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 2014  maggio 16 Venerdì calendario

LA PROVA È NEI VERBALI DEL CSM: I PM FANNO QUEL CHE VOGLIONO


ROBLEDO «Io credo che e faccio riferimento a un documento specifico che vorrei portare a sostegno di questa affermazione la differenza nasca nella cultura della gestione della funzioni del Procuratore della Repubblica, nel senso che il procuratore Minale è sempre stata una persona che insieme ai precedenti procuratori, cioè sia con Borrelli che con D’Ambrosio, ci ha sempre garantito. Con l’avvento del procuratore Bruti questo clima è cambiato perché è cambiata la concezione, io credo, della gestione dell’ufficio da parte del procuratore della Repubblica, che ha avuto criteri completamente dissonanti con i precedenti. Lo devo dire non con pruderie ma con un certo imbarazzo, ma mi sembra che questo sia il momento della verità. Un giorno sono stato chiamato dal consigliere, allora procuratore aggiunto Bruti che era procuratore aggiunto al Secondo Dipartimento; c’erano la collega Boccassini e il collega Greco. In questa riunione posero a me...
Consigliere SCIACCA La può collocare temporalmente?
ROBLEDO Nel marzo del 2010, ma c’è un documento protocollato a cui si può far riferimento. Cosa accadde in questa riunione? Mi viene detto che io, ormai aggiunto da mesi, dovevo avere un mio dipartimento e si cominciano a fare delle proposte di questo dipartimento da costituire e quindi c’erano tutta una serie di cose che venivano indicate. Io dissi con molta serenità già all’epoca ai colleghi con non avevo alcun bisogno di avere un dipartimento, nel senso che mi sembrava una cosa anche impropria costituire un dipartimento sulla figura di un aggiunto che non ha un dipartimento. io lavoravo tranquillamente come coordinatore lì e continuavo il lavoro di sostituto nel senso che facevo le indagini. Così dissi loro: secondo me un dipartimento deve essere un’esigenza oggettiva della Procura della Repubblica, se l’ufficio ha esigenza oggettiva di avere un dipartimento perché deve rispondere a delle esigenze di giustizia (...) Bruti si dichiarava disponibile ad assegnarmi comunque in futuro fascicoli dei reati di corruzione su cui avessi manifestato interesse, ovvero a discutere con me circa assegnazioni di tali procedimenti ad altri colleghi, così coassegnandoli. Io devo dire che rimasi basito da questa affermazione. Che cosa vuol dire che io debba avere un interesse nel fare un processo? È un’affermazione che non capisco. Non credo che sia concepibile un dato organizzativo così disorganizzato, cioè io avrei dovuto chiedere a Bruti: mi interessa quel processo, lo voglio fare? È una cosa che è al di fuori della mia concezione della struttura e dei doveri istituzionali, completamente al di fuori. Quindi gli dissi che io non ero affatto d’accordo con questa suddivisione e con questa sorta di dispensa quasi feudale: vuoi un processo? Te lo do. Io non ho mai ragionato così in trentasei anni di magistratura. Il collega Bruti mi rispose una cosa per me incredibile: «Ricordati che al plenum sei stato nominato aggiunto per un solo voto di scarto e che questo è un voto di Magistratura Democratica. Avrei potuto dire a uno dei miei colleghi al Consiglio che Robledo mi rompeva i coglioni e di andare a fare la pipì al momento del voto, così sarebbe stata nominata la Gatto che poi avremmo sbattuto alle esecuzioni». Sono uscito e sono andato immediatamente dal procuratore Minale a raccontargli dettagliatamente l’episodio. (...) Quello che mi lasciò perplesso era creare la possibilità che un magistrato alla Procura possa avere un nteresse a un’indagine: una sorta di concessione! La Procura di Milano deve essere trasparente, come tutte le Procure d’Italia. Io dico di più delle altre, per l’orgoglio di appartenenza all’ufficio. Taccio sulla considerazione che lui (Bruti, ndr) ha dei suoi colleghi del Csm perché sono convinto che sia una cosa che è nella sua testa. La cosa che pure mi lasciava stupito era questa sorta di coesistenza, questo mischiarsi incredibile tra funzioni giudiziarie e forza correntizia. Cioè, che rapporto c’è tra una corrente e le funzioni? Nessuno, è evidente. Questa imposizione era intollerabile per me.
