Paolo Biondani e Fabrizio Gatti, L’Espresso 16/5/2014, 16 maggio 2014
CRONACA DI UNO SCANDALO ANNUNCIATO
Adesso qualcuno spera che il resto della storia rimanga segreto. Prega che non si sappia che la Prefettura di Milano avrebbe potuto, e forse dovuto, fermare l’ingresso della “Maltauro costruzioni” negli appalti per l’Expo 2015. Perché alcuni funzionari del prefetto avevano da tempo scritto che «la società Maltauro tende a subappaltare lavori a ditte che sono successivamente destinatarie di informazioni antimafia interdittive»: cioè, secondo il rapporto, l’impresa veneta si serve anche di imprenditori collegati alla criminalità organizzata. Nessuno però in Prefettura se l’è sentita di privare l’Expo del contributo di Enrico Maltauro, 59 anni, il boss dell’impresa che ha vinto due appalti indispensabili all’esposizione universale per un totale di 97 milioni e mezzo. Il 21 febbraio 2014 dopo sette mesi di istruttoria, l’«Ufficio di supporto della sezione specializzata del comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza sulle grandi opere Expo Milano 2015» (questo il pomposo nome) ha deciso di fare più umilmente come Penelope durante l’assenza di Ulisse: «Si resta in attesa dell’esito degli ulteriori accertamenti in corso», sottoscrivono la dirigente prefettizia della struttura di sorveglianza, la dirigente di gabinetto della Prefettura, tre tenenti colonnello, due vicequestori, un tenente e un sostituto commissario. I nove rappresentanti della legge permettono così a Enrico Maltauro di continuare a lavorare indisturbato nei cantieri. Fino al suo arresto, l’8 maggio, per presunte tangenti con due immortali faccendieri di Tangentopoli anni ‘90, Gianstefano Frigerio, 75 anni, area Berlusconi, e Primo Greganti, 70 anni, tessera Pd ora sospesa, l’ex onorevole del Pdl Luigi Grillo, 71 anni, e Angelo Paris, 48 anni, promettente direttore generale e responsabile dei contratti di Expo, praticamente il numero due della società pubblica a cui resta un anno per preparare l’evento.
L’inchiesta della Procura di Milano esce allo scoperto negli stessi giorni in cui indagini antimafia e sentenze colpiscono i pilastri di vent’anni di centrodestra in Italia e riscoprono nomi intramontabili delle bustarelle rosse. Così ecco la fuga in Libano del fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno a Cosa Nostra, l’arresto del ministro dell’Interno ai tempi del G8 a Genova, Claudio Scajola, successivamente famoso per l’appartamento sul Colosseo pagato a sua insaputa, fino all’intrigo massonico che lega i due con la rete che protegge la latitanza dell’ex parlamentare berlusconiano, Amedeo Matacena, condannato a sua volta per concorso esterno alla ‘ndrangheta. Ma ecco anche il ruolo di Primo Greganti, l’ex cassiere del Pci arrestato e condannato durante la prima inchiesta di Mani pulite e ancora operativo, secondo la Procura, nei contratti per l’Expo e la sanità con il coinvolgimento di alcune importanti cooperative. Tanto per confermare quanto l’appalto con l’aiutino della stecca non faccia schifo nemmeno a sinistra. Se questo sia l’inizio di una stagione rinnovata di Mani pulite dipende dal supporto di uomini e mezzi che il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, e il collega della Giustizia, Andrea Orlando, forniranno alle indagini.
Allo schiaffo giudiziario sull’Expo, si aggiunge la botta economica. La Mantovani spa, l’impresa di Padova che ha realizzato la piastra su cui saranno costruiti i padiglioni dell’esposizione, pretende ora 110 milioni in più rispetto al prezzo che la stessa Mantovani aveva formulato per strappare l’appalto alle concorrenti. La capocordata, insieme con altre imprese appartenenti all’intera lobby parlamentare dal Pdl alla Lega Coop, si era aggiudicata il contratto più grosso di Expo con l’offerta di 165 milioni, partendo da una base d’asta di 272 milioni. Un ribasso che aveva scandalizzato perfino un politico navigato come il celeste senatore Roberto Formigoni, allora governatore ciellino della Lombardia e ora imputato per la corruzione sulla sanità.
