VARIE 15/5/2014, 15 maggio 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - DODICI ANNI DI PIL BUTTATO
DAGOSPIA DA BUSINESS INSIDER
I paesi dell’area dell’euro sono cresciuti a un misero passo dello 0,2% nel primo trimestre, il che significa che non hanno centrato l’obiettivo di una crescita dello 0,4 per cento. "L’Eurozona sembra essere nel bel mezzo di una ripresa graduale ma è tutto tranne che un’unica economia", dice Claus Vistesen di Pantheon Macroeconomics.
"La Germania sta accelerando e andando forte mentre il resto dell’area arranca o addirittura decresce". A dispetto della moneta unica, ciascuno dei paesi dell’Eurozona ha una storia a sé. Ecco le indicazioni sui Pil dell’area arrivate proprio nelle ultime ore:
La Francia si ferma. La crescita del Pil è stata dello 0,0%, sotto alle aspettative di un progresso dello 0,1 per cento. "La componente dei consumi è stata particolarmente debole", nota Ian Shepherdson di Pantheon Macroeconomics.
La Germania cresce. Il Pil, a livello annualizzato, è salito di un incoraggiante 0,8%, battendo così le aspettative di una crescita dello 0,7 per cento. "E’ un dato molto forte, che avvalora la tesi che la Germania sia il motore di crescita di Eurolandia", afferma Shepherdson.
L’Italia arretra. Il Pil italiano, a sorpresa (negativa), è sceso dello 0,1% annualizzato, contro aspettative di una crescita dello 0,2 per cento. E ciò non è buono.
Il Portogallo affonda. Il Pil è sceso dello 0,7% annualizzato contro attese di una crescita dello 0,1 per cento. E ciò è persino peggio.
Il fatto che la Germania riesca a fare meglio delle attese quando il resto d’Europa delude è preoccupante. "E’ preoccupante perché l’assioma che una Germania forte potrebbe agire come fattore trainante per i vicini più deboli adesso sembra essere messo decisamente in discussione", dice Vistesen. "In realtà, sembrerebbe quasi che l’economia tedesca, con il suo notevole surplus esterno, per certi aspetti impedisca la ripresa tra i paesi dell’area nel loro complesso".
Intanto, dall’altra parte del mondo, è arrivato anche il dato sul Pil giapponese del primo trimestre, che è balzato del 5,9% a livello annualizzato, facendo a pezzi le aspettative di una crescita del 4,2 per cento. Tuttavia, Kiyoko Katahira di Societe Generale prevede che tale forte crescita possa essere parzialmente controbilanciata dal dato negativo del secondo trimestre, legato all’aumento della tassa sui consumi di aprile.
Il mese scorso invece si è saputo che il Pil statunitense ha rallentato il passo crescendo di appena lo 0,1 per cento. Nel frattempo, la Cina è cresciuta meno delle attese, del 7 per cento.
REPUBBLICA.IT
MILANO - Si divarica il ritmo della ripresa in Europa, con i più forti che corrono più dei più deboli. E l’Italia torna a vedere il segno negativo davanti al dato del Prodotto interno lordo. Nel primo trimestre dell’anno, il Pil è tornato a scendere su base congiunturale dello 0,1%, mentre sull’anno il calo è stato dello 0,5%. Si tratta delle stime Istat con dati corretti per gli effetti di calendario e destagionalizzati (il primo trimestre 2014 ha avuto una giornata lavorativa in meno del precedente e del primo trimestre 2013).
Peggio, in valori assoluti il Pil è arretrato di 14 anni: il valore concatenato nel primo trimestre 2014 è di 340.591 miliardi di euro e, secondo le serie storiche dell’Istat, per trovare un dato inferiore, pari a 338.362 miliardi, bisogna risalire al primo trimestre del 2000, quando la tendenza dell’economia era però alla crescita.
L’ultimo trimestre 2013, con un +0,1% congiunturale, aveva interrotto nove trimestri consecutivi di segni negativi. Il Pil acquisito per l’anno in corso (cioè ipotizzando una variazione trimestrale nulla nei prossimi periodi del 2014) è pari a -0,2%. "Il calo congiunturale è la sintesi di un incremento del valore aggiunto nel settore dell’agricoltura, di un andamento negativo nell’industria e di una variazione nulla nel comparto dei servizi", spiegano dall’Istituto di statistica.
Nell’intera Eurozona, la crescita economica è stata sotto le attese nel primo trimestre:
il Pil ha segnato un aumento dello 0,2% rispetto ai tre mesi precedenti, secondo la stima preliminare diffusa da Eurostat, espansione pari alla metà circa di quanto atteso dagli analisti. Confrontando i dati dei Paesi europei, però, emerge che solo l’Italia, tra i grandi Paesi, ha mostrato un segno negativo; con lei ci sono Estonia (-1,2%), Olanda (-1,4%), Portogallo (-0,7%) e Finlandia (-0,4%).
