Emiliano Fittipaldi, L’Espresso 16/5/2014, 16 maggio 2014
MA QUANTO CI COSTANO I FILM IN TV
Rai Cinema è come “Blade Runner”: si vedono cose «che voi umani non potreste immaginare». Triangolazioni con piccoli produttori italiani che comprano decine di film da società ungheresi per rivenderli alla Rai a costo maggiorato, 600 mila euro dati a un falso broker con l’hobby della regia poi arrestato perché in odore di camorra, diritti di opere prime di perfetti sconosciuti pagati oltre un milione di euro, telenovela argentine (“El refugio”) acquistate con i soldi pubblici a prezzo (quasi) doppio rispetto a quanto speso in origine da società intermediarie. Senza parlare di milioni di euro investiti in librerie di pellicole spazzatura mai mandate in onda.
Leggendo i documenti riservati che “l’Espresso” ha visionato si potrebbe sceneggiare una serie a metà tra il comico e il drammatico, anche se alla procura di Roma hanno poca voglia di scherzare. I pm, infatti, dal 2011 stanno cercando di capire se in Rai girino mazzette e se a Viale Mazzini esista un sistema simile a quello messo in piedi da Silvio Berlusconi e dal mediatore della Paramount Frank Agrama, che gonfiando i prezzi dei diritti televisivi delle pellicole hanno evaso milioni di euro e creato fondi neri in Mediaset.
AMICI MIEI
In attesa che i pm Barbara Sargenti e Pierfilippo Laviani arrivino a concludere l’istruttoria (per ora si ipotizzano solo alcuni reati di evasione fiscale da parte della Cbs, e nessun dirigente Rai risulta indagato) leggere alcuni contratti stipulati tra Rai Cinema e i suoi fornitori ti tiene comunque incollato alla poltrona. Studiando le carte molte scelte editoriali lasciano sbalorditi, tanto che anche la Corte dei Conti sta analizzando fatture e accordi per capire se è stato sprecato - come sembra - una valanga di denaro pubblico.
Partiamo dal 2011. A luglio Paolo Del Brocco viene nominato amministratore delegato di Rai Cinema. Giovane e ambizioso, il dirigente conosce l’azienda come le sue tasche: alla nascita della spa è subito inserito nell’ufficio “Amministrazione e controllo” (l’ad al tempo era Giancarlo Leone), mentre nel 2007 il dg Claudio Cappon, prodiano di ferro, lo vuole nuovo direttore generale del settore. L’ultima promozione avviene sotto il berluscones Mauro Masi: Del Brocco ha relazioni istituzionali bipartisan, e viene scelto come nuovo numero uno di Rai Cinema al posto di Caterina D’Amico.
Ad ottobre 2011 Del Brocco - forse immemore delle polemiche scatenate qualche mese prima a causa del milione di euro che Rai Cinema aveva regalato a Michelle Bonev, ai tempi molto vicina a Berlusconi, per i diritti di un film - decide di investire la bellezza di un milione e 75 mila euro per il pre-acquisto dei diritti del film “100 metri dal Paradiso”, un lungometraggio su un gruppo di atleti del Vaticano che partecipa alle Olimpiadi di Londra. Il regista è Raffaele Verzillo, autore di “Animanera”. «Niente di strano. Investire sugli esordienti è parte della nostra mission. “Smetto quando voglio” l’abbiamo pagato, mi sembra, 1,4 milioni».
Nel cast di “Smetto quando voglio” dell’esordiente Sydney Sibilia, però, c’erano attori di cassetta come Neri Marcorè, Valeria Solarino, Pietro Sermonti e Libero De Rienzo, e a garanzia del progetto c’era un gigante come Procacci. La società di produzione di “100 metri dal Paradiso”, invece, si chiama Scripta. Fondata nel 2010 da Verzillo, suo fratello e l’attore (che sarà protagonista della commedia) Domenico Fortunato, ha come soci di maggioranza una piccola società di Viterbo, la Tecnomovie, e, a sorpresa, Luana Ravegnini, storica soubrette della Rai che ha abbandonato le scene dopo aver sposato un amico di Del Brocco, l’imprenditore Renato Della Valle. Un immobiliarista che Berlusconi volle come partner dentro Telepiù, ancora oggi vicinissimo all’ex premier.
A fine 2011 Ravegnini e soci possono brindare: Rai Cinema ha sborsato oltre un milione, e non ha nemmeno preso tutta la quota dei diritti. Il milione copre solo una quota minoritaria, il 38 per cento, del territorio italiano. Quota che sale al 41 per cento nel 2012, quando Rai Cinema versa alla Scripta altri 50 mila euro. «Della Valle è un mio amico, lo conosco da qualche anno, ci siamo fatti pure gli auguri a Natale», ammette Del Brocco. «Il film ha incassato poco? È vero. Ma a parte gli incassi in sala l’abbiamo venduto alla pay e andrà in prima serata. Non abbiamo regalato i soldi a nessuno, sia chiaro. L’idea, poi, era geniale: pensi che pochi giorni fa ho spedito la pellicola a Papa Francesco».
