Vittorio Malagutti, L’Espresso 16/5/2014, 16 maggio 2014
AAA VENDESI TITOLI CRISI ALLO SPORTELLO VENETO BANCA
Ce la farà la signora Anna Bazzaco? Riuscirà a vendere le sue azioni Veneto Banca dopo un anno e più di tentativi a vuoto? Sono centinaia, c’è chi dice duemila, i piccoli risparmiatori che non riescono a disfarsi dei loro titoli per mancanza di acquirenti. Artigiani, professionisti, semplici pensionati: tutti in coda da mesi per vendere. E molti di loro, compresa la signora Bazzaco, il 26 aprile scorso sono andati a protestare all’assemblea del grande istituto cooperativo, che non è quotato in Borsa, ma può contare su oltre 75 mila azionisti in gran parte concentrati nella marca trevigiana e nelle altre province del Nordest.
Niente da fare, almeno per ora. I venditori abbondano. I compratori sono una rarità. E Veneto Banca non può ritirare i titoli sul mercato in attesa di piazzarli. In passato lo ha sempre fatto. Adesso però non può più permetterselo. Anzi, colpita dalla crisi più grave della sua storia, la banca di Montebelluna è costretta a chiedere aiuto ai soci.
Servono soldi, e in fretta, dopo che la Banca d’Italia, intervenuta a più riprese nell’arco degli ultimi 18 mesi, ha imposto misure urgenti per rafforzare il patrimonio, arrivando a minacciare il commissariamento dell’istituto. E così, entro agosto, dovrebbe partire un aumento di capitale per raccogliere fino a 500 milioni. Poi ci sono 350 milioni di un prestito obbligazionario convertibile in azioni. E altre risorse dovrebbero arrivare quanto prima dalla vendita della controllata Banca Intermobiliare (Bim).
Questa, in breve, la cura prescritta dalla Vigilanza. Nel frattempo è già arrivato il ribaltone al vertice. Fuori il presidente Flavio Trinca e tutti gli altri consiglieri. L’amministratore delegato Vincenzo Consoli, in sella dal 1997, ha fatto un passo indietro, ritagliandosi un ruolo da direttore generale con stipendio dimezzato. Alla presidenza è salito un professore di Economia dell’università di Padova, Francesco Favotto, e nel board rinnovato per intero c’è una folta rappresentanza di imprenditori locali. Quasi tutti, come il vicepresidente Alessandro Vardanega, controllano aziende da tempo in affari con Veneto Banca. Per la famiglia Zoppas, quelli dell’acqua minerale San Benedetto, la poltrona di consigliere è passata di padre in figlio: fuori Gianfranco Zoppas, dentro l’erede Matteo. Come dire, rinnovamento sì, ma fino a un certo punto. Lo dimostra il caso del sindaco supplente Alberto Trinca, figlio del presidente uscente Flavio.
Il mandato dei nuovi amministratori è chiaro: mettere in sicurezza i conti seguendo le indicazioni della Banca d’Italia. A Montebelluna, com’era prevedibile, non l’hanno presa bene. Per settimane i politici locali, con in testa il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, hanno soffiato sul fuoco della polemica contro il «centralismo romano» che vuole colpire «l’intero sistema delle banche territoriali». Polemiche, accuse, schiamazzi, come se i numeri di bilancio, con i 140 milioni di perdite in due anni (2012-13) e l’esplosione delle sofferenze (ormai pari alla metà dei mezzi propri) fossero il frutto di una congiura di Bankitalia.
Adesso, però, le chiacchiere stanno a zero. Bisogna raddrizzare i conti, anche perché incombe il verdetto di un’altra Vigilanza. Questa volta tocca alla Banca centrale europea (Bce), che in questi settimane sta completando la cosiddetta "Asset quality review", sui bilanci dei principali istituti dell’area euro. Senza interventi urgenti, il rischio bocciatura è concreto. E questa volta sarebbe Francoforte, e non Roma, a mettere sotto tutela l’istituto presieduto da Favotto.
Niente paura. I vertici di Veneto Banca, a quanto pare, pensano in grande. Il piano industriale 2014-18 scandisce le tappe di una rimonta a tutta velocità, con obiettivi a dir poco ambiziosi. Il documento è ampiamente citato in una recente perizia (3 aprile) commissionata dal consiglio di amministrazione uscente a due professionisti di fama come l’ex rettore della Bocconi, Angelo Provasoli, e Lorenzo Pozza, anche lui docente nell’ateneo milanese. I due esperti prendono i numeri del piano come base per attribuire un valore alle azioni di Veneto Banca.
Ed eccoli, i numeri. Già nel 2016 l’utile dovrebbe toccare i 222 milioni, per salire a 334 milioni nel 2018, ovvero quasi il triplo dei risultati raggiunti negli anni d’oro, tra il 2009 e il 2011. Il rapporto tra costi e ricavi fermo al 64 per cento nel 2013, dovrebbe crollare fino a quota 48. Nel frattempo il grado di copertura delle sofferenze dovrebbe salire dall’attuale 44 per cento al 48 per cento. In altre parole, Veneto Banca dovrebbe cominciare a crescere a una velocità ben superiore rispetto alla media del sistema creditizio. Una crescita che, nelle previsioni del piano, sarebbe sostenuta e alimentata anche dalla ripresa del ciclo economico. Via libera a nuovi crediti, quindi, con i prestiti alla clientela destinati a passare dai 26,3 miliardi del bilancio 2013 ai 30 miliardi previsti nel 2018.
Fin qui gli obiettivi del piano. Resta da vedere se previsioni tanto impegnative verranno in effetti rispettate. Poco male, perché strada facendo gli amministratori potranno sempre correggere la rotta. Intanto, però, quegli stessi numeri sono serviti a Provasoli e Pozza come base per giustificare il metodo di valutazione delle azioni Veneto Banca.
Anche l’istituto di Montebelluna, come altre Popolari non quotate in Borsa, stabilisce di anno in anno il prezzo dei propri titoli. Per il 2014 è stato fissato un valore di 39,5 euro, inferiore ai 40,75 euro di dodici mesi prima. Il ribasso è una novità assoluta. Da tempo immemorabile la quotazione fatta in casa non faceva che aumentare, a dispetto dei risultati di bilancio e dell’andamento dell’economia. Peccato che adesso, causa crisi, il mercato si è estinto. A quei prezzi nessuno è disposto a comprare quei titoli. E ai piccoli azionisti non resta che aspettare tempi migliori. Nella speranza che la banca abbia davvero voltato pagina.