Prima del dato sull’Italia erano emersi quelli divergenti delle prime due economie del Vecchio Continente: Francia e Germania. L’economia tedesca, nel primo trimestre dell’anno, è cresciuta oltre le attese: il Pil della Germania, secondo i dati preliminari destagionalizzati, è cresciuto dello 0,8% rispetto al trimestre precedente e del 2,3% annuo. Si tratta della maggiore espansione degli ultimi tre anni. Il prodotto tedesco era reduce da una crescita, nell’ultimo periodo del 2013, dello 0,4% rispetto al terzo trimestre dell’anno scorso: nel giro di tre mesi il motore della locomotiva d’Europa ha raddoppiato i suoi giri. Le attese, inoltre, erano inferiori: secondo il panel di quaranta economisti tracciato da Bloomberg, ci si aspettava una crescita dello 0,7% congiunturale. I consumi privati e le spese statali, insieme agli investimenti in costruzioni e macchinari, sono stati i driver della crescita tedesca; minore invece l’apporto dal commercio estero, con un impatto inferiore dalle esportazioni e maggiore dalle importazioni rispetto al terzo trimestre. Secondo le stime della Bundesbank, la Banca centrale tedesca, quest’anno l’economia nazionale dovrebbe crescere dell’1,7% quest’anno e del 2% il prossimo.
Diverso il discorso per la Francia, dove le attese degli analisti sono andate deluse. L’economia transalpina è rimasta infatti piatta nel primo trimestre: il Pil non si è mosso su base trimestrale, a fronte di un atteso +0,1% (secondo 28 economisti sentiti da Bloomberg) e del +0,2% del quarto trimestre. Insomma, i dati mostrano tutte le difficoltà che Francois Hollande incontra nel tentativo di rilanciare l’economia. L’ufficio nazionale di statistica ha anche rivisto al rialzo il dato del Pil del 2012, portandolo a +0,3 dell’andamento piatto inizialmente stimato. Il Pil del 2013 resta invece stabile a +0,3%. Peggiorano però, sempre per mano dell’ufficio di statistica nazionale, le stime sul deficit del 2013, che sono state portate dal 4,3% al 4,2%. Corrette in meglio - invece - le stime sul debito, che l’anno scorso si è attestato al 91,8% del Pil invece del 93,5%.
"A quanto pare, la divergenza tra le economie francese e tedesca si sta allargando", ha detto a caldo all’agenzia finanziaria Usa Alexander Koch, economista di Raiffeisen Schweiz di Zurigo. "Eppure, mentre le condizioni per la solida espansione sono meglio in Germania che in altri Paesi", le riforme che stanno prendendo piede per allentare la "pressione fiscale e migliorare il mercato del lavoro" indirizzano il Vecchio Continenten "verso una maggiore convergenza e l’ampliamneto della crescita nella zona euro".
Fuori dall’Europa, oggi si segnala anche il dato del Giappone. L’economia nipponica ha segnato una crescita reale del Pil dell’1,5% sui tre mesi precedenti (al passo più veloce degli ultimi 10 trimestri) e del 5,9% su base annualizzata. La forte accelerata, nei dati diffusi dall’Ufficio di gabinetto, include il trend dei consumi salito del 2,1% sulla spinta del rialzo dell’Iva, passata dal primo aprile dal 5 all’8%. Una corsa agli acquisti, dunque, che può aver falsato i dati.
REPUBBLICA.IT
MILANO - Giovedì nero per Piazza Affari che crolla e brucia 17,6 miliardi con il calo del Pil nel primo trimestre e lo spettro di una nuova recessione. Schizza lo spread, la differenza di rendimento tra Btp e Bund tedeschi, che torna a quota 175 punti ai massimi dallo scorso 28 marzo, mentre i Btp rivedono la soglia del 3,05% sui timori - smentiti dal Tesoro - di un cambio della tassazione sui titoli di Stato. Il listino milanese affonda e perde il 3,61% trascinando al ribasso i principali mercati del Vecchio continente già condizionati dai dati relativi alla crescita economica delle principali economie dell’Eurozona e da quelli sull’andamento dell’inflazione.
A far da corollario a tutto il bollettino mensile della Bce con il quale l’Eurotower ribadisce di essere pronta ad agire, anche perché le stime dell’inflazione sono state limate dagli economisti di Francoforte. Per Eurostat, si conferma intanto la lieve risalita dell’inflazione nell’area euro: ad aprile la crescita dei prezzi al consumo su base annua si è attestata allo 0,7%, a marzo era caduta ad un minimo storico con lo 0,5%.
Non a caso, Mario Draghi
ha detto nell’ultimo board dell’Eurotower che avrebbe aspettato i dati dei suoi economisti per agire; e ieri da Berlino sono emersi segnali distensivi in tal senso. Il "falco" Jens Weidmann, pur negando un "via libera" formale da parte della Bundesbank che era emerso da alcune ricostruzioni, ha comunque aperto al governatore spiegando che "sono cambiati i temi, non le posizioni". Freno ancora tirato, dunque, su un quantitative easing, ma apertura a un intervento per i rischi di deflazione. Per di più, prendendo le parti del Sud Europa con una frase ad effetto: "Si punta il dito contro l’Italia, la Spagna, la Grecia, ma la Germania ha molto da fare".
