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 2014  maggio 14 Mercoledì calendario

MA COSA SUCCEDE DAVVERO SE TORNIAMO ALLA LIRA


Milano, maggio
Immaginiamo che il 5 gennaio 2015 sia il “gran giorno”: usciamo dall’euro. Interno italiano, primo atto al risveglio. Donne, che preparate il caffè, sappiate sarà l’ultimo per il quale un chilo di macinato espresso si acquistava a una decina di euro: da lì in poi ci vorranno 30-35 mila lire. Uomini, che vi fate la barba, tenete presente la schiuma: costava un paio di euro al super, ma per comprarla serviranno 7-8 mila lire.
Sentirete rumori in strada. Per cui vi affaccerete alla finestra e guarderete giù. Se abitate sopra una banca, probabilmente vi colpirà quella coda chilometrica davanti ai bancomat e alle porte della filiale, che resteranno però irrimediabilmente chiuse. Qualcuno il fatto l’avrà scoperto la mattina stessa, ascoltando sonnacchioso l’annuncio alla radio, e si sarà precipitato fuori. Troppo tardi. Tutti si beccheranno una svalutazione di almeno il 50-60%, stile Argentina. Il conto in banca, i risparmi, il potere d’acquisto, le quotazioni in Borsa, il valore delle case: salterebbe ogni grandezza economica.
Chi ci guadagnerebbe?
I telegiornali, loro malgrado, rilancerebbero situazioni di panico in arrivo da ogni angolo d’Italia, e questo non farebbe che alimentarne altro. «Ma ce l’ho il latte in casa? E l’acqua minerale? E la carne?». Dovreste sperare di abitare anche sopra un supermercato e di essere stati rapidi. Perché potrebbe essere già chiuso. Forse andrebbe così. Oppure no. Non si sa, perché quanti assicurano che l’Italia risolverebbe i suoi problemi uscendo dall’euro, preferiscono stampare felpe piuttosto che spiegare con esattezza il loro piano, con costi e ricavi. Parlano genericamente dei secondi (tornerà il lavoro, la gente avrà più soldi) ma minimizzano i primi. Che lo facciano partiti e movimenti surriscaldati dalla campagna elettorale ci sta, è una dinamica di confronto che ha invaso l’Europa, ed è inevitabile se si ricorda a quali sacrifici ci ha obbligato il rigorismo tedesco. Però è anche giusto ricordare che, tra i suggeritori dell’uscita italiana dall’euro, ci sono grandissime banche americane come Merril Lynch, per la quale l’addio alla moneta unica ci farebbe solo bene. Considerata la provenienza del consiglio, è opportuno immaginare che a guadagnarci sarebbero forse lei e quei mercati “forti” dei quali è tra le registe, nemmeno troppo occulte. Chissà perché quelli che stampano felpe non lo ricordano mai.
Il primi passi (falsi)
L’euro venne battezzato il 4 gennaio 1999 (ecco il motivo della scelta del 5 gennaio 2015 come ipotetico D-day) in un tripudio di fuochi d’artificio e palloncini. Peccato, però, che la regola nazionalpopolare per districarsi con la nuova valuta corrispondeva a una delle più grandi distruzioni di valore della storia: all’alba del 2002, con la conversione, bisognava, infatti, togliere tre zeri e dividere per due. Chi guadagnava tre milioni di lire, apparentemente un bel gruzzolo, si ritrovò con 1.500 euro. Modestissimi quanto a capacità d’acquisto, perché ci si accorse subito che per un paio di scarpe, che prima costavano 200 mila lire, poi ci volevano 200 euro; per un chilo di zucchine, prima a circa 2 mila lire al chilo, poi servivano 2 euro, cioè il doppio.
Arrotondamenti. Fu uno dei problemi di allora, sarebbe uno di quelli di adesso. Il commerciante arrotonda e chiaramente lo fa al rialzo e non al ribasso. Il meccanismo, moltiplicato per milioni di volte, porterebbe a un aumento dei prezzi.
Tassi e prestiti. Immediatamente dopo dovrebbe intervenire la Banca d’Italia, con la più tradizionale delle misure di contenimento dell’inflazione: il rialzo dei tassi di interesse. Prestiti e mutui costerebbero di più, imprese e famiglie pagherebbero salata la necessità di capitali. (Ma non è uno dei motivi per cui vorremmo uscire dall’euro?).
Debito pubblico. Per pietà non parliamo di spread, perché non basterebbe il visualizzatore della calcolatrice. Basti sapere, però, che quanti hanno acquistato fettine del nostro debito sotto forma di Bot e Btp in euro vorrebbero che i loro crediti, e gli interessi, fossero soddisfatti nella stessa moneta. Questo ci costerebbe il 50-60% in più. In effetti, Grillo dichiara che non sarebbe un grande problema, perché il debito verrebbe cancellato, anzi ripudiato. Pur volendocene infischiare dei creditori stranieri, il vero disastro sarebbe per i Bot-people, quei milioni di italiani che si sono sempre fidati della capacità di rimborso del loro Paese: la cancellazione del debito li colpirebbe come un cazzotto nello stomaco. Al limite, forse riporterebbero sotto il materasso (eh sì, perché a quel punto, vatti a fidare delle banche...) un 20% al massimo. Il ritorno alla lira, per loro, varrebbe perciò la più pesante e iniqua delle patrimoniali.
La favola dell’uccellino
L’uscita dall’euro potrebbe arrivare senza un blitz, essere preparata e poi pilotata. Potrebbe però anche andare peggio, perché chi ha potuto, prima del diluvio ha cambiato gli euro in dollari, yen, franchi svizzeri. Oppure ha già spostato i suoi capitali da un’altra parte, perché c’è una marea di professionisti che lo fanno per mestiere in cambio di ragionevoli commissioni. Il risultato sarebbe: sportelli in crisi di liquidità, perché comunque il terrore di perdere soldi porterebbe moltissimi a ritirare il contante. Probabile che la Banca d’Italia (a quel punto autonoma) dovrebbe stampare lire a valanga. L’inflazione, ballerebbe a doppia cifra, colpendo tutti, ma in modo accentuato i ceti sociali più vulnerabili, che vedrebbero ridursi la capacità di acquisto per un 10% all’anno.
Con la premessa che produciamo servendoci di energia e materie prime che acquistiamo all’estero in dollari, e quindi dovremmo pagare la “bolletta” industriale con quel famoso 50-60% di squilibrio nel cambio, la svalutazione ci agevolerebbe nelle vendite all’estero, che aumenterebbero. A patto che quegli stessi mercati internazionali, popolati dai creditori che, da “furbetti”, abbiamo deciso di lasciare a bocca asciutta, abbiano ancora voglia di fare affari con la sesta economia del mondo. Se sesta resterà.
La favola. C’era una volta un uccellino che, cadendo dal nido, era rimasto sul sentiero. Sentiva freddo, tremava, passò una mucca e per scaldarlo lo coprì con il suo “concime”. Più tardi, su quel sentiero, passò una volpe. Sentì provenire lamenti da quello strano mucchietto, si avvicinò, intuì la presenza dell’uccellino, per cui lo pulì per bene, lo rassicurò, ma poi lo divorò. Morale: non tutti quelli che apparentemente ti tirano fuori dalle brutte situazioni lo fanno per farti un favore.

Marco Fratini
(caporedattore Economia e Esteri Tg La7)