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 2014  maggio 16 Venerdì calendario

SETTEMILA DETENUTI IN MENO, MA SIAMO ANCORA LONTANI


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Dietro quelle mura arriva fino a un certo punto l’altalena dei numeri, drammaticamente riassunta ancora ieri dal capo del Dap Giovanni Tamburino – detenuti in calo, aumento di quelli che dispongono di più di tre metri quadri a testa ma ce ne sono ancora 10 mila che «vivono» in meno di quattro metri quadri. Certo, di base sono i numeri quello su cui la Corte europea il 28 maggio misurerà l’efficacia delle misure disegnate (e in parte attuate) dall’Italia in fatto di carceri, per ottemperare alle indicazioni della sentenza Torreggiani dello scorso anno e non incorrere in una marea di ricorsi di detenuti, per le condizioni «inumane» loro riservate.
E allora sì, è bene ricapitolare i passi avanti fatti anche se l’impressione può essere quella di chi vede svuotare l’oceano con un cucchiaio. In un anno si è passati da oltre 66mila detenuti a 59.500, con un calo di 7 mila unità – ricorda Tamburino – che ci allontana almeno in parte dal triste primato del 2012, quando per sovraffollamento delle carceri peggio di noi in Europa faceva solo la Serbia. Siamo di nuovo di fronte a «un trend discendente», rispetto al 2010 la popolazione carceraria è diminuita complessivamente del 15%. Soprattutto il numero uno del Dap traccia un nuovo obiettivo, «arrivare a 50-55.000 detenuti». E questo dovrebbe essere possibile grazie alle ultime riforme, agli accordi siglati dal ministro Orlando perché gli stranieri scontino la pena nei paesi d’origine, e ancora per le conseguenze della bocciatura della legge Fini-Giovanardi da parte della Consulta – in Italia, annotano i radicali, dal 2006 al 2012 sono cresciuti gli ingressi in carcere per droga, i detenuti sono raddoppiati.
Insomma «un primo obiettivo è stato aggiunto – nota Tamburino – oggi tutti i detenuti hanno a disposizione uno spazio superiore a tre metri quadrati. Ora è stata avviata la fase 2, per ridurre i casi di chi rimane confinato tra i tre e i quattro metri quadrati ovvero troppo vicino al margine di tollerabilità». Ma si tratta di ben «18mila detenuti», e il Dap prevede dunque che perché ogni detenuto possa usufruire di spazi tra i quattro e i cinque metri quadrati occorreranno almeno «uno-due anni». Sarà anche per questo che il Guardasigilli Andrea Orlando ha sottolineato, sempre ieri, come sia ancora «insufficiente» il ricorso a misure alternative (erano 12.455 a dicembre 2009, lievitate a 29.223 a fine 2013), su cui invece «occorra puntare in via preferenziale, per dare piena attuazione al dettato costituzionale. Solo così si potrà aggredire il dramma affollamento – e dunque rispondere in modo adeguato alle prescrizioni della Corte europea dei diritti umani –, perché le ragioni del sovraffollamento carcerario «non dipendono soltanto dal numero di reati e di condanne e dall’insufficienza delle strutture». Intanto, ancora a febbraio i magistrati del tribunale di sorveglianza di Venezia hanno accolto i ricorsi di 15 detenuti costretti in celle troppo anguste, intimando al carcere di ampliare gli spazi o altrimenti di riconoscere loro un indennizzo di 100 euro al giorno.
E però, qualunque sia il verdetto Ue, la vita dietro le sbarre rimane intollerabile per altri e tanti motivi. «Non è solo una questione di sovraffollamento» ragiona ad esempio Vito Totire, commentando a Bologna con il circolo Chico Mendes e l’associazione Papillon il secondo rapporto semestrale 2013 dell’Asl di Bologna sul carcere della Dozza. «Quel penitenziario andrebbe evacuato» e ricostruito, conclude senza mezzi termini. Perché al di là del puzzle che rappresenta il fare fronte ogni giorno alle esigenze di 892 reclusi, in spazi che ne dovrebbero accogliere 483, a fare la differenza su condizioni di vita dignitose o meno sono anche l’alto numero di malati (233 i tossicodipendenti), l’assenza di ricovero in isolamento per gli infettivi, le blatte per cui è in corso la disinfestazione, il guano dei piccioni che deturpa le zone aperte, la mancanza di un refettorio con il cibo consumato nelle celle a ridosso delle latrine. Insomma «se anche alla Dozza si arrivasse alla capienza di legge, rimarrebbe la totale insufficienza delle condizioni igienico sanitarie». Un quadro che non è certo isolato, e limitato alla sola Bologna.