Sui mercati azionari torna quindi la paura dopo i recenti, nuovi, record: Milano trascina sul fondo le banche, si salva solo Generali, che ha chiuso il primo trimestre con utili in crescita a 660 milioni e ha affidato a Btg Pactual - già entrato con una quota di Mps - l’esclusiva per trattare la cessione della banca svizzera Bsi. Male anche gli altri listini europei con Londra che cede lo 0,55%, Francoforte l’1,01% e Parigi l’1,25%. Debole anche Wall Street: il Dow Jones cede l’1,1% come l’S&P 500, mentre il Nasdaq l’1,4%. L’euro recupera terreno sul finale e chiude sopra quota 1,37 dollari dopo essere sceso ai minimi da quasi due mesi. La divisa europea passa di mano a 1,3716 dollari dopo aver toccato 1,3647 dollari.
A condizionare la seduta sono arrivate anche le indicazioni deludenti dalla produzione industriale Americana che arretra dello 0,6% ad aprile, mentre i prezzi al consumo salgono dello 0,3%. Bene, invece, le richieste di sussidi per la disoccupazione, in calo di 24mila a quota 297mila, ai minimi dal maggio 2007. L’indice Empire State misurato dalla Federal Reserve di New York sale invece a 19,01 punti a maggio, da 1,29 punti di aprile, e quello che misura i nuovi ordini balza a 10,44 punti, dai -2,77 punti di aprile, mentre quello che tiene conto dell’occupazione sale a 20,88 punti da 8,16. Attesa anche per le parole del numero uno della Fed, Janet Yellen l’indice dell’attività aziendale della Fed di Philadelphia.
D’altra parte anche in Europa le uniche soddisfazioni erano arrivate dai dati sull’economia tedesca che cresce più delle aspettative con un +0,8% nel primo trimestre, mentre la Francia delude le aspettative e l’Italia torna addirittura a vedere il segno negativo: -0,2% trimestrale e -0,5% annuo. Delude nel complesso l’Eurozona, con un timido +0,2%. Fuori dall’Europa, il Giappone segna una crescita del Pil dell’1,5% sui tre mesi precedenti (al passo più veloce degli ultimi 10 trimestri) e del 5,9% su base annualizzata. La forte accelerata include il trend dei consumi, salito del 2,1% sulla spinta del rialzo dell’Iva, passata dal primo aprile dal 5 all’8%. Proprio ad aprile, non a caso, l’indice di fiducia dei consumatori nipponici è risultato in calo a 37 punti, ben lontano dalla soglia di 50 che indica il passaggio a un clima positivo.
In mattinata, la Borsa di Tokyo ha chiuso in calo, sulla scia di Wall Street; ha scontato poi la salita dello yen (il dollaro è sceso sotto quota 102) e il tonfo di Sony (-6%), dopo un bilancio 2013/14 in rosso e le stime di un’altra perdita nell’esercizio in corso. L’indice Nikkei è arretrato alla fine dello 0,75% a 14.298,21 punti. Per le materie prime, il petrolio è in calo sui mercati asiatici a 102,04 dollari per il barile Wti e a 110 dollari per il Brent. L’oro è in calo a 1.305,97 dollari l’oncia, mantenendosi comunque vicino ai massimi di inizio mese. Dall’inizio dell’anno il metallo giallo ha messo a segno un progresso dell’8,5%.
Il Prodotto interno lordo italiano torna a scendere. Il commento di Federico Fubini: "Si può dire che il nostro paese non è mai uscito dal periodo di recessione iniziato a metà del 2011. Anche la zona Euro è malandata. La Germania, però, continua a crescere. Mentre la Francia è ferma".
CROSETTO
"Il Pil è in perdita, le previsioni di Renzi sono sbagliate. Questo significa che la nuova Commissione Europea chiederà una manovra correttiva a settembre o ottobre. L’unica cosa da fare era pagare i debiti della Pubblica Amministrazione, senza pensare ai vincoli europei. Gli 80 euro potevano andare bene, ma non sono coperti". Lo dice Guido Crosetto, candidato alle Europee per Fratelli d’Italia, durante il videoforum su Repubblica Tv. Conduce Vittoria Iacovella
REPUBBLICA.IT
MILANO - Il balzo dello spread, la differenza di rendimento tra Btp e Bund, che nel 2011 fece aleggiare sull’Italia lo spettro del default non fu legato del tutto ai fondamentali dell’economia. E’ quanto si legge nel bollettino mensile della Bce, che cita uno studio del 2013 Hordahl e Tristani: "I risultati delle stime indicano che il fattore non fondamentale è economicamente significativo e, in svariate circostanze, contribuisce notevolmente alla determinazione dei differenziali di rendimento osservati per paesi come Italia e Spagna dall’inizio del 2011", laddove in Grecia "i differenziali sembrano essere stati influenzati pressochè interamente dai fondamentali".
Spread. In sostanza, secondo la Bce, tra il settembre 2008 e il maggio 2011, l’avversione al rischio degli investitori, i rischi di credito specifico ai singoli paesi percepiti dai mercati, i rischi di liquidità e gli effetti di contagio "hanno tutti avuto un ruolo fondamentale nell’ascesa dei differenziali di rendimento di Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia e Spagna". In particolare, "i primi segnali di effetti di contagio dalla Grecia" hanno influenzato "gli andamenti dei differenziali di rendimento nei paesi con fondamentali più deboli, come Irlanda, Portogallo, Italia, Spagna e, in misura molto minore, Belgio e Francia" e "i paesi con fondamentali ritenuti più deboli, in particolare con condizioni di bilancio più sfavorevoli, erano in genere più vulnerabili agli effetti
di contagio".
