Francesco Manacorda, La Stampa 15/5/2014, 15 maggio 2014
QUEL SALOTTO BUONO TRA BRESCIA E BERGAMO
Sarà pure un termine trito, ma mai come questa volta l’ingresso dei magistrati e quello - tutt’altro che metaforico - delle Fiamme Gialle, scuote i «salotti buoni», o quel che ne resta, della finanza italiana. Sotto indagine, seppure per ipotesi di reato diversissime tra di loro, ci sono infatti due nomi che dominano o hanno dominato per decenni lo stretto sistema di relazioni del capitalismo italiano di Nord-Est come Giovanni Bazoli e Giampiero Pesenti; due esponenti della finanza cosiddetta «cattolica» e però con solidi agganci - è il caso dello stesso Pesenti - con la cattedrale «laica» di Mediobanca e relativo pacchetto di partecipazioni; in fondo anche espressione di due realtà geografiche vicine ma assai distanti come la Brescia del banchiere e la Bergamo del cementiere, che proprio dalla loro unione hanno fatto nascere sette anni fa Ubi Banca.
E forse proprio qui, nel tormentato asse Bergamo-Brescia, ancora più che in un’ipotetica lotta di potere tra centrodestra e centrosinistra bancario, va cercata la radice delle indagini che oggi toccano con ipotesi per loro infamanti - il patto occulto e l’ostacolo all’attività di vigilanza Bazoli, addirittura la truffa Pesenti - i due nomi più noti della vicenda. Due nomi che, non a caso respingono sdegnati le accuse. Del resto per un banchiere di primissimo piano come il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa-Sanpaolo la sola ombra del sospetto rischia di diventare un peso grave, anche se ieri nell’ambiente degli azionisti della banca si registrava una silente solidarietà e attestazioni di immutata fiducia nel presidente. E lo stesso vale, ovviamente, per un industriale come Pesenti.
Per Bazoli, Ubi Banca è stata un’operazione Ambrosiano 2.0 in salsa bresciano bergamasca. Così come il colosso Intesa-Sanpaolo è cresciuto nel corso dei decenni attraverso aggregazioni successive, anche il gruppo bancario della ricchissima provincia lombarda è diventato il quarto protagonista del mondo creditizio italiano tramite un innesto artificiale tra le due anime distanti locali, distanti poche decine di chilometri ma da sempre divise da una certa rivalità campanilistica. Un innesto al quale, nel 2006, proprio i soci bresciani della Banca Lombarda e Piemontese - con Bazoli come vicepresidente e azionista - pagarono pegno accettando di essere incorporati nella bergamasca Bpu e soprattutto di mutare natura sociale trasformandosi da una Spa a una Banca Popolare, con tutti i vincoli al diritto di voto che questo comportava.
Se da un lato la fusione ha mostrato la sua forza nel corso degli anni, dall’altro ancora adesso si trascina dietro una coda velenosa di polemiche che non riguarda solo l’ex deputato del Pdl Giorgio Jannone - da tempo in guerra con i vertici della banca e sempre sconfitto nella lotta per il potere - ma anche un nucleo storico di soci bergamaschi legati all’avvocato Andrea Resti, che nel 2013 aveva presentato un esposto alla magistratura che potrebbe aver contribuito alle indagini odierne. Certo è che l’intreccio di poteri e parentele della ristretta classe dirigente bergamasca e bresciana, ha suscitato più di una polemica. Ad esempio per i ruoli multipli ricoperti dalla figlia di Bazoli, Francesca, e da suo marito Gregorio Gitti - entrambi avvocati di grido - in società legate in vario modo ad Ubi Banca, prima e dopo quel 2012 in cui lo stesso Bazoli era uscito dal consiglio di sorveglianza della capogruppo. Allo stesso modo anche Emilio Zanetti, lo storicissimo - ha regnato per 29 anni - presidente della Banca Popolare di Bergamo e della stessa Ubi, ha il figlio Mattia tra i consiglieri dell’istituto.
Quel principio dell’alternanza alla guida di Ubi che si è finora realizzato e che secondo le ipotesi degli inquirenti rappresenterebbe il «patto occulto» tra l’associazione di soci bergamasca e quella bresciana, non è però - secondo Bazoli - frutto di nessun accordo segreto. Tutti gli accordi che hanno dato vita a Ubi - ha fatto scrivere ieri il Professore al suo legale - «così come tutti i successivi, sono stati recepiti negli statuti e in atti ufficiali debitamente comunicati». E chi gli è vicino ricorda che l’Associazione Banca Lombarda e Piemontese - quella che secondo gli inquirenti avrebbe un accordo con gli Amici di Ubi Banca - ha solo 300 associati rispetto a una lista di maggioranza che di voti all’ultima assemblea ne ha avuti ben oltre seimila. Insomma, come sarebbe possibile influenzare in modo occulto il voto di una Popolare - è la tesi difensiva - in cui peraltro si vota con il metodo «capitario», ossia con lo stesso peso che si abbiano venti azioni o ventimila?
Francesco Manacorda, La Stampa 15/5/2014