Martino Cervo, Libero 16/5/2014, 16 maggio 2014
VOLEVANO BUTTAR FUORI LA GRECIA DALL’EURO POI L’HANNO MACELLATA
Si chiamava «piano Z», e non si sa bene se augurarsi un’ironica citazione de «L’orgia del potere» di Costa-Gavras o una raggelante coincidenza. I colonnelli sarebbero pochi, senza armi e senza eserciti, ma con il destino della Grecia tra le mani. La seconda, drammatica puntata del romanzo della crisi dell’eurozona che il Financial Times sta pubblicando a puntate è un’altra fotografia sullo stato della democrazia al tempo del debito sovrano. Peter Spiegel, il corrispondente da Bruxelles del quotidiano finanziario, ha raccontato (il testo completo è disponibile qui: http://goo.gl/92I9BG) le settimane in cui Atene è rimasta appesa a un filo di nome euro. E le scelte prese, con dinamiche parecchio distanti da quelle democratiche, per farcela rimanere.
La novità che emerge dal lungo racconto del cronista è che, in mezzo ai tanti proclami di impossibilità di uscita dall’euro, i massimi vertici delle istituzioni comunitarie sono stati impegnati nella stesura di un piano segreto (il «piano Z», appunto) per gestire il «Grexit». L’espressione «troika» perde ogni astrazione: il Ft parla di «circa due dozzine di funzionari della Commissione europea a Bruxelles, della Bce a Francoforte e del Fondo monetario a Washington». Impegnati a prevedere le possibili conseguenze dell’uscita e le successive misure per non distruggere il Paese. La gestione stessa di questo crinale è stata per anni in mano a forze non democraticamente elette: come scrive Spiegel, nel corso di questo periodo «il progetto europeo è stato trasformato in qualcosa di completamente nuovo: un’eurozona molto più centralizzata, in cui le istituzioni Ue hanno riempito i vuoti di autorità economica e finanziaria un tempo affidata ai governi nazionali».
È impressionante il parallelo tra l’esercizio primario della democrazia nel Paese che ne fu culla e il suo destino finanziario. Il racconto di Spiegel piomba a metà 2012: la Grecia è costantemente a un passo dal disastro, Barroso (come ha svelato lo stesso Ft nella prima puntata) ha abbattuto il premier Papandreu nello spazio di un viaggio aereo qualche mese prima, per «ammazzare» il referendum sull’euro. Le politiche sono a maggio. Impossibile formare il governo perché tra Nuova democrazia, Pasok e Syriza nessuno prevale. Si rivota a giugno. Il partito di Alexis Tsipras ha possibilità di vincere. Il «piano Z» è pronto a scattare. Il 18 e 19 giugno i rappresentanti del G20 sono a Los Cabos, in Messico. In quelle ore quattro uomini sono pronti a premere il bottone. O si fa un governo tecnico, pronto a sottostare ai programmi della troika, o la Grecia è fuori dalla moneta unica. Nd e Pasok danno vita a una risicatissima grande coalizione. Il dito si allontana dal bottone.
Qui Spiegel fa un passo indietro: racconta della situazione greca, ballerina fin dai tempi precedenti l’ingresso nella moneta unica. Ripercorre il duro dibattito sulla sostenibilità del salvataggio dei conti di Atene. Le scuole di pensiero sono due: la prima ritiene che sia meglio sganciare il Paese dall’euro. Questo comporterebbe una perdita secca per i creditori (banche tedesche in primis) e soprattutto il rischio di un precedente: la facoltà di uscire, innescando un possibile effetto domino con l’Italia nel ruolo di pedina molto vicina. E l’Italia fuori vuol dire addio euro. La seconda linea di pensiero è che una Grecia «dentro» è anche peggio: il Paese non può sopravvivere alla cura da cavallo imposta dall’austerity e soprattutto il costo del «bail-out» rischia di risultare pesantissimo.
Ma chi lavora al piano Z? Il comando operativo è in mano a un pugno di uomini coordinati da un italiano. Eccoli: Joerg Asmussen, in precedenza al governo Merkel II, allora membro del board Bce, oggi viceministro al lavoro del Merkel III; Thomas Wieser, ex ministro delle Finanze austriaco; Poul Thomsen, un danese in forza al Fondo monetario specializzato nella crisi greca. A Marco Buti, a capo della Direzione Generale per gli affari economici e finanziari della Commissione europea, il pallino del gioco. Lavorano da Bruxelles in totale segretezza: evitano di scrivere alcunché. Non si scambiano mail. Al giornalista Peter Spiegel il piano è stato però descritto da fonti che hanno avuto accesso ad esso. Bancomat chiusi, controlli alle frontiere per evitare fughe di capitali, ridenominazione dei titoli di Stato, afflusso di nuove banconote, sganciamento dal sistema Target 2 (il sistema interbancario di pagamenti per i bonifici nell’Unione europea), cornice legale inedita. Il «piano Z» conteneva (contiene?) tutto questo, e prevedeva anche chi dovesse gestire la situazione, avvisando la popolazione degli step necessari a evitare il panico e il collasso dell’economia.
Tra le righe di Spiegel c’è un chiaro sottotesto: quel piano fu presentato come terrificante, esagerando gli effetti negativi di un ritorno alla divisa nazionale. Con che obiettivo? Tutelare le banche creditrici? Salvare l’euro e il suo sistema di controllo delle finanze pubbliche e delle politiche nazionali? Impossibile rispondere in maniera netta, e impossibile avere la controprova. Di certo, Mario Draghi emerge come il primo protagonista del racconto a cogliere il dramma dell’assenza della democrazia: in quel giugno di fuoco insiste che siano i politici a prendere le redini della situazione sul caso greco. Ed ecco le due scuole di pensiero: tagliare la gamba malata o curarla per evitare l’effetto domino? A scanso di letture complottiste, il racconto restituisce un’intera classe dirigente che non sa cosa fare, a cominciare dalla «regina» Germania. Barroso ha invece le idee chiarissime: nessuno deve lasciare la baracca, costi quel che costi. Si fionda in Grecia, da Samaras, che ha prima convinto a sostenere il governo «tecnico» di Papademos e che poi è diventato capo dell’esecutivo di Atene a seguito delle doppie, drammatiche elezioni del 2012. Secondo il Ft gli si rivolge, a fronte delle proteste contro i diktat dell’Ue, con queste parole: «Non cominciare a porre condizioni. Il primo messaggio che devi dare alla Germania è che sei in grado di eseguire». «Samaras fece il più spettacolare dietrofront della storia», confida al giornale un ministro del governo precedente.
La Merkel consulta decine di economisti in tutta Europa. Si prende il suo tempo, come da tradizione. «Nessuno ha le idee chiare, io non mi prendo questo rischio», dice Angela. La Grecia resta nell’euro. Dal 2008 il suo debito pubblico in rapporto al Pil è passato in 4 anni dal 144 al 173%. Il 20% del Pil è andato distrutto, c’è un milione di disoccupati in più.