Omt. La Banca centrale europea rivendica, dunque, l’efficacia della strategia seguita dal 2012 con l’annuncio delle operazioni Omt (il piano di acquisto di titoli di Stato condizionati dalle riforme) che hanno calmierato la corsa dello spread: "Ad esempio, a metà settembre 2012 i differenziali sul debito sovrano di Italia e Spagna erano calati di circa 250-350 punti base rispetto al picco di luglio", ricorda la Bce, "essi hanno inoltre continuato a ridursi ininterrottamente durante l’intero 2012. Nel 2012-2013 i differenziali sovrani italiani e spagnoli per le scadenze decennali sono ulteriormente diminuiti, toccando 230 punti base nell’autunno del 2013 e 180 punti base nella primavera del 2014", prosegue la Bce.
Inflazione. Memore di questa strategia l’Eurotower è pronta a intervenire ancora "anche con strumenti non convenzionali" per combattere, questa volta "i rischi connessi con un periodo troppo prolungato di bassa inflazione". La Bce spera che l’effetto annuncio faccia la sua parte, ma gli economisti di Francoforte hanno limato fra uno e due decimali le loro previsioni sull’inflazione dell’Eurozona, portandole a 0,9% per il 2014, a 1,3% per il 2015 e a 1,5% per il 2016. Di certo la Bce non ha alcuna intenzione di agire sul tassi d’interesse confermati lo scorso 8 maggio allo 0,25%. Anzi è possibile che il prossimo consiglio direttivo del 5 giugno intervenga riducendo ancora il margine d’interesse.
Italia. Nonostante il calo dell’inflazione nell’area dell’euro, "in Spagna e Italia i consumi di beni durevoli sono calati drasticamente a indicazione che i consumatori non hanno beneficiato dei ribassi di prezzo". Con una dinamica opposta a quelle di Francia e Germania. Peggio, in Italia il valore aggiunto dell’industria è rimasto inferiore del 17% ai livelli pre-crisi, il divario maggiore registrato nell’Eurozona: la Germania si è riportata sulla parità, mentre la Spagna cede il 7% e la Frnaica il 9%.
Previsioni. Gli economisti e i centri studi privati hanno rialzato di un decimale, a 1,1%, la loro stima di crescita dell’Eurozona per il 2014, lasciando invariata quella per il 2015 (1,5%) e 2016 (1,7%). Lo rileva la Bce, secondo cui "ciò implica un rafforzamento continuo, benchè graduale, dell’attività economica nei prossimi anni". Preoccupa, invece, l’alto livello di disoccupazione.
(15 maggio 2014)
CARLO CLERICETTI SU REP
Lo scudetto si vince formalmente dopo l’ultima partita del campionato, ma quest’anno sappiamo che la Juventus ha già vinto, perché lo dice la matematica. Un analogo discorso, ma purtroppo rovesciato, si può fare per la crescita dell’Italia: dopo questo –0,1% del Pil nel primo trimestre, la matematica dice che sarà praticamente impossibile arrivare a quello 0,8% di crescita che è scritto nel Documento di economia e finanza (Def). Certo, quel risultato non si può ancora escludere al 100%, ma al 98% sì.
Ma cosa ha provocato questa secchiata d’acqua gelida sulle tiepide speranze di ripresa indotte da alcuni segnali positivi? Secondo Fedele De Novellis di Ref-ricerche potrebbe trattarsi di un decumulo delle scorte, fenomeno abbastanza anomalo perché quando c’è una prospettiva di crescita le scorte dovrebbero invece aumentare. Ma le imprese italiane sono alle prese con la scarsità del credito e i problemi di liquidità, e questo potrebbe averle indotte a ridurre il più possibile il magazzino. Se è così, potrebbe anche esserci un buon rimbalzo nel secondo trimestre, perché prima o poi le scorte vanno ricostituite.
Ma anche ipotizzando, dopo questo –0,1, un +0,6 seguito da due +0,3 negli ultimi due trimestri dell’anno, la crescita complessiva non supererebbe lo 0,5%. E questo è lo scenario più ottimistico, Se invece la variazione del Pil si limitasse a uno 0,2% per tutti e tre i prossimi trimestri, il risultato finale sarebbe uno 0,3 e forse anche un po’ meno. Infine, se d’ora in avanti non si andasse oltre lo 0,1 di crescita, alla fine ci ritroveremmo al punto in cui siamo partiti, cioè con una crescita zero.
Ma sono importanti queste variazioni? In fondo stiamo parlando di qualche decimale in meno, non dovrebbero fare una grande differenza. Invece la fanno, perché siamo impiccati alle regole europee (chi ha dimenticato il commissario Olli Rehn, quando diceva “il 3% vuol dire tre-virgola-zero”?). Recuperare mezzo punto di Pil significa dover trovare altri 8 miliardi. Significa che il denominatore con cui si calcolano i rapporti deficit/Pil e debito/Pil non cresce o cresce troppo poco, e quindi quei rapporti peggiorano, con la conseguenza che la Commissione ci chiederà di fare altri tagli, che deprimerebbero ancor più lo stato dell’economia. Significa, in parole povere, non poter uscire dal circolo vizioso austerità-tagli-austerità.
