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 2014  maggio 14 Mercoledì calendario

CUBO DI RUBIK «PER INVENTARLO CI MISI UN MESE»


Budapest, maggio
Era la primavera del 1974, quando uno sconosciuto professore di architettura di Budapest decise di fabbricare un piccolo rompicapo in legno per i suoi studenti. Ci lavorò per notti, armato di pialla e seghetto, riempiendo di trucioli il modesto appartamento che condivideva con sua madre. Quel professore si chiamava Ernö Rubik e fu così, quattro decenni fa, che prese vita il più celebre gioco da tavolo del ventesimo secolo. Da allora, il cubo è stato venduto in oltre 300 milioni di esemplari in tutto il globo: è stato citato in centinaia di film, libri e canzoni. Lui, il professor Rubik, è diventato «il primo miliardario rosso» del blocco dell’Est. Oggi continua a vivere nella sua Budapest: a luglio compirà 70 anni, non ha mai smesso di insegnare e porta sempre con sé un piccolo cubo colorato.
È stato calcolato che un essere umano su sei, almeno una volta nella vita, ha cercato di risolvere il cubo. Ce lo dica una volta per tutte, professor Rubik: come si fa?
«Be’, ci sono vari metodi. Molti di essi sono riportati su Internet: basta applicarsi con un minimo di impegno, non è poi così difficile. Ci sono persone che sono state in grado di risolvere il cubo in poco più di cinque secondi. Esiste un’apposita disciplina: si chiama speedcubing».
Sembra quasi incredibile...
«Probabilmente lo è, ma che ci vogliamo fare? Spesso la gente fa cose incredibili. Ci sono tizi in Africa che sono in grado di correre per 180 chilometri. Mi sono sempre chiesto come sia possibile».
Dopo aver costruito il cubo, la sua prima missione fu quella di risolverlo. È stato scritto che ci impiegò più di un mese.
«Uh, quello sì che fu un lavoraccio! Non ero per niente sicuro che il cubo fosse risolvibile. Mi ci misi di impegno, studiai le varie possibilità, feci calcoli ed esperimenti. Quel giocattolo diventò la mia ossessione, non ci dormivo la notte. Ricordo il momento della vittoria: fu una sensazione fantastica, qualcosa di irripetibile».
Poi venne il momento della commercializzazione...
«Già, e anche quella è una lunga storia. Nel 1975 ottenni il brevetto, dopodiché dovetti aspettare circa due anni prima della messa in vendita qui in Ungheria. Fin da subito fu un grande successo. Il 1980 fu l’anno del boom mondiale e da allora la strada fu tutta in discesa. Mi sono reso conto di una cosa molto interessante: quando tu inventi qualcosa di nuovo, il passaggio più difficile è sempre quello tra zero e uno. Hai di fronte a te un piccolo gruppo di persone, e devi riuscire a ottenerne l’entusiasmo. È questa la vera scommessa. A confronto, i passaggi successivi, da uno a un milione, sono quasi un gioco da ragazzi!».
Si aspettava un simile successo?
«Ovviamente no. Quando tu crei qualcosa, è molto difficile capire come questo qualcosa verrà accolto dalle altre persone: hai delle sensazioni, al limite, delle intuizioni. Credo di essere un uomo comune. Il cubo mi piaceva molto, così pensai: “Be’, se piace a me piacerà anche agli altri”. Ci ho azzeccato».
Qual è il segreto del cubo?
«A me interessava il discorso della tridimensionalità: un oggetto a tre dimensioni non è mai percepibile nella sua interezza. Devi girarci attorno, esaminando un lato per volta e tenendo sempre a mente ciò che hai visto dall’altra parte. È un ottimo esercizio per il cervello. Se il cubo ha un segreto, io credo che sia questo».
Il gioco rende più intelligenti?
«Certo! C’è molta più creatività in un asilo nido che in tantissimi altri luoghi frequentati da persone adulte».
A proposito di luoghi frequentati da adulti: che cosa pensa di Internet?
«Internet è nato più o meno negli stessi anni del mio cubo: è una coincidenza piuttosto interessante, non trova? Credo che il web sia uno strumento ricco di potenzialità, ma anche di contraddizioni. Preso di per sé può risultare inutile, o nocivo. Tutto dipende da come noi decidiamo di utilizzarlo. È sempre l’uomo che fa lo strumento, mai viceversa. Questo vale anche per il cubo».
Il mondo di oggi è infinitamente più tecnologico. Eppure, la popolarità del cubo non diminuisce. Perché secondo lei?
«Non ci siamo ancora trasformati in robot! Nonostante il boom della tecnologia, abbiamo conservato l’uso delle mani, l’esperienza del tatto, il gusto della manualità».
Se fosse vissuto nel passato, quale oggetto le sarebbe piaciuto inventare?
«La ruota. Creda a me: è fondamentale».
Qual è un’invenzione di cui il genere umano avrebbe veramente bisogno?
«Domanda astuta: lo decideremo domani».