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 2014  maggio 16 Venerdì calendario

QUELLE ETERNE BUGIE DALLE GAMBE LUNGHE


Se la storia si facesse con i se, sarebbe materia da scrittori. Ma dal momento che si fa soprattutto con le bugie, entrano in campo gli storici eterodossi, pronti a raccontarci quel che si nasconde dietro alle verità ufficiali.
Qui, in prima fila, non solo metaforicamente, c’è da sempre Arrigo Petacco: ed è lui, ora, che con un perentorio La storia ci ha mentito (edito da Mondadori, pp. 209, e 19) propone una serie di interpretazioni fuori dal coro per una serie molto vasta di controversi avvenimenti novecenteschi. Si parte dalla Grande guerra e si arriva all’ultima, percorrendo in successione episodi molteplici: ci sono le imprese coloniali italiane, gli errori di Hitler, le paure e incertezze di Mussolini, i trucchi e le ipocrisie degli inglesi, le doppiezze dei sovietici, i misteri ripetutamente indagati e mai chiariti (come la missione del delfino di Hitler in Scozia o la celebre borsa del Duce sparita durante l’ultima fuga). Per ognuna di queste vicende Petacco non ha tanto in serbo colpi di scena o rivelazioni, ma piuttosto dubbi corroborati da ricerche e documenti: secondo il suo stile, li offre al lettore perché si faccia autonomamente una opinione.
Ma il filo conduttore di tutta la raccolta — punteggiata di brevi capitoli leggibili anche da soli — è in realtà quell’entità sfuggente e scivolosa chiamata «disinformazione» (o disinformacija , alla russa, dal momento che gli specialisti segreti del Kgb sono storicamente riconosciuti come i perfezionatori di quest’arte antichissima, nata come tecnica militare). Dunque: disinformazione come prolungamento dell’arte della guerra realizzato con altri mezzi, ma anche come naturale supporto dei vincitori, i quali — Petacco non si stanca di raccontarlo — da sempre hanno imposto la loro verità come «ufficiale», valida anche e soprattutto per i vinti.
Certo, sul banco degli imputati Petacco chiama anzitutto i corrispondenti di guerra dei giornali che, prima della tv e di Internet, adottarono il punto di vista ideologicamente più gradito al potere politico dei rispettivi Paesi, e al riparo da possibili smentite. Così i resoconti sulle carneficine del conflitto civile spagnolo, inclusi quelli del grande Hemingway, adottarono versioni monche se non addirittura menzognere, contribuendo a diffondere rappresentazioni distorte degli avvenimenti.
Il guaio è, però, che la censura agisce, anche retrospettivamente, in omaggio al «politicamente corretto»: il colmo lo hanno raggiunto nel 1945 gli americani, quando si sono illusi di rendere più mansueti i vinti giapponesi proibendo drasticamente l’insegnamento della loro storia in tutte le scuole del Sol Levante. Processo inverso, ma ugualmente spietato, quello che riguardava il comportamento dei vincitori sovietici: le colpe di Stalin vennero rapidamente «silenziate» dagli stessi Alleati, ansiosi di compiacere un dittatore che si era rivelato decisivo nella lotta all’arcinemico nazista. Altri esempi? La demonizzazione delle imprese coloniali italiane, che in realtà non differivano da quelle, ben più imponenti, messe in atto dalle potenze anglosassoni; la mitizzazione della «Caporetto inglese», trasformata nella «gloriosa ritirata di Dunkerque»; le lettere in cui Mussolini, non ancora alleato remissivo del Führer, invitava Hitler e non infierire sulla Polonia vinta e a lasciar perdere il fronte occidentale per dedicarsi al mortale nemico sovietico; lo sbarco degli Alleati in Sicilia come azione dimostrativa — anche se poi dalle conseguenze fatali per il regime —- programmata soltanto per accontentare Stalin e non dargli l’impressione di sostenere da solo l’urto germanico.
La morale di tutto ciò è amara quanto suggestiva: le bugie, al contrario del detto popolare, hanno le gambe lunghe. Tendono a perpetuarsi al di là della necessità immediata e strumentale con la quale in precedenza erano state adottate. Per cui, l’ammonimento di Petacco vale per l’oggi e per il domani: attenti a mentire, anche a fin di bene, perché alla fine tutto il sistema informativo ne viene intaccato e il virus non è più possibile debellarlo.