Nel frattempo la Germania ha invece avuto un dato sopra le aspettative, un +0,8% che porta al 2,3% la variazione del Pil nell’ultimo anno. Da che cosa deriva? Non dalle esportazioni, questa volta, ma da consumi privati, spese statali e investimenti in costruzioni e macchinari, ossia dal fatto che Berlino ha cominciato a fare una politica un po’ meno restrittiva; e questo, guarda un po’, fa bene alla crescita.
Inutile sperare che questi dati possano far cambiare qualcosa nella linea imposta da Berlino, Bruxelles e Francoforte. E’ chiaro da tempo che quella linea non mira a risolvere i problemi, ma a imporre le riforme neo-liberiste, che si ottengono tenendo sulla corda i paesi in difficoltà. Ma aumenta sempre più il rischio che quella corda finisca per spezzarsi.
I COSTI DEL PARLAMENTO EUROPEO
MILANO - Un miliardo e 790 milioni di euro per 751 eurodeputati: 2,4 milioni di euro l’anno a testa. E il budget del Parlamento europeo con un costo per cittadino di circa 3,58 euro l’anno (quello italiano ci costa 27,15 euro l’anno) lungo 436 chilometri, la distanza che separa le due sedi principali del Parlamento europeo: Bruxelles, in Belgio e Strasburgo, in Francia nel cuore dell’Alsazia simbolo dell’Europa ripacificata dopo la Seconda Guerra mondiale. In mezzo Lussemburgo, il Granducato che ospita la terza sede dell’Europarlamento, quella prettamente amministrativa con gli uffici del segretariato generale.
La premessa è doverosa: la politica europea è molto più attenta ai costi di quella italiana, ma nonostante tutto una revisione di alcuni capitoli della spesa non farebbe male. Quanto meno per mettere un po’ di ordine a sprechi che i tempi non giustificano più. Se una volta, infatti, le sedi di Bruxelles e Strasburgo avevano un forte significato storico rappresentando i territori liberati dall’invasione tedesca e divendando simbolo della pace nel continente, oggi sono diventate spese inutili in un’Eurozona che cerca la via della ripresa.
Lungo l’asse che divide le due città si muovono 5mila persone diverse volte al mese con un costo annuo che grava sulle casse del Parlamento per 200 milioni di euro: oltre il 11% di un budget per il 2014 da 1,79 miliardi di euro, che, pur essendo elevato, appare comunque più leggero di quello italiano (Camera e Senato costano circa 1,5 miliardi di euro). Lo spreco economico è aggravato dall’inquinamento degli spostamenti in uno scenario che vede l’Unione europea impegnata a ridurre le emissioni di anidride carbonica del 40% entro il 2030. L’Odissea tra Bruxelles e Strasburgo in aereo, treno, auto, camion solo per trasportare ogni volta i documenti del Parlamento costa 19mila tonnellate di Co2 l’anno (un auto media ne consuma 86 chilogrammi per i 772 Km che dividono Milano da Napoli). A Bruxelles si riuniscono le varie commissioni, mentre in Francia si tengono le sedute plenarie per 4 giorni al mese, agosto escluso. Uno spreco in più, in considerazione del fatto che a Strasburgo è stata costruita una sede ad hoc, costata quasi 600 milioni di euro, ma che viene utilizzata solo 44 giorni all’anno.
La proposta. Lo scorso anno gli europarlamentari avevano votato un risoluzione - non vincolante - per ridurre a una sola le sedi del Parlamento, ma per il momento la Francia continua a porre il diritto di veto, così come in tutte quelle situazioni che diminuiscono il prestigio transalpino. L’idea di perdere Strasburgo, dopo aver riconquistato 69 anni fa l’Alsazia, metterebbe in difficoltà il presidente socialista Francois Hollande già in crisi di consensi lasciando ampi spazi ai nazionalisti ex gollisti.
Lavoro. D’altra parte la maggior voce di spesa del Parlamento riguarda il costo del lavoro. I 766 deputati, che scenderanno a 751, costano 227 milioni di euro l’anno tra stipendi (75 milioni); rimborsi spese (117 milioni); assicurazioni, pensioni ed indennità varie (35 milioni). A questi si aggiungono 620 milioni di euro per i funzionari e i dipendenti temporanei, mentre sono in calo da 116 a 98 milioni le spese per i servizi esterni.
Attività. Le attività ordinarie e straordinarie del Parlamento costano 463 milioni di euro contro i 444 milioni dello scorso anno: in questo caso, però, l’aumento è in qualche modo giustificato dall’allargamento dell’Unione europea che dal luglio del 2013 è salita a 28 membri con l’ingresso della Croazia. Il Parlamento è uno dei due bracci legislativi dell’Unione (l’altro è il Consiglio), ma gran parte della sua attività è dedicata alla divulgazione (106 milioni di euro l’anno tra pubblicazione di documenti, accoglienza dei visitatori e distribuzione di informazioni varie). L’Europarlamento spende 100 milioni di euro l’anno per finanziare l’attività di parlamentari indipendenti, i gruppi parlamentari e le fondazioni. Altri 200 milioni sono stanziati per coprire le gli eventuali eccessi di spese per i lavori parlamentari.
