Ugo De Siervo, La Stampa 15/5/2014, 15 maggio 2014
REGIONI, I RISCHI DELLA RIFORMA
Pochi giorni fa la Corte Costituzionale ha deciso di sollevare questione di costituzionalità (presso se stessa ) in riferimento a una disposizione legislativa che riconosce al Commissario dello Stato presso la Regione Siciliana il potere di impugnare le leggi della Regione Sicilia: si tratta di ciò che resta di vecchie disposizioni dello Statuto autonomo del 1946, già largamente demolite negli anni trascorsi da varie sentenze della Corte, e cioè di una disposizione molto discussa e disomogenea rispetto al sistema di controllo sulle leggi di tutte le altre Regioni. Comunque vada a finire la vicenda, sembra quindi evidente che la Corte sente fortemente l’urgente necessità di ridurre le eccessive disomogeneità fra le Regioni speciali (Friuli Venezia Giulia, Sardegna,Sicilia, Trentino – Alto Adige, Valle d’Aosta) e le altre Regioni, cosiddette ad autonomia ordinaria.
In effetti, negli anni più recenti si sono moltiplicate le polemiche proprio verso quest’ultima categoria di Regioni, accusate di avere molti più poteri e finanziamenti e minori controlli; non a caso, quasi tutti i tentativi dei Comuni di trasferirsi da una Regione all’altra hanno riguardato proprio Comuni collocati in territori confinanti con le Regioni speciali, evidentemente ritenute capaci di garantire trattamenti decisamente migliori per le loro popolazioni.
Al tempo stesso, invece, la proposta del governo di modificare in profondo il Titolo V della Costituzione (e cioè le disposizioni che riguardano le autonomie regionali e locali) conferma l’assoluta separatezza dell’autonomia delle cinque Regioni ad autonomia speciale da quella delle altre quindici ed, anzi, vi si scrive espressamente che le innovazioni proposte in materia regionale non si applicherebbero alle cinque Regioni speciali. Ma, dal momento che le innovazioni proposte sono fortemente riduttive dell’autonomia delle Regioni, ciò significherebbe paradossalmente accentuare ulteriormente il distacco dell’autonomia delle cinque Regioni da quello delle altre: per fare solo un esempio, sulla base delle nuove proposte il Parlamento potrebbe eccezionalmente adottare una legge anche negli ambiti delle competenze regionali «quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica…», ma non lo potrebbe fare in riferimento ai territori delle cinque Regioni speciali. Quasi che queste ultime siano estranee alla tutela degli interessi nazionali.
Occorrerebbe pertanto riflettere seriamente sulle trasformazioni del nostro complessivo regionalismo, pur senza porsi obiettivi di trasformazioni radicali, difficilmente conseguibili nel contesto attuale. Ma quanto meno cominciare ad avvicinare i due tipi di autonomia regionale sembra indispensabile.
Resta poi il punto fondamentale dell’estrema compressione delle materie di competenza delle Regioni ordinarie dopo la proposta di riscrittura dell’art. 117 della Costituzione e cioè della disposizione che stabilisce i confini fra ciò che spetta allo Stato e ciò che, invece, spetta alle Regioni: senza poter qui entrare in tecnicalità giuridiche, basta forse spiegare che, mentre si assicura allo Stato l’esclusiva competenza in circa 45 materie o gruppi di materie, più o meno precisamente indicate, si dice che alle Regioni spetterebbe disciplinare quanto non espressamente riservato alla legislazione esclusiva dello Stato; ma un sistema del genere affida, in buona sostanza, al legislatore statale la individuazione dei confini delle «sue» materie e di conseguenza di quanto può invece essere attribuito al legislatore regionale. E poi, considerando l’importanza del ruolo e dei poteri delle diverse burocrazie, non c’è scritto da nessuna parte del disegno di legge che alle Regioni occorre trasferire la guida ed il controllo degli apparati burocratici operanti nei loro settori di competenza, ma che siano finora restati allo Stato.
C’è davvero da augurarsi che l’intervallo pre-elettorale sia utilizzato per migliorare decisamente il testo del disegno di legge costituzionale.
Ugo De Siervo, La Stampa 15/5/2014