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 2014  maggio 16 Venerdì calendario

BELLE KNOX DE JOUR


In 26 minuti e tre atti, per stare sul classico. Atto primo: in uno studio di casting la brunetta Belle Knox in mini lingerie si denuda rapidamente davanti a esaminatrice biondina che la riprende con videocamera. Atto secondo: dopo breve fase solista inizia scena di sesso non penetrativo tra Belle e la biondina. Atto terzo (molto lungo, in Aristofane sarebbe anomalo): entra tizio muscolato in canotta bianca armato di membro spettabile, cui Belle si dedica per i successivi venti minuti in diverse posture dalla fellatio al coito. Il tutto con la complicità sapiente della biondina: in gergo, una variante del “threesome”. Con la protagonista assai disinvolta e a proprio agio, per l’età che ha: 18 anni appena. Benedetta da un corpo flessuoso, leggero e armonico nel muoversi come certe modelline asiatiche.
Questa finta iniziazione made in Los Angeles (accessibile su Youporn, la potenza occulta del Web) non l’ha girata Scorsese e non sarebbe più audace di altre consimili; non fosse per la fanciulla, la cui storia ha scatenato negli Stati Uniti un vespaio mediatico e culturale come non accadeva da tempo. Belle Knox non è la prima studentessa ad arrotondare part time nell’industria del porno; ma è la prima neoiscritta (sociologia e women’s studies) a un’università di élite, nella Top 10 poco dopo Harvard, la Duke University di Durham, North Carolina. Da Duke sono usciti il presidente Richard Nixon, la filantropa Melinda Gates (Microsoft), gli ipermanager Tim Cook (Apple) e Rick Wagoner (General Motors), il banchiere John J. Mack (Morgan Stanley), premi Nobel come Wole Soyinka (letteratura) o Joseph Stiglitz (economia).
Il caso è esploso con l’outing dell’identità della studentessa, all’anagrafe Miriam Weeks, da parte di compagni smanettoni e maligni; si è sviluppato con un’aggressione violenta sul Web, poi con un acceso dibattito tra colpevolisti e innocentisti. Il bilancio, per ora, è a favore di lei, la «puttana», la «irresponsabile»: crescenti offerte come pornoattrice, oltre 30 video girati; coinvolta nel reality show “The Sex Factor”; fotografata per “Penthouse”; ospitata come blogger su “Huffington Post”, dove è definita «sex-positive feminist». Una storia postmoderna, che merita di essere ricostruita.
IL FATTO SCATENANTE
È stata la decisione di Miriam di reagire all’insostenibile retta di Duke, ben 60 mila dollari l’anno (quattro volte la Bocconi di Milano) contattando un sito di video porno. «Non me la potevo permettere», ha dichiarato, «la mia famiglia si è sottoposta a un pesante impegno finanziario, e ho intravisto la possibilità di iscrivermi al college che sognavo senza indebitarmi». La ragazzina cresciuta a Spokane, Washington, non è una scappata di casa. Il padre è un rispettato medico militare. Lei ha fatto un liceo privato cattolico, buoni voti, volontaria in una charity che inviava depuratori d’acqua in El Salvador, cameriera in una casa per anziani. Ha scoperto la pornografia a 12 anni, ha perso la verginità a 16. E ha ammesso un breve periodo di depressione. Oggi si definisce (sul sito femminista xojane.com, dove ha scelto di esporre la sua autodifesa) «una bisessuale con molte fantasie», a proprio agio «nel mio ambiente artistico: la mia passione, la mia felicità, la mia casa».
L’ambiente artistico? È l’industria del porno di Los Angeles, dove si reca in aereo a girare le scene incriminate che, inizialmente, le fruttavano 1.200 dollari in un pomeriggio. Poi il tariffario è salito. Intanto Miriam ha scelto il nome d’arte: Belle si ispira a “La Bella e la Bestia”, Knox è uno sconcertante misto di Amanda (la studentessa implicata nell’omicidio di Meredith Kercher a Perugia) e Fort Knox, sede delle riserve auree degli Usa. Nei video online, la ragazza, che è minuta, 1,63 per 44 chili, ma accattivante, con un bel sorriso e occhi intelligenti, si dedica a pratiche che sconfinano nel sesso rude, il “rough sex”. Ce n’era e ce n’è per suscitare, nell’America a dominanza protestante-puritana, un putiferio.
ACCUSE E DIFESE
Del caso si sono occupati i media più importanti, Abc, Cnn, “Time”, “New York Times”, i maggiori blog, le tv del Midwest. Il primo attacco però è partito dal Web. Ovvero da un universo che si regge largamente, in termini economici, sul porno. Forzando: dagli stessi utenti porno che, forse, proiettano sulla sfacciataggine di Belle (non ha nemmeno l’età per consumare alcolici) i propri sensi di colpa. La ragazza ha 63 mila follower su Twitter, la sua pagina Facebook “piace” a oltre 7 mila; eppure dal Web sono partite raffiche di insulti di cui «slut» («troia») è il più banale. Chi le ha augurato malattie, disgrazie, violenze, stupri rieducativi. Una “shitstorm”, come usa dire: una tempesta di merda.