Strutture. Il Parlamento spende 205 milioni di euro l’anno per il mantenimento delle tre sedi; 140 milioni per le telecomunicazioni sotto il cui cappello cade tutta la gestione dell’Information technology. I costi amministrativi ammontano a circa 5 milioni di euro.
CORRIERE.IT
È un giovedì nero per Piazza Affari con l’indice Ftse Mib che ha chiuso con un tonfo del 3,61% a 20.419 punti, livello minimo da quasi due mesi mandando in fumo 17,6 miliardi. A pesare sul listino milanese la discesa a sorpresa del Pil italiano nel primo trimestre del 2014, che ha mostrato una contrazione dello 0,1% rispetto agli ultimi tre mesi dello scorso anno. Il dato ha sorpreso il mercato visto che gli analisti avevano previsto un Pil in espansione dello 0,2%. A Piazza Affari le vendite non hanno risparmiato nessun comparto, ma si sono abbattute con vigore sul comparto bancario che ha pagato la repentina risalita dello spread Btp-Bund.
I titoli bancari
Banco Popolare ha ceduto il 5,80% a 11,84 euro, Montepaschi il 6,45% a 21,88 euro, Popolare di Milano il 6,83% a 0,552 euro, Ubi Banca il 7,74% a 5,78 euro, Unicredit il 5,66% a 5,83 euro, Mediobanca il 4,36% a 6,58 euro. Intesa SanPaolo (-6,22% a 2,20 euro) non ha sfruttato i conti del primo trimestre chiuso con un utile netto in crescita del 64,4% a 503 milioni di euro, il più elevato degli ultimi otto trimestri, contro i 306 milioni dello stesso periodo dello scorso anno. Il risultato è decisamente sopra le attese ferme a 281,5 milioni di euro. Il Common Equity ratio pro-forma Basilea 3 a regime è salito al 12,6% dal 12,3% di fine 2013, livello top tra le maggiori banche europee. Ancora un tonfo per Mediaset (-8,54% a 3,17 euro) che ha risentito di nuovo dei conti del primo trimestre, chiuso con una perdita di 12,5 milioni di euro rispetto all’utile di 9,3 milioni registrato nello stesso periodo dello scorso anno. A pesare sui conti è stata soprattutto l’Italia, dove il gruppo di Cologno Monzese ha riportato un rosso pari a 17,7 milioni di euro. I ricavi del Biscione si sono attestati a 820,8 milioni contro gli 831,6 milioni del primo trimestre del 2013. Nel Belpaese il fatturato è sceso a 620,9 milioni in scia a ricavi pubblicitari per 492,5 milioni di euro (-1,8%). Forti vendite anche su Mediolanum (-7,09% a 5,83 euro), che ieri ha annunciato di aver archiviato il primo trimestre con un utile netto in calo del 41% a 80,9 milioni di euro. Fiat (-3,64% a 7,13 euro) ha risentito della conferma del giudizio sell da parte di Citigroup. Per il broker Usa il problema più grande per il Lingotto riguarda l’accumulo del debito e l’ammontare degli investimenti richiesti quest’anno per raggiungere gli obiettivi al 2018. Giù anche Exor (-3,65% a 30,01 euro) che ha archiviato il primo trimestre del 2014 con una perdita di 83,2 milioni di euro rispetto all’utile di 51,1 milioni registrato nello stesso periodo dello scorso anno. Il Net Asset Value (Nav, valore netto degli attivi) è salito a 9,88 miliardi di euro dagli 8,85 miliardi di fine 2013. A fine marzo la posizione finanziaria della holding della famiglia Agnelli era pari a 1,29 miliardi di euro.
Il rischio Paese
Chiude a 180 punti base, tornando su livelli che non si vedevano da due mesi, lo spread tra BTp e Bund in una giornata nera per i titoli di Stato italiani che ha visto il rendimento del decennale salire ben oltre la soglia del 3 per cento. Il differenziale di rendimento tra il benchmark decennale italiano e il pari scadenza tedesco, che aveva aperto poco sopra i 150 punti base, ha iniziato ad allargarsi dopo il dato negativo sul Pil ma è poi letteralmente schizzato nel pomeriggio anche sulle voci relative a un possibile aumento retroattivo della tassazione sul capital gain dei bond greci: possibilità che ha affossato i titoli greci trascinando al ribasso anche gli altri Paesi periferici dell’Eurozona. Non si sono sottratti alle forti vendite, ad esempio, anche i Bonos spagnoli che accusano uno spread dai Bund in forte risalita a 170 punti base e un rendimento al 3,01 per cento. Intanto il ministero del Tesoro in una nota comunica che circa il 36% dell’emissione del nuovo BTp a 15 anni, con scadenza 1 marzo 2030 e cedola annua del 3,50%, è stata assegnata mercoledì ad investitori italiani ed il 64% ad investitori esteri. Rilevante la partecipazione da parte di investitori residenti in Gran Bretagna e Irlanda (23%) ed una significativa presenza di Francia (9%), Germania, Austria e Svizzera (8%), Scandinavia (5%) e Benelux (2%). Notevole la partecipazione degli investitori statunitensi, che si sono aggiudicati il 13% dell’emissione.
