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 2014  maggio 16 Venerdì calendario

PERISCOPIO


Ostacolo a vigilanza, truffa e riciclaggio. Mi sa che il vecchio Bazoli rischia i servizi sociali a Cesano Brescione. Maurizio Crippa. Il Foglio.

Primo Greganti non c’entra col Pd. Tre volte pregiudicato per tangenti, è figlio di NN: è nato sotto un cavolo e se lo porta sempre la cicogna. Adesso, alla chetichella, il Pd l’ha sospeso in quanto detenuto perché «in caso di arresto, o di dubbia condotta, le regole sono molto precise». Così precisa che le sue tre condanne a 3 anni e 6 mesi per corruzione e finanziamento illecito al partito (non a se stesso) non costituivano una condotta sufficientemente dubbia per negargli la tessera, né perché Fassino e Chiamparino, renziani anche loro, lo tenessero lontano dalle proprie campagne elettorali, cui Greganti partecipava in prima fila. Marco Travaglio. Il Fatto.

Come segretario del Pci, Enrico Berlinguer riuscì a battere la Democrazia cristiana soltanto da morto, seppure con uno scarto minimo: poco più di 130 mila voti. Accadde alle elezioni europee del giugno 1984, a sei giorni dal suo decesso, grazie a una furbata dei compagni sopravvissuti, che lasciarono la salma come capolista. Va considerato il primo segretario di partito morto di fatica sul lavoro, visto che gli fu fatale un comizio a Padova. Lasciarci la pelle per superare la Dc mi sembra un sacrificio eccessivo. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, I buoni e i cattivi. Marsilio.

È un po’ semplicistico liquidare lo scandalo delle tangenti come ha fatto Renzi, auspicando che «la politica non metta becco». Perché se la politica non cambia il modo con cui gestisce il denaro pubblico, a metterci il becco rimarrà, di nuovo e soltanto, l’opera di repressione dei magistrati, e tra vent’anni saremo ancora qui. Antonio Polito. Corsera.

A mio parere la frattura sociale fondamentale, in Italia, non è fra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. La frattura fondamentale è fra garantiti e non garantiti. O, se preferite, fra società delle tutele e società del rischio. Da una parte dipendenti pubblici e dipendenti delle grandi imprese, la cui condizione poggia su un sistema di garanzie relative solido e sostanzialmente stabile. Dall’altra lavoratori autonomi, operai e impiegati delle piccole imprese, disoccupati, precari, lavoratori in nero, giovani e donne alla ricerca di un’occupazione che nuotano nel vasto oceano del rischio perché la loro condizione è drammaticamente soggetta ai capricci del mercato e le tutele di cui godono sono minime. Questi sono i due mondi che si intrecciano in Italia, talvolta all’interno della medesima famiglia. Luca Ricolfi. La Stampa.

Gianni Agnelli ti ascoltava con attenzione per non più di tre minuti, poi basta. Potevi parlargli anche dell’imminente fine del mondo, ma lui smetteva di ascoltarti. Giovanni Sartori, politologo. Corsera.

C’è anche un altro Salone del libro di Torino 2014. Questo: Dario Franceschini attacca le tv e si becca un sms di rimprovero dal suo predecessore Massimo Bray. George Soros è l’ospite più interessante, ma non se lo fila nessuno. Irrompe Walter Veltroni e per il suo Berlinguer frega la sala più capiente a Luciana Littizzetto, che lascia fuori così metà del pubblico in fila per ore. Quanti Cazzulli: un sosia, e uno vero. Ressa di giovani per la cultura? No, per scattare un selfie al personaggio preferito. E se non c’è nessuno, va bene anche una Winx. Fra gli scaffali spunta una modella russa con un riccone del posto. Ecco il Salone che nessuno ha raccontato. Franco Bechis. Libero.

Verso i 14 anni volevo fare il santo e per tre o quattro giorni ci ho provato, poi ho ripreso a giocare al pallone, andare in bicicletta, guardare le gambe delle ragazze, leggere i libri di Salgari e fare foghino a scuola. Così è finita una grande carriera. Luigi Serravalli, critico e scrittore.

So che qui, magari, non dovrei dirlo, ma mollate anche l’università se pensate che la vostra idea sia una buona idea. E per rischiare sulla vostra buona idea non aspettate di avere 85 anni, buttatevi nella giungla che c’è fuori, quando di anni ne avete al massimo 28 o 30. Flavio Briatore, alla Bocconi.

Mi incantano le braccia poderose di mio padre. Potrebbe fare il pugile. Ha sempre lavorato con la forza fisica. Io, mai. L’idea che la scrittura non sia fatica, mi fa credere che non sia un lavoro. Per farla somigliare a un lavoro, quand’ho finito un capitolo, mi metto le cavigliere di piombo ai piedi, quelle che i giocatori di pallacanestro usano per allenarsi, e cammino di notte per la città. Torno quando sono sfinito. Se non riesco più a muovere i piedi, chiamo un taxi. Solo così mi pare di aver fatto un vero lavoro, come faceva mio padre. E solo così posso addormentarmi. Ferdinando Camon, La mia stirpe. Garzanti, 2011.

Sulle scale ho incontrato mio zio che saliva. Fumava una sigaretta e affannava un po’. Giuseppe Ferrandino, Pericle il nero. Adelphi, 1998.

A un certo momento dell’anno, anche in viale Monforte, scoppiava la guerra amorosa dei gatti. I tetti e i cortili erano pirateggiati dai gatti in amore, e se ne udivano per tutta la notte, agghiaccianti, le voci. Come se cento anime colpevoli, stiracchiate a corde di violino, liberassero, sotto l’archetto del diavolo, i propri atavici rimorsi, le aborrite vendette, le macabre nostalgie. All’alba la prima intirizzita messa, con la sua magra campana che la mano di un sacrista scuote chissà mai dove, sembrava un rito riparatore a quelle orge gattesche d’odio e di lussuria: richiamava gli angeli sui tetti e mandava a casa i gatti odoranti di sangue e di orina. Luigi Santucci, Il velocifero. Mondadori. 1963.

Per un siciliano tutto il mondo sono i dintorni della Sicilia anche se non si va via dalla Sicilia, si fugge. Ferdinando Scianna, Sicilia mondo. Electa.

C’è un notevole vantaggio nella sessualità senile: il cosiddetto istinto che spinge a procreare (cosa dall’utilità discutibile), piglia altre strade: si depura e spiritualizza, o si perverte e si maializza. Ma spiritualizzarsi non è rinunciare, e la maialità è spiegabile con l’indebolimento del controllo mentale. Giovenale dice che i vecchi hanno tutti le stesse facce (una facies senum). Massima sbagliatissima, questa. Le stesse facce ce le hanno i neonati. I vecchi, più si fanno orridi e più sono caratteristici, i loro volti tristi. Guido Ceronetti. la Repubblica.

Gli italiani emigrati in Germania, diventano migliori dei tedeschi. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 16/5/2014