IL PRIMO VERO SCONTRO
ROBLEDO Quando ci si va a imbattere in un fatto, in una situazione perché ha una veste processuale particolare che lui ritiene di trattare in modo diverso da quelle che sono le regole a mio giudizio di trasparenza e di onestà intellettuale, è lì che c’è lo scontro. (...) Io per esempio ho avuto una chiamiamola discussione molto forte con il procuratore Bruti con riguardo a una vicenda che concerneva un riferimento per un reato sulle false firme di autenticazione dei sottoscrittori per le liste delle elezioni 2010 del listino cosiddetto di Formigoni, era il listino per le Regionali. (...) Ho dato incarico alla sezione di p. g. dei carabinieri di chiamare una per una le persone le cui firme risultavano come autentiche e chiedere a ciascuno di loro se l’avessero apposta loro: ci sono state 935 persone chiamate dai carabinieri che hanno detto “ questa firma non è mia, non la riconosco”. (...) Con questo dato probatorio sono andato a giudizio. (...) Il procuratore Bruti mi guarda e mi dice “Ma è un bel problema per il Pdl”, ho detto “Certo, ma io che cosa ci posso fare?”, “Ma secondo te è una vendetta, oppure?”, gli ho detto “Edmondo, guarda che se il fatto è vero è vero e noi non ci possiamo preoccupare dei sentimenti che esprimono le persone, sono estranei alla valutazione”, poi mi chiese “ Ma quando ci sono le elezioni?”, “Non lo so quando ci sono le elezioni, non ne ho proprio idea”.
COMANDO IO
ROBLEDO Il giorno dopo mi chiamò il Procuratore e mi disse che mi voleva parlare perché bisognava chiarire questa questione che riguardava Podestà. La prima cosa che mi ha detto è stata “Qui non si può andare avanti”. Ho detto “In che senso?”, “È possibile che fai un’indagine e io il giorno dopo vedo sul giornale tutte queste cose dell’indagine?”, “Cioè?”, “Ieri hai interrogato Tronchetti Provera e oggi sul giornale ci sono tutte le sue dichiarazioni”, gli dissi “Scusami, fammi vedere, perché è vero che l’atto non era segreto ma è una cosa brutta”. Mi mostra l’articolo di Repubblica su cui c’era scritto “L’avvocato di Provera da noi intervistato dichiara ...”. E io “Che cosa posso farci, è una questione dell’avvocato”, “E quest’altra?”, e mi fa vedere un’altra notizia sempre di Repubblica che dava conto del fatto che la procura di Milano si era costituita nel giudizio civile che riguardava le firme false. Gli ho detto “Va bene, ma l’hai autorizzata tu questa cosa Edmondo”, lui neanche se lo ricordava e poi non c’era nulla di riservato (...) poi dico “ Va bene, allora?”, lui mi dice “ Non possiamo iscrivere Podestà”, ho detto “ Perché?”, “Perché non ci sono elementi sufficienti”, ho detto “A me non pare veramente”, “No ma dobbiamo fare altre indagini”, “Ma perché dobbiamo farne altre?”, “Perché non sono sufficienti queste”, ho detto “Edmondo, è un diritto dell’imputato avere l’iscrizione appena la sua figura rimane agli atti, sono sei mesi di garanzia per lui, a tacere del fatto ho aggiunto che altre indagini codice alla mano sono inutilizzabili da quel momento in poi perché se doveva essere iscritto e non lo è stato a parte i profili disciplinari della mancata iscrizione, però non possiamo farle e sono inutilizzabili”. “No, tu non lo devi iscrivere”, “no Edmondo, è impossibile, io lo iscrivo”, allora lui alza la voce e mi dice “Tu lo iscrivi soltanto quando te lo dico io, hai capito?”, io ho risposto “Edmondo, io sono trenta e passa anni che iscrivo quando lo dice la legge e non intendo modificare questo mio atteggiamento. Ti dico di più, io lunedì vado in Procura e lo iscrivo, se tu non vuoi perché ritieni che non vi siano le condizioni toglimi il fascicolo, mi togli la delega”. L’ho salutato, sono andato in Procura e lunedì ho iscritto Podestà. Due giorni dopo lo incontro e mi dice” Poi non l’hai più fatta l’iscrizione, vero?”, gli ho detto “No, io l’ho fatta”, “Ma allora non ci siamo capiti”, “No sei tu che non hai capito”.
1. continua