ILSOLE24ORE.IT
L’Italia accusa l’andamento deludente del Pil nel primo trimestre e accusa una serie di vendite sui titoli di Borsa e sui BTp. L’indice Ftse Mib ha chiuso in calo del 3,61%, fra una raffica di sospensioni sul settore bancario, mentre il rendimento del BTp decennale, che sulle prime era sceso di nuovo ai minimi storici al 2,89% è balzato nel pomeriggio fino al 3,10%, riportando spread nei confronti del Bund a quota 180. Il colpo per la verità è stato accusato anche dagli altri «periferici» d’Europa, Spagna in primis (-2,35%), mentre Francoforte ha cercato fino in fondo di reggere l’urto (-1%). Male anche Wall Street (segui gli indici in diretta), mentre l’euro ha recuperato quota 1,37 dollari (cambio euro/dollaro e convertitore di valute) dopo aver toccato i minimi da 3 mesi.
L’inattesa frenata europea
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Il fronte macroeconomico è tornato quindi oggi grande protagonista sui mercati. Lo dimostrano i dati sulla crescita europea, che hanno deluso a livello generale (+0,2% rispetto ai tre mesi precedenti nell’Eurozona, la metà di quanto previsto) sia a livello di singoli Stati (-0,1% in Italia, -0,7% in Portogallo, invariata in Francia, -1,4% l’Olanda), ma non in Germania (+0,8%, oltre le attese), scatenando le vendite prima sui listini azionari, poi nel pomeriggio anche sui bond sovrani. E scatenando di riflesso anche la rincorsa al Bund, tornato «rifugio» per eccellenza, i cui rendimenti a dieci anni si sono ridotti all’1,30%.
Francoforte rivede le stime su Pil e inflazione
L’attenzione si sposta adesso sulla possibile reazione della Banca centrale europea (Bce), agli occhi della quale i dati della mattinata non saranno passati inosservati. Intanto, secondo quanto contenuto nel Bollettino mensile diffuso questa mattina, i previsori della Bce hanno alzato marginalmente la stima di crescita dell’Eurozona per il 2014 che è ora dell’1,1% (+0,1 punti percentuali) mentre hanno lasciato invariate all’1,5% quella per il 2015 e all’1,7% quella per il 2016. Al tempo stesso sono state riviste al ribasso le previsioni sull’inflazione: 0,9% quest’anno, 1,3% nel 2015 e 1,5% nel 2016. L’indice dei prezzi al consumo dell’Eurozona, probabilmente il dato più importante per capire se davvero la Banca centrale europea (Bce) premerà il piede sull’acceleratore a giugno proprio perché il controllo dell’inflazione è per statuto il compito numero uno dell’Eurotower, è intanto stato confermato in aprile allo 0,7% dopo lo 0,5% di marzo.
Il termometro della ripresa Usa
Varcando l’Oceano, l’inflazione Usa è salita dello 0,3% mensile e del 2% su base annua, in linea con le attese. La richieste di sussidi settimanali di disoccupazione sono scese oltre le previsioni a quota 297 mila, minimi dal 2007, e la produzione industriale è inaspettatamente scesa dello 0,6% in aprile. L’indice Filadelfia Fed sull’andamento del settore manifatturiero nell’area è sceso a 15,4 punti (meno del previsto). Dati contrastanti, funzionali alla comprensione delle future mosse della Federal Reserve e al suo processo di riduzione delle iniezioni di liquidità nel sistema (il cosiddetto tapering), che non hanno però impedito l’ondata di realizzi che ha investito la Borsa di New York.
Raffica di stop a Piazza Affari nonostante le trimestrali
A Piazza Affari le vendite hanno colpito soprattutto i titoli del settore bancario, molti dei quali sono stati anche sospesi al ribasso. Il tutto nonostante i dati di bilancio diffusi (è il caso di Intesa Sanpaolo, che ha chiuso il primo trimestre dell’anno con un utile netto di 503 milioni) siano stati in generale migliori delle attese. Solo Generali, che ha diffuso questa mattina i dati, è stata tra le poche a rimanere a galla per gran parte di giornata condizionata dalla delusione sul Pil, prima di chiudere comunque in calo dello 0,8%
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Nel primo trimestre dell’anno il Pil è tornato a scendere su base congiunturale dello 0,1%, mentre sull’anno il calo è stato dello 0,5 per cento. L’Italia è fanalino di coda tra i grandi Paesi europei. L’eurozona è cresciuta in media dello 0,2%; l’economia francese è ferma a crescita zero, mentre la Germania vola a +0,8%. Per quanto riguarda l’Italia, si tratta delle stime Istat espresse in valori concatenati con anno di riferimento 2005, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato (il primo trimestre 2014 ha avuto una giornata lavorativa in meno del precedente e una in meno del primo trimestre 2013). L’ultimo trimestre 2013, con un +0,1% congiunturale, aveva interrotto nove trimestri consecutivi di segni negativi. Il Pil acquisito per l’anno in corso è pari a -0,2 per cento.
