Fabio Poletti, La Stampa 15/5/2014, 15 maggio 2014
DIRE ADDIO AL TRENO DELL’EXPO? A RISCHIO 100 MILA POSTI DI LAVORO
Il più tranquillo è il segretario generale del Bie, il sevillano Vicente Gonzalez Loscertales: «Lo sapevo che l’edizione italiana sarebbe stata movimentata e che farla in Italia sarebbe stata un lusso. Ma di questo lusso non mi sono mai pentito». Il vero lusso per l’Italia sarebbe non farla più, Expo 2015. Perché a parte la gigantesca perdita di credibilità mondiale nemmeno quantificabile in euro o in qualsiasi altra moneta, i costi economici dello stop non sarebbero a questo punto più sostenibili dall’Italia. La penale da pagare al Bureau International des Expositions che fino all’aprile del 2013 era ferma a 51,6 milioni di euro oggi si aggira tra i 250 e i 300 milioni. Per non parlare delle penali da pagare ai 146 Paesi che hanno già aderito - sono 147, ma l’Italia non conta - che potrebbero presentare singolarmente una richiesta di risarcimento danni commisurata agli investimenti già stanziati. Tanto per dire gli Emirati Arabi che faranno Expo 2020 a Dubai, hanno già investito 60 milioni di euro e di sicuro sarebbero assai nervosi a dirgli che non se ne fa più niente. Almeno quanto americani e cinesi che tra i top spender hanno già garantito investimenti tra i 40 e i 50 milioni di euro ciascuno.
Poi ci sono i Global Official Partner, i cosiddetti privati che sull’Expo hanno investito in toto 350 milioni di euro senza contare gli uomini intesi come posti di lavoro e i mezzi. New Holland, brand di Cnh Industrial sarà presente al padiglione agricoltura italiano. Fiat-Chrysler che fornirà una flotta di auto per gli spostamenti dentro e fuori il sito condivide l’esperienza con Accenture, Cisco, Enel, Intesa San Paolo, Samsung, Selex Es e Telecom. I loro uffici legali avrebbero gioco facile nel chiedere un adeguato compenso al mