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 2014  maggio 16 Venerdì calendario

SE LA LIQUIDITÀ SI ESAURISCE


Non più di una settimana fa, l’invito alla prudenza sulla sostenibilità del rally dei mercati europei lanciato da BlackRock è caduto nel vuoto. Con le borse ai massimi di 6 anni e i titoli di Stato italiani, irlandesi, portoghesi, spagnoli e greci ai minimi storici, la raccomandazione dell’esperto è passata come la profezia della Cassandra. Meglio rischiare di perdere soldi che perdere il rally, è stato il ragionamento prevalente, tesi peraltro rafforzata dalla tendenza ormai ben radicata a contare più sulla vigilanza anti-speculativa della Bce che sull’analisi tecnica dei titoli e degli indici, sulla situazione macroeconomica mondiale o sull’evoluzione quadro geopolitico. D’altra parte, uno degli effetti collaterali della sbronza di liquidità in cui sono caduti i mercati dopo 4 anni di stimoli monetari sembra essere proprio questo: un’esuberanza irrazionale che se da un lato accentua la propensione al rischio degli investitori, dall’altro permette anche ai politici e ai governi delle economie più fragili - tra cui ovviamente l’Italia - di rallentare il passo delle riforme, diluirne la portata, allungarne i tempi o addirittura di mettere in discussione gli impegni già presi. In alcuni casi, come la Grecia e l’Italia, si è andati persino oltre: non solo si è tornati a dire che lo spread è una truffa e che le riforme sono inutili e dannose, ma - fatto ancor più grave - l’uscita dall’Euro o addirittura dall’Europa sono diventate alla vigilia del voto europeo le parole d’ordine delle piattaforme elettorali dei partiti populisti (e non solo) o in generale d’opposizione al sistema. I mercati, grazie soprattutto alla liquidità messa a disposizione dalle banche centrali, hanno finora sostanzialmente trascurato i rischi reali di questa visione distorta della realtà, contando anche sul fatto che la ripresa economica in corso negli Usa e attesa in Europa avrebbe sgonfiato le spinte estremiste o populiste alimentate dalla recessione e dalla crisi occupazionale. E nella stessa ottica, hanno persino commesso l’errore di sottovalutare la portata dello scontro tra Russia e Ucraina, relegandolo a poco più di una crisi regionale: salvo poi accorgersi, come è successo ieri, che anche loro hanno sbagliato i calcoli: non solo l’economia europea arranca sotto il peso delle economie tradizionalmente deboli che poco o nulla hanno fatto per risanarsi, ma è tornata persino a rischio la tenuta politica dell’Eurozona, ormai chiaramente minacciata da un eventuale successo elettorale dei partiti anti-euro. E poi c’è la Russia: la minaccia lanciata ieri da Putin di chiudere i rubinetti del gas all’Europa se l’Ucraina non salda subito la sua bolletta energetica è stata non solo una delle cause principali dell’ondata di vendite che ha colpito i mercati europei, ma anche un monito chiarissimo a non sottovalutare la propensione del Cremlino a richiudere la cortina di ferro. E in uno scontro tra la Russia e l’Occidente, né il bazooka di Draghi né le manovre della Fed sarebbero in grado di limitare i danni al commercio mondiale. Questo è quanto accaduto ieri. Per la prima volta negli ultimi 4 anni, i mercati hanno messo in discussione l’illusione della liquidità che cura tutti i problemi politici ed economici: la liquidità salva le banche, ma se non arriva alle imprese l’economia non riparte. Ma soprattutto, hanno cominciato a ponderare meglio la fiducia accordata agli impegni di risanamento di quei Paesi europei - in primis Italia e Grecia - che hanno rischiato 4 anni fa di essere travolti dalla crisi del debito. Non è un caso se ieri proprio Roma e Atene siano stati i detonatori dell’esplosione ribassista sui mercati: la Grecia perché si era diffusa la notizia di una possibile nuova tassa a carico degli investitori esteri che possiedono bond greci, l’Italia perché gli investitori hanno subito preso per buona l’indiscrezione di una possibile tassa retroattiva sui BTp. Entrambe le suggestioni sono state subito smentite dai rispettivi governi, ma senza produrre effetti: i tassi dei BTp e quelli dell’intera scuderia dei Piigs sono tornati a salire più velocemente di quanto erano scesi. In questo caso, è evidente quanto sia ancora pesante il deficit di credibilità che subisce ancora il nostro Paese. Senza contare che tanto per l’Italia quanto per la Grecia, tutti gli operatori di Borsa hanno messo in evidenza tra le ragioni che hanno spinto a vendere il peso crescente dei partiti anti-euro nei sondaggi elettorali: nessuno discute il fatto che il voto è sovrano e che ogni paese ha il diritto di scegliersi il governo che vuole, in casa e in Europa. Ma è altrettanto vero che anche chi investe ha il diritto di scegliere quale sia il mercato più affidabile per coltivare i risparmi, e soprattutto quello che offre le migliori condizioni per la loro crescita. Di questo è bene che si tenga conto non solo in Italia, in Grecia o in Spagna. Ma soprattutto a Berlino e Bruxelles, dove anche i fautori del rigore e delle riforme draconiane dovrebbero cominciare a riflettere su quale sia oggi il vero interesse comune. I dati sul Pil europeo del primo trimestre confermano infatti che la distanza tra economie forti ed economie deboli si sta accentuando, e che persino paesi come l’Olanda e la Finlandia che sembravano ben inseriti nella corazzata mitteleuropea cominciano a presentare crepe economiche paurose, così come sta avvenendo anche in Francia. La liquidità non basta più. Serve una guida politica che rassicuri i mercati e che faccia sentire meno periferica quella parte d’Europa che non riesce a stare al passo. La politica monetaria funziona se c’è una leadership nelle riforme e una politica industriale che orienta la bussola degli investimenti, reali e finanziari. Poiché, come abbiamo visto, non c’è una sola ragione forte, nuova o imprevista che possa giustificare il crollo subito ieri dai mercati, si può sperare che il segnale sia stato colto.

Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 16/5/2014