«Pil speculazione spread... Teniamo alta la guardia: testa alla crescita, occhi sui conti, cuore all’occupazione» scrive in un tweet il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan che aggiunge l’hastag #riformareovivacchiare.
grafici
Pil a confronto dall’inizio della crisi ad oggi
Italia unico grande Paese Ue in crescita negativa
Nella Ue sono in crescita negativa solo l’Italia, l’Estonia (-1,2%), Olanda (-1,4%) Portogallo (-0,7%), Finlandia (-0,4%). Mancano le stime per diversi Paesi. Nel Regno Unito la crescita è stata dello 0,8% rispetto al trimestre precedente (0,7%), in Polonia é stata dell’1,1% dopo 0,7%.
Delrio: preoccupati ma impegnati
«Per noi il dato del pil non è affatto sorprendente ed è il motivo per cui abbiamo deciso di fare scelte grandi e radicali. Siamo certo preoccupati come è giusto che sia ma sapevamo che era necessario dare una svolta«. Così il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio commenta i dati del Pil.
Il Tesoro: rallentamento per buona parte dell’eurozona
«Notiamo che il rallentamento é comune alla maggior parte dei Paesi dell’area euro e che Paesi come la Germania che hanno fatto le riforme e hanno messo i conti in ordine hanno risultati migliori degli altri». Così il Tesoro commenta il dato sul Pil diffuso oggi dall’Istat che testimonia un ritorno al segno meno nel primo trimestre. «Ci aspettiamo che il taglio dell’Irpef abbia effetti positivi sulla ripresa dei consumi e anche che le politiche annunciate dalle istituzioni europee diano una spinta alla crescita», spiega il ministero dell’Economia, spiegando che il tema della crescita «sarà l’impegno nel corso del semestre di presidenza italiana dell’Ue. Il semestre italiano darà sicuramente una svolta alle politiche in favore di crescita e occupazione».
Economisti sorpresi
Il calo dello 0,1% registrato oggi dal Pil italiano nel primo trimestre è un dato che ha sorpreso in negativo gli economisti e gli osservatori del ciclo economico italiano. E’ vero, dicono gli esperti interpellati da Radiocor, che oggi anche altri Paesi europei hanno comunicato dati decisamente sotto le attese per quanto riguarda la crescita economica, come l’Olanda e il Portogallo, ma in questi casi la performance è in larga parte spiegata da fattori eccezionali. Per l’Italia, invece, non solo non è possibile chiamare in causa fattori straordinari che hanno impattato negativamente sul ritmo della crescita, ma il dato di oggi è anche in contraddizione con gli esiti delle ultime indagini di fiducia. Una revisione al ribasso delle stime di crescita, dicono gli economisti, è inevitabile con questi presupposti. Si comincia a pensare ad alcuni decimali di punto in meno, qualcuno si spinge a ipotizzare +0,4% per l’intero anno (l’ultima indicazione del Governo è +0,8 per cento; l’Ocse ha stimato +0,5 per cento, la Commissione Ue +0,6 per cento).
Nomisma: «Siamo praticamente in stagnazione»
«La ripresa è scomparsa nel primo trimestre. L’Italia è praticamente in stagnazione: con il dato di inizio anno e scontando rialzi nei successivi trimestri, l’incremento del Pil del 2014 è dello 0,2-0,3% e non dello 0,8% (ipotizzato dal governo) o del 0,6% (previsto dalla Ce)», ha commentato Sergio De Nardis, capoeconomista di Nomisma.
http://www.camelotdestraideale.it/2014/01/14/negli-ultimi-15-anni-tutti-i-paesi-dellarea-euro-hanno-visto-crescere-il-pil-pro-capite-tranne-litalia/
Delle due, l’una. O l’Euro è frutto di un complotto demo-Pluto-Pippo&Paperino-giudaico-massonico ordito solo contro l’Italia (non ridete), o, come qui si dice spesso e volentieri, il problema siamo noi, ovvero l’eccesso di spesa pubblica, tasse e debito che ci trasciniamo dietro da decenni e che frena, inesorabilmente, la nostra crescita. («La seconda che hai detto»).
Tertium non datur, come attestano i seguenti grafici pubblicati da The Economist e che documentano come, negli ultimi tre lustri, la ricchezza pro capite di tutte le altre nazioni dell’area Euro sia aumentata.
Dal 1999 al 2014, il Pil pro capite è cresciuto del 21,3% in Germania, del 20,9 in Finlandia, del 10,7 nella area Euro a 12, del 10% nei Paesi Bassi, del 9,3 in Francia, dell’8,7 in Spagna, del 2,7 in Grecia, dello 0,8 in Portogallo. Solo in Italia, invece, è diminuito del 3%.
2) Che la nostra spesa pubblica, in rapporto al Pil, è superiore a quella media dei paesi intra ed extra europei dal 1987 (l’Euro non c’era); e che, in ragione di ciò, visto che le tasse servono a finanziare la spesa, la pressione fiscale nostrana, con l’eccezione degli anni 2000 e 2005, dal 1998 è superiore a quella media europea e dell’area Euro.
Negli ultimi anni si è allargato il divario tra la pressione fiscale in Italia e quella nel resto d’Europa: nel 2005 la pressione fiscale era di 0,2 punti inferiore alla media dell’area euro e nel 2008 diventa di 2,1 punti superiore alla media dell’area euro