Del Brocco ha anche siglato il contratto del film “Ci sta un francese, un inglese e un napoletano” scritto e diretto da Edoardo Tartaglia, un falso broker con la passione per la celluloide che l’anno scorso è finito in manette perché accusato di riciclaggio e concorso esterno in associazione mafiosa. Il 2 agosto 2012 la Mitar Group ha stilato un pre-acquisto con Rai Cinema per 642 mila euro, di cui 316 mila per una parte della proprietà e 362 mila per i diritti free. Come “100 metri da Paradiso”, anche la commedia del promotore considerato vicino al clan Polverino ha avuto fondi extra e la dichiarazione di interesse culturale da parte del ministero delle Attività culturali.
DA LONDRA ALL’UNGHERIA
Le avventure finanziarie non si contano. Per acquistare due serie di una telenovela argentina, “El Refugio”, Rai Cinema ad agosto 2011 bussa la porta alla Fly Distribuzione tv controllata da tal Francesca Scaffardi, che a maggio ha comprato i diritti da una società inglese, la Tabarka Production Limited. Per la cronaca, Viale Mazzini chiede sempre alle società venditrici di spedire i contratti originali, in modo da dimostrare di essere davvero proprietari dei diritti di film e serie. Quasi sempre il prezzo è cancellato con il pennarello, in modo che la Rai non sappia quanto il prodotto è stato pagato all’origine. In questo caso, però, la cifra è facilmente leggibile: la Fly ha pagato ai britannici 521 mila euro per la prima serie e 480 mila euro per la seconda. Due mesi dopo Rai Cinema sborsa alla Scaffardi quasi il doppio: rispettivamente 912 mila e 875 mila euro. Un ricarico secco del 78 per cento. Mandata in onda su Rai Gulp, “El refugio”, costato in totale più di 1,7 milioni, è stato interrotto dopo poche settimane per scarsi ascolti. Speriamo che ai dirigenti vada meglio con “Digger” e “Galis Summer Camp”, due serie israeliane destinate alla rete per i più piccoli e comprata per oltre 1,2 milioni di euro. Il fortunato che aveva i diritti è un giovane produttore di Castellammare, Alberto Sammarco, che ha aperto la sua Remik Film appena sette mesi prima di fare affari con mamma Rai.
Oggi la televisione di Stato guidata da Luigi Gubitosi spende per acquistare diritti televisivi e i cosiddetti “full right” circa 140 milioni di euro l’anno. «Molto meno dei 215 che avevamo a disposizione nel 2005», spiega Del Brocco. Si tratta comunque di somme enormi: dal 2000 ad oggi Rai Cinema ha investito in totale circa due miliardi di euro. Se una parte del budget è destinata alle major (è stato appena firmato con la Disney un accordo quadro triennale da decine di milioni; meno rilevanti i business con Cbs, Universal, Beta, Warner e Hbo), un altro pacchetto viene investito per contrattare con produttori “indipendenti”.
Tra questi spuntano anche società ungheresi, che con Rai Cinema hanno un rapporto assai duraturo. Come la Fintage di Budapest, che nel 2000 (quando amministratore era Giancarlo Leone) ha venduto alla Rai una “libreria” di cento film per 4 milioni di dollari, tra cui titoli come “Gli occhi dietro il muro”, l’horror “Mountain top massacre” e altre meraviglie mai messe in palinsesto. Come si legge in una nota interna, sedici di queste opere avevano vari «difetti tecnici», colonne sonore indistinguibili, qualità video scarsa. Eppure Leone nel 2003 compra dalla Fintage anche la serie “Philly” per 770 mila euro, e più avanti, un pacchetto di 15 pellicole a 5,7 milioni.
Dalla Fintage, dalla Gem (che a Budapest risulta domiciliata allo stesso indirizzo della Fintage) e dalla Free Way non ci va solo la Rai. In Ungheria fanno la fila anche alcune società italiane che poi rivendono i diritti alla nostra azienda di stato. Con un passaggio in più che, inevitabilmente, fa lievitare il costo sottoscritto dalla Rai. L’Italian International Film, fondata da Fulvio Lucisano, nel 2005 ha per esempio venduto alla Rai i diritti di cinque film a 3,8 milioni di euro, tra cui “Mona Lisa Smile” e “Animal”, pagato da Rai Cinema ben 500 mila euro: la Lucisano lo aveva preso dalla Fintage. Stesso giro per “I perfetti innamorati” o “La Famiglia omicidi”, il primo comprato dalla Fintage, il secondo dalla Freeway e poi venduti a Viale Mazzini. «Ogni titolo noi lo concordiamo con la Rai e con un altro ufficio acquisti, che si chiama “Palinsesto Tv”. Solo dopo il loro ok facciamo i contratti. È vero, ci sono società che commerciano diritti che comprano sui mercati internazionali e poi rivendono alle televisioni di tutta Europa. Se ci offrono prodotti interessanti, li compriamo. Non le chiamerei triangolazioni, e il rischio di ricarichi non esiste: i prezzi, semplicemente, li fa il mercato», ragiona Del Brocco.
IL COPIONE DELLE FOLLIE
L’inchiesta su Rai Cinema è partita nel 2011 come costola di quella su Agrama e i fondi neri Mediaset. Se il fascicolo Mediatrade della procura di Roma è stato archiviato, il processo milanese ha invece portato alla condanna definitiva Berlusconi a 4 anni per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita. Un processo nel quale fu coinvolto anche un uomo che è stato per sette anni direttore generale di Rai Cinema, Carlo Macchitella, ex uomo Fininvest passato in viale Mazzini nel 1999. Macchitella fu costretto a dimettersi nel 2007, quando la procura meneghina scoprì che - attraverso un conto corrente in Svizzera - al dirigente Rai erano arrivato 500 mila dollari bonificati da Daniele Lorenzano, suo ex collega in Fininvest, condannato in via definitiva insieme a Berlusconi. Macchitella, che non è mai stato indagato perché il suo reato sarebbe stato prescritto, ha poi aperto una società privata, ed è oggi produttore esecutivo di “Rex” che va in onda su Rai Uno.
Chi siede ancora dietro una scrivania a Viale Mazzini è invece il suo ex braccio, Guido Pugnetti, oggi capo dell’ufficio acquisti di Rai Cinema. Nel 2007 anche lui fu sentito come test nel processo Mediaset: i magistrati lo chiamarono perché in una mail del 1994 un dirigente Fox aveva raccontato a una terza persona che Pugnetti in persona (ai tempi addetto agli acquisti per il Biscione) gli aveva descritto «l’impero di Berlusconi come un complicato gioco, che consiste nel prendere tre gusci di noci vuoti e nascondere sotto uno di essi il nocciolo di una ciliegia. Chi gioca deve indovinare dove il nocciolo è stata nascosto. L’obiettivo è evadere il fisco italiano».
Se Pugnetti nega con forza che esista in Rai un “sistema Agrama” e Del Brocco i spiega che «l’inchiesta penale è praticamente chiusa», sembra evidente che qualche spreco dovrebbe essere evitato. Una delle aziende da cui Rai Cinema si rifornisce è, per esempio, quella di Andrea e Raffaella Leone, figli del grande regista Sergio. I due fratelli hanno rapporti ottimi con le major, e hanno venduto tra fine 2012 e inizio 2013 i diritti di film per una decina di milioni di euro: solo quelli di “The wolf of Wall Street” di Martin Scorsese sono stati pagati da 3,2 milioni. Ci può stare. Altri prodotti che finiscono alla Rai, però, la Leone Film Group (che ha piazzato di recente due pacchetti con decine di titoli) li compra dai soliti ungheresi, Gem e Freeway in primis.
Se la tv pubblica ha acquistato dalla produttrice Barbara Dall’Angelo per 1,6 milioni «16 opere tv» tra cui una mezza dozzina di Lassie di fine anni ‘60 (a costo di saldo, stavolta: 12 mila euro l’uno), spesso e volentieri Rai Cinema si rivolge anche alla One Movie: negli ultimi tempi la società controllata da Riccardo Magnoni ha piazzato decine di film e incassato milioni. Nel 2012, per esempio, ha venduto nove lungometraggi a 650 mila euro, mentre altri 560 mila li ha fatturati nel 2011. Con l’ultimo contratto (altri 630 mila euro) la Rai ha preso da One Movie una ventina di titoli, molti provenienti dai magazzini delle solite società ungheresi. Nella lista spiccano il tailandese “La leggenda del guerriero Tsunami”, “Uccidi l’irlandese”, “Mr Simpatico” e “Bloodryne II”, il secondo capitolo di un film che durante i Razzie Awards 2006 (sorta di contraltare agli Oscar) ha collezionato cinque nomination come peggior film, peggiore attrice, peggior attore protagonista, peggior regia e sceneggiatura. Si rischia, se fosse mandato in onda, che la Rai perda - oltre a un po’ di soldi - anche qualche telespettatore.