Stefano M. Torelli, Sette 16/5/2014, 16 maggio 2014
LIBIA UN PAESE, DUE PREMIER
Non c’è pace per la Libia del dopo-Gheddafi. L’ultima bizzarria è stata la presenza, per circa 48 ore, di due primi ministri in carica contemporaneamente. Ciò è accaduto dopo che l’ex capo del governo Abdullah al-Thinni si era dimesso il mese scorso in seguito a un fallito attentato contro la sua persona e alle continue minacce di morte ricevute anche contro i membri della sua famiglia. Il parlamento libico provvisorio (il Congresso nazionale generale), dopo una serie di sedute, sembrava essere riuscito finalmente a nominare un nuovo primo ministro, con soli 121 voti a favore (la maggioranza si raggiunge con 120 voti), accordandosi sul nome di Ahmed Maetig, quarantaduenne uomo di affari proveniente dalla città di Misurata. Neanche il tempo di prestare giuramento, che è arrivato il coup de théâtre: alcuni membri dello stesso parlamento che lo avevano eletto, tra cui il vicepresidente del Congresso Ezziden al-Awami, hanno dichiarato la votazione nulla, in quanto in realtà sarebbe stata sostenuta soltanto da 113 membri del parlamento. Risultato? Al-Thinni è stato invitato a rimanere in carica ad interim in attesa di una nuova nomina, mentre Maetig continuava a resistere: la Libia aveva di fatto due primi ministri. La situazione sembra essersi temporaneamente risolta con l’intervento del presidente del Congresso Abu Sahmain, che ha dichiarato valida la votazione che aveva nominato Maetig. Tutto risolto? In realtà no, dal momento che, dal punto di vista politico, il nuovo primo ministro dovrà adesso formare un nuovo governo e passare ancora al vaglio del Congresso per il voto di fiducia. Dal punto di vista della stabilità del Paese, inoltre, non sembrano registrarsi significativi passi in avanti. La stessa vicenda del doppio primo ministro ben rappresenta la confusione che regna nel Paese, ma a preoccupare ancora di più è la situazione della sicurezza. In un contesto ancora non stabilizzato, infatti, la continua presenza di milizie armate e gruppi radicali islamisti (provenienti anche da Paesi vicini come la Tunisia e l’Egitto), rischia di far saltare qualsiasi progetto di transizione democratica di lungo termine e di rendere la Libia una sorta di buco nero all’interno del Nord Africa. Basterà l’ennesimo “nuovo” primo ministro a risolvere la situazione?