Nei media c’è imbarazzo. Una conduttrice della Cnn, accortasi che la psicologa che stava intervistando sul caso Belle tendeva a sdrammatizzare, ha ritenuto di dover ammonire i telespettatori circa la gravità della faccenda. C’è chi ha chiesto l’immediata espulsione dalla Duke University; a oggi non è avvenuto. Severo il “Los Angeles Times”: Belle Knox è una falsa femminista, un’esibizionista, un’astuta manipolatrice. «La pornografia è essenzialmente prostituzione protetta dal primo emendamento». Sul “Washington Post” Ruth Marcus la definisce «una giovane donna disturbata» che dovremmo tutti compatire. Il settimanale “Week” l’ha attaccata ricordando che «il porno tuttora opprime le donne», perché i suoi canoni sono sempre maschilisti; lo scarso uso del preservativo è pericoloso (niente precauzioni nei video di Belle); i set sono luoghi di puro sfruttamento.
Lo stesso “Huffington Post” (che a fine aprile le ha poi offerto un blog) poche settimane prima, attraverso Stefanie Williams, smantellava il presunto «femminismo» di Belle bollandolo come fantasia fasulla. Anche qui: le malattie trasmissibili; le droghe; lo sfruttamento, anzi la distruzione del corpo femminile; l’irresponsabilità. Poi l’affondo, inconsueto per il galateo mediatico Usa: «Nessuna donna dovrebbe essere convinta a farsi eiaculare sulla faccia da uno sconosciuto per intrattenere un pubblico, pur di potersi pagare la retta universitaria». E ancora: «Vedere una ragazzina che dimostra 14 anni portarsi al viso un pene grosso come il mio avambraccio a me non sembra affatto un rafforzamento della persona». Belle, a molte femministe “tradizionali”, sembra anzitutto una vittima dell’industria del sesso. E, al contempo, una furbastra, abile a manipolare l’opinione pubblica ma destinata a finir male.
Attenzione, però. Le femministe “libertarie” la difendono. Megan Murphy, canadese, fondatrice del blog Feminist Current, tuona: «Il femminismo è la nuova misoginia». Ritiene legittima la scelta di una ragazza di consumare pornografia e identificarsi con essa liberamente, nelle fantasie e nelle pratiche. Persino “Time” ospita opinioni libertarie: Belle nega il sesso violento, «insiste nell’affermare che non è il suo caso e dovremmo crederle». Amanda Hess, di “Slate”, di dichiara sua follower. La pornostar Stoya, sul “New York Times”, difende le sue scelte, incluso lo sdoppiamento tra studentessa e performer.
PAROLA DI BELLE
L’asserito femminismo della ragazza è al centro di dispute accese. Su xojane.com lei argomenta con notevole proprietà di linguaggio. Respinge le accuse di partecipare a produzioni basate su fantasie di stupro. Distingue tra «rough sex» e violenza. «Non sono mai stata forzata o minacciata. Ogni mio atto è stato consensuale». Si schiera per i diritti dei sex workers. E un po’ si contraddice: «Dovremmo dar voce alle tante donne che in quest’industria sono sfruttate e abusate. Insultarle non è il modo per raggiungere lo scopo». Finta sindacalista! le hanno sibilato in molti. Ma Dan Miller di “Xbiz”, un sito di news del settore, si aspetta un’ondata di studentesse pronte a imitarla.
Altro scandalo Belle lo ha prodotto nel dichiarare in allegria: «Girare porno mi dà una gioia inimmaginata». O anche: «La mia esperienza nel porno non è stata altro che solidale, eccitante, un rafforzamento della mia persona». Il termine usato è “empowering”, che contiene “potere”. Lei si dice «scioccata» dalla violenza degli insulti ricevuti sul Web. Alle accuse di essere «una porca che dovrà subire le conseguenze delle sue azioni» risponde fredda: «Io so esattamente cosa sto facendo. Voi, invece?».
A volte Belle si perde in banalità. Che la dicotomia santa-puttana è superata; che i sex workers sono esclusi dalla rispettabilità sociale; che il sesso è un diritto delle femmine come dei maschi; che l’aspettativa sulle donne è: «pure e modeste», ma insieme «seduttive e disponibili». Un femminismo, diciamo, un po’ orecchiato.
MORALE IN MUTAMENTO
Questa, dunque, la vicenda della “Duke porn star”. La domanda è: che significa, in chiave culturale, di evoluzione del costume? Il caso colpisce per più motivi. Primo. Scaturisce in una cornice sociale di privilegio, una università privata di élite, con i suoi codici, tra cui il motto, risalente al 1859, “Eruditio et religio”. Secondo. Rivela, malgrado la furia di certe reazioni, lo slittamento del senso del pudore in una società a vocazione (seppur calante) protestante-puritana. Terzo. Sancisce una tappa importante per la fuoruscita della pornografia dall’underground culturale. Il porno, fenomeno potente e sottaciuto della Rete, diventa un tema affrontabile in contesti condivisi. Tabù su masturbazione, bisessualità, fantasie violente, perversioni cominciano a sfumare. Quarto: si spacca il campo post femminista: in una vecchia guardia, anti-porno e separatista, e un’area libertaria e sex-positive.
UN PO’ DI BUON SENSO
Nessuna morale, alla fine della storia. Alla luce delle posizioni emerse si potrebbe suggerire di togliere dramma e aggiungere ironia. Anche un poco di prudenza, riguardo al rischio salute, e alla libera volontà della persona. Belle potrebbe rileggersi un’osservazione affettuosa che faceva un accanito libertino, Henry Miller, autore dello scandaloso “Tropico del cancro” del 1934. Alle gaie fanciulline che rimorchiava nei locali di Montmartre, persino Miller raccomandava sempre di distinguere: tra la «fica» e «una valigia». Così, per buon senso.