismo e l’ottimismo del Presidente del Consiglio, che pure sono ingredienti importanti di una ricetta di ripresa. La semplificazione burocratica, accompagnata da un’unificazione delle procedure, spesso inutilmente diverse da Comune a Comune e da Regione a Regione deve essere un obiettivo centrale dei progetti italiani di rinnovamento, non solo dal punto di vista dell’efficienza ma anche da quello della moralità pubblica. Altrimenti non usciremo dal tunnel e le luci che vediamo in lontananza rimarranno deboli e ingannatrici.

mario.deaglio@unito.it

Mario Deaglio, La Stampa 16/5/2014