IL TRUCCO CHE PAGA
Se in Francia, dove l’Esposizione universale ha la sua sede storica, un ente pubblico formulasse una base d’asta superiore del 65 per cento rispetto ai prezzi di aggiudicazione, i suoi manager e progettisti verrebbero licenziati per aver gonfiato le cifre. Oppure l’offerta dell’impresa verrebbe bocciata. In Italia no: da noi in questo modo si vincono contratti colossali. «Questo è stato possibile grazie alla nostra consolidata esperienza nell’affrontare sistemi complessi», raccontava a "l’Espresso" l’allora amministratore delegato di Mantovani, Piergiorgio Baita, poco prima di essere arrestato per associazione a delinquere finalizzata all’emissione di fatture false e dichiarazione fraudolenta e poi condannato con un patteggiamento a un anno e dieci mesi. Certo: esperienza consolidata. La Mantovani, guidata dopo Baita dall’ex questore di Treviso Carmine Damiano, con la giustificazione dei tempi di consegna accelerati, presenta dunque il conto del suo ribasso fuori mercato: 110 milioni di maggiore spesa che il governo Renzi dovrebbe stanziare per accontentare la società, definita solo otto mesi fa dai giudici «gruppo economico criminale», per farla così rientrare dai preventivi spericolati presentati dal pregiudicato Baita in una gara d’appalto la cui commissione aggiudicante era presieduta dall’attuale detenuto Angelo Paris. Il commissario unico per l’Expo, Giuseppe Sala, è ottimista: «Più che di contenzioso, dobbiamo parlare di riserve», spiega a "l’Espresso": «Chi conosce le questioni relative agli appalti sulle costruzioni sa che in genere si chiude su un dieci-venti per cento del valore richiesto». Altri osservatori sono un po’ più pessimisti: «Mantovani non scenderà al di sotto dei 60 milioni». Comunque è sempre un bel malloppo a carico degli italiani.
Baita, nonostante la condanna, non è scomparso dal panorama. Secondo i magistrati, è tuttora rappresentante legale di quattro società. E a lui si rivolge il general manager Paris nel suo tentativo di trovare sponsor, a cominciare da Silvio Berlusconi, per essere promosso al posto di Antonio Rognoni, arrestato poche settimane fa, direttore generale di Infrastrutture lombarde (Ilspa), il braccio operativo della Regione nei grandi appalti e nella direzione dei lavori per l’Expo. «Posso chiederti un consiglio da amico. Ti candideresti al bando pubblico per ricerca DG Ilspa?», scrive Paris in un sms. «Se fossi in te sì. Fatti vivo. Ciao», gli risponde Baita.
Sulla Mantovani gravano sempre le parole pronunciate davanti al prefetto di Milano, Francesco Tronca, dal procuratore vicario della Direzione nazionale antimafia Pier Luigi Dall’Osso. Lo scorso 6 settembre durante una riunione del Comitato per l’alta sorveglianza sui grandi appalti il magistrato aveva messo in guardia sulla posizione dell’azienda: l’esistenza di informative ancora coperte dal segreto e quanto già scritto dai giudici nelle inchieste venete offrono uno spaccato dell’attività dell’impresa che «probabilmente potrà essere uno degli elementi fondanti di importanti iniziative da adottare in tema di antimafia». Pesa però anche l’immediata risposta del provveditore alle Opere pubbliche, Pietro Baratono, rappresentante a Milano del ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi: Baratono dice al prefetto e ai presenti di essere preoccupato e rammaricato per quanto ha riferito l’alto magistrato sulla Mantovani perché «l’adozione di un eventuale provvedimento interdittivo potrebbe mettere a rischio la realizzazione dell’evento». Per buona pace della Mantovani, il dottor Dall’Osso non si occupa più della questione. Nel frattempo è stato promosso procuratore a Brescia.
