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 2014  maggio 16 Venerdì calendario

LA PATENTE

[Cronaca e stress di un documento irraggiungibile] –

La faccia del medico non lascia speranza. Il camice aperto, la pancia prominente, l’occhiale sulla punta del naso: “Ennò signora, lei deve proprio cambiare categoria, da speciale a normale. È la nuova legge, non c’è niente da fare”. In un pomeriggio di primavera col sole che scotta, c’è un’umanità stipata nel seminterrato di una Asl del Lungotevere. Sono anziani, diabetici, malati di Alzheimer e Parkinson, epilettici, ipovedenti, audiolesi, schizofrenici e depressi gravi. In mezzo, con disagio, i ragazzi beccati al volante con un bicchiere di troppo in corpo, altri positivi alla cocaina o alla cannabis: sguardi a terra e cartelline strette al corpo per tutelare un minimo la privacy.
All’ingresso, un signore con badge al collo ha già fatto la prima scrematura, mandato la gente allo sportello giusto per la verifica preliminare dei documenti: cartelle cliniche iper complete, bollettini postali ben compilati e già pagati (almeno tre foglietti a testa), bollo da 16 euro, autocertificazioni di varia natura, foto-tessera recente e ammennicoli di complemento. Passato il turno, ecco il numerino da tenere in mano, e le seggiole in plastica dove tentare la seduta. Non è semplice, i signori col bastone sono parecchi, tanti restano in piedi. Così si aspetta in sala A, per la prima chiama. Poi si passa alla B, pronti per il momento clou: la visita. “Ho detto numero 78, 79, 80 e 81: dove stanno?” si spazientisce la dottoressa addetta agli ingressi in ambulatorio. I chiamati, assopiti dal tepore e dal ronzio dei neon, si alzano, raccolgono le forze da mostrare alla commissione medica pronta a valutare il caso: si può rinnovare la patente sì o no? È ora di restituire il permesso di guida a chi ha abusato di sostanze, e che per i sei mesi canonici s’è tenuto alla larga dai guai esibendo infine esami del sangue degni di un bebè?
Dentro lo stanzone spoglio, tra le pareti gialline, giunge il momento della verità: tre uomini in camice bianco siedono dietro una cattedra piena di plichi, fogli, penne, evidenziatori, cartelle, foglietti rosa e azzurri, matrici e ricevute preziose per garantire l’iter dei carteggi. La visita dura tra gli 8 e gli 11 secondi: “Ci vede lì? Legga. Basta così”. Il problema viene dopo, quando il difetto di vista che giustificava una patente B speciale, con esame obbligatorio della commissione medica, è diventato meno importante, e va a finire nella B normale. “È cambiata la legge – insiste il dottore con gli occhiali –, perciò il suo non è un vero rinnovo, ha capito signora?”. Passare da una categoria sotto controllo speciale a quella normale pare una buona cosa, ma è la dottoressa che alla fine sputa il rospo: “È che adesso deve andare alla Motorizzazione a fare le pratiche, non possiamo dargliela noi la patente, è chiaro?”.
Uscendo verso la sala C, dove la massa cartacea viene restituita al candidato con qualche foglio in meno e parecchi timbri in più, si cerca conforto presso gli astanti: scusate, anche voi dovete andare alla Motorizzazione? Sapete come funziona? Scatta la discussione di gruppo, ognuno ha tesi e teorie sulle mosse da non sbagliare. Innanzitutto: Salaria o Cecchignola, cioè estrema periferia nord o sud? La sede a sud è meno incasinata, dicono i più esperti, ma gli sportelli accettano solo pochi numeretti, e poi si deve tornare il giorno dopo. In effetti il sito avverte: “Alcuni servizi, per motivi interni di organizzazione del lavoro e di ottimizzazione delle risorse umane, rispettano i seguenti orari”. Segue sudoku di mezze mattine e rari pomeriggi in cui infiltrarsi per le proprie incombenze.
Naturalmente, nessuna delle due sedi è facilmente raggiungibile: una sta sul Grande Raccordo Anulare, l’altra in un quartiere trafitto da strade a scorrimento velocissimo, dove anche in pieno giorno le signorine stazionano alle fermate del bus senza salirci mai. Eppure, raggiunto il palazzo tutto cemento e vetri a specchio, la speranza di essere vicini alla meta sorge spontanea. C’è un cartellone gigante da leggere, una mappa da interpretare, le macchinette coi ticket, i soliti gabbiotti dove i dipendenti ammassano carte e tormentano tastiere. I numeri col beep aprono la giornata, si parte, si aspetta, si ascoltano le storie di chi la sa lunga: “Eh, quando je dai l’autocertificazione sulle malattie te fregano sempre. Conviene annà all’Aci, lì ci sta il poliziotto che ti fa tutto in cinque minuti, paghi 20 euro e addio”. “Eh, la fai facile te, io con la visita sto a posto da un pezzo, ma è per la residenza che sto a impazzì: quanno ho fatto la richiesta ar Comune non m’hanno dato er modulo per la patente, e mo’ è la terza volta che torno qua. Ma dico io: nun se possono mette’ in rete tra loro e controllà ar Comune”?
Sulle pareti i poster lo scrivono chiaro: da gennaio le procedure per i rinnovi sono agili, snelle, telematiche. Gente che ha perso il portafogli, gente borseggiata nella metro, gente che ha storie più complicate: tutti sospirano leggendo i messaggi confortanti alle pareti, in attesa del proprio turno. “Salve, devo fare un cambio da patente speciale a normale”. Dopo lenta disamina della pratica c’è una smorfia: “E la foto autenticata dal suo municipio?”. Cioè: vecchia patente (ancora valida) e carta d’identità (valida) non sono sufficienti a individuare il soggetto richiedente? “No. Deve andare al municipio suo, chiedere un’autentica della foto, e tornare qua. Tenga, le do già i moduli che ci dovrà consegnare”. Ma poi la patente me la date? Nessuna altra gabola? “Intanto le daremo un permesso fac-simile, poi quando la pratica verrà ultimata mandiamo a casa la tessera”. E se si perde? “Noooooo, è assicurata con le Poste Italiane, casomai la ritira lì”. Siamo sicuri che non ve la rimandano indietro in caso di mancata consegna? Già una volta ho avuto problemi con una raccomandata importante...”. L’impiegato a quel punto cede, ha un moto di solidarietà: “Per carità, la recuperi a ogni costo: se non la intercetta lei, dalle Poste va dritta al ministero. E lì la devono distruggere. Stia attenta, mi raccomando”.

Chiara Paolin, Il Fatto Quotidiano 16/5/2014