Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 16/5/2014, 16 maggio 2014
VITTORIA PUCCINI
Una donna ancora bella è sdraiata sul lettino e offre i suoi occhi chiari alla lente del medico, ma non vuole riconoscergli un potere su di lei. «Si sfoghi — dice il dottore —, urli pure». «Si figuri se le do questa soddisfazione!».
La donna è Oriana Fallaci, grande giornalista arrivata alla fine della corsa. Ma è anche Vittoria Puccini, attrice di 32 anni amata dal grande pubblico come Elisa di Rivombrosa e da allora alla ricerca di altre strade, che l’hanno condotta al ruolo più impegnativo della sua vita: «L’Oriana», la fiction che la Rai e Fandango hanno girato tra l’Italia, la Tunisia, la Grecia e il Vietnam, e andrà in onda in autunno.
Storia di Oriana
Racconta Vittoria Puccini di essersi preparata ascoltando la voce della Fallaci, leggendo i suoi libri, osservando il modo in cui stringeva la sigaretta tra le dita. «Sono fiorentina come lei, cresciuta in una strada che da porta Romana sale verso la collina di Marignolle. Nella via parallela c’è una delle case in cui ha vissuto Oriana. Ma sarebbe stato ridicolo farne l’imitazione. Ho calcato un po’ l’accento fiorentino, ho lavorato sulla voce un po’ roca, da fumatrice. Ho cercato di restituire almeno in parte una giornalista che comincia con il cinema ma vuole andare in guerra, che rifiuta la cronaca rosa e la posta del cuore ma chiede al suo direttore di mandarla in giro per il mondo a raccontare la condizione femminile».
«C’è una scena, che abbiamo girato in Tunisia ma è ambientata in Pakistan, in cui Oriana scopre che nel suo albergo si tiene una cerimonia nuziale. La sposa è velata perché non deve vedere lo sposo prima del rito. La giornalista italiana le chiede di mostrare il volto, vede che è una bambina. È un matrimonio combinato. La sposa le chiede di descriverle il marito... Sono gli anni in cui la Fallaci scrive “Il sesso inutile”. Poi c’è il Vietnam. Abbiamo cercato tra i grattacieli una Saigon perduta, le case basse, i risciò, gli scenari della guerra, delle bombe che fanno strage nei bar, ma anche del suo incontro con François Pelou, uno dei due uomini della sua vita. Un amore impossibile: alla fine lui non riesce a rompere con la moglie; e lei per vendetta le farà arrivare tutte le lettere che si era scambiata con il marito. Terrà per sé invece le lettere degli ufficiali americani, che la ringraziano per aver raccontato nelle sue corrispondenze il dolore e l’esaltazione della loro guerra. All’inizio non erano entusiasti di avere una donna nella loro trincea. L’Oriana urla: “It’s my job. I do the best”. È il mio lavoro, faccio del mio meglio. Si guadagna prima la loro tolleranza, poi la loro stima. È qualcosa che, in un contesto ovviamente molto meno drammatico, succede anche a me: divento un uomo in mezzo agli uomini. Quando abbiamo girato “La vita facile” in Africa, con Stefano Accorsi e Pierfrancesco Favino, ero diventata un maschiaccio ed ero percepita come tale. Sembravamo tre compagni di liceo». E in effetti a 32 anni Vittoria Puccini fa ancora questo effetto: più che una diva, ricorda la più bella compagna del liceo. «A un certo punto mi sono ritrovata nel fango di un villaggio carica di valigie, mentre Accorsi e Favino camminavano cento metri avanti leggeri come piume... Ho dovuto gridare: “Ma volete aiutarmi?».
«Anche l’intervista con Khomeini è girata in Tunisia. Il regista, Marco Turco, ha riprodotto in modo meticoloso la città santa persiana di Qom, la folla con i cartelli col ritratto dell’ayatollah, l’imbarazzo dell’interprete che rifiuta di tradurre le domande di Oriana sulle libertà sessuali, fino al momento topico in cui lei si toglie il chador davanti al dittatore. Lei ha sempre denunciato con forza il pericolo che vedeva nell’avanzata dell’Islam, il disprezzo per le donne, la violenza politica. La fiction è ispirata alla biografia scritta da Cristina De Stefano. Ho parlato con il nipote della Fallaci, Edoardo, che è venuto spesso a trovarsi sul set. Ci sono le scene in cui Oriana è ferita a Città del Messico, alla vigilia delle Olimpiadi del 1968. E c’è l’11 settembre, la genesi de “La rabbia e l’orgoglio”: si sente anche una telefonata con il direttore del Corriere della Sera». «Siamo stati ad Atene per girare la storia d’amore con Alekos Panagulis. Non avevo ancora letto “Un uomo”. È un libro di un’intensità straordinaria. All’inizio, quando lei lo intervista per la prima volta, l’eroe greco è dolce, seduttivo, si interessa a lei, e lei lo respinge: “Sono io che faccio le domande”. Ma poi diventa quasi dipendente da lui: come se il suo uomo fosse il bambino che non aveva mai avuto. Anche se lei ritrovava in Panagulis pure il mito di suo padre, uomo della Resistenza. La Fallaci soffre per i tradimenti, lo porta in Italia, raccoglie fondi per la resistenza greca, fugge, scompare, ma poi torna ad Atene con l’avvento della democrazia, per aiutarlo nella campagna elettorale. Pure nel momento del dolore più terribile, dopo la morte violenta del suo uomo, Oriana mantiene una sua compostezza. È una donna che tenta di conservare sempre il pieno controllo del suo corpo. Anche nella battaglia contro l’“alieno” che la porterà alla morte».
Storia di Vittoria
Gli uomini più importanti per Vittoria Puccini sono stati due colleghi: Alessandro Preziosi, padre di sua figlia Elena, che era il conte Fabrizio Ristori in Elisa di Rivombrosa, e Claudio Santamaria, che è stato “il Dandi” di Romanzo criminale e un tormentato Rino Gaetano. «Sono state due storie vissute con grande intensità, che rimarranno sempre. Si è creato con entrambi un legame che non si spezza. Superati i primi momenti dopo la rottura, ti rendi conto che è successo quel che doveva succedere. Ora sto con un uomo che ha vent’anni più di me, conosciuto sul set di Anna Karenina, in cui era direttore della fotografia. Sono molto felice. È un uomo equilibrato, anche se lui nega di esserlo...».
«Sono figlia di due insegnanti, che non volevano proprio che facessi l’attrice. Mi hanno dato due anni di tempo: “Se non ce la fai, ti trovi un lavoro serio”. Così dopo il liceo mi sono iscritta a giurisprudenza, anche se non ho dato neanche un esame. Sono andata a Milano a lavorare come modella, ho partecipato a un casting, mi hanno scelta per un film di Sergio Rubini, “Tutto l’amore che c’è”. No, non ho fatto l’accademia, ho imparato sul campo. E non rinnego nulla, certo non Elisa di Rivombrosa che mi ha avvicinato al pubblico, ancora oggi trovo persone che me ne parlano con affetto. Ho adorato alla follia il ruolo di Anna Karenina». Con Marco Turco, il regista de “L’Oriana”, ha girato altre due fiction: “Altri tempi”, in cui è la maitresse di un bordello, e “C’era una volta la città dei matti”, in cui è Margherita, un’adolescente chiusa in gabbia e recuperato da Franco Basaglia alla dignità umana. «Il primo giorno sul mio primo set ho capito che non avrei fatto altro nella vita. Certo, non mi era mai capitato un ruolo impegnativo come quello di Oriana Fallaci. Ne avevo il sacro terrore. Ho preso il coraggio da lei».