L’INTERVENTO RINVIATO
È alla vigilia di questo clima che il 10 luglio 2013 «su richiesta della stazione appaltante Expo 2015» la Prefettura avvia la prima istruttoria sulla Maltauro spa: l’impresa ha vinto la commessa per 41 milioni e 902 mila euro per la realizzazione della Via d’acqua Sud e il collegamento del canale dell’Expo con la Darsena, un’opera fondamentale nell’immaginario dei progettisti. È il prefetto che deve concedere la necessaria liberatoria antimafia o l’interdittiva che allontanerebbe l’azienda dai cantieri, con il conseguente ritardo nell’avvio dei lavori. Dall’ottobre 2013 il tempo di risposta è ulteriormente ridotto a sette giorni. Scaduti i quali, la Prefettura è obbligata a rilasciare una liberatoria provvisoria. Ma c’è ancora margine per evitare all’Italia la figuraccia internazionale. Invece l’istruttoria non viene mai conclusa e il 27 gennaio 2014 Expo ne richiede una seconda: Enrico Maltauro, questa volta secondo la Procura grazie agli aiutini di Paris, ha vinto anche l’appalto da 55 milioni e 679 mila euro per le architetture di servizio nell’area dell’esposizione. Finalmente per la riunione del 21 febbraio l’ufficio di supporto al Comitato di sorveglianza presenta la sua relazione al gruppo ispettivo antimafia della Prefettura. La Maltauro risulta destinataria di tre informazioni atipiche emesse nel 2011 e nel 2012 dalle prefetture di Vicenza e L’Aquila. L’impresa «ha partecipato a varie gare d’appalto con la società... indagata perché infiltrata da esponenti della criminalità mafiosa» e vengono ricordate due inchieste delle procure antimafia di Venezia e Palermo. L’ufficio aggiunge che «nel contesto dei lavori eseguiti presso la base militare di Aviano la società Maltauro inseriva nelle liste presentate per il rilascio dei pass personaggi quali... esponenti inseriti organicamente nelle principali organizzazioni criminali». I funzionari del prefetto avvertono anche che Enrico Maltauro «consigliere e amministratore delegato della predetta società, risulta essere stato condannato negli anni Novanta tra vari reati anche per corruzione e turbata libertà degli incanti».
Da qualche tempo il Tar della Lombardia si pronuncia spesso a favore delle imprese e contro il prefetto. Forse proprio per questo e non solo per evitare ritardi ai cantieri, i nove rappresentanti degli organismi investigativi e della Prefettura concludono che «le informazioni finora acquisite non consento di affermare che l’impresa presenti i connotati di infiltrazioni mafiose». La decisione viene così ulteriormente rinviata.
Nel frattempo i lavori per la Via d’acqua di Maltauro sbattono contro una cava piena di rifiuti tossici dentro Milano. La ditta si rifiuta di fornire informazioni al comitato di quartiere preoccupato dagli scavi a cielo aperto. «Qualunque altro operatore che avesse agito in questo modo», sospettava già mesi fa Enrico Fedrighini, consigliere dei Verdi, «sarebbe stato oggetto di controlli». Aveva visto giusto. Perché per poteggere Maltauro interviene il solito direttore generale di Expo. Il 7 marzo Paris parla con Christian Malangone, direttore della pianificazione e controllo sul grande evento: «Oggi han portato la terra in una discarica non autorizzata... Sei volte hanno già fatto infrazione. Sei volte». Maltauro deve pagare a Expo una multa di due milioni. Viene informato anche Frigerio, presentato a Maltauro dalla «Cancellieri», l’ex prefetto di Vicenza ed ex ministro Annamaria Cancellieri: «Perché aveva l’ufficio di Prefettura in casa sua, a Vicenza», dice Frigerio in una telefonata. E, sempre in marzo, cerca di porre rimedio: «Dì a Enrico di rispettare le regole sull’antimafia, perché ha fatto entrare due, tre aziende. Meno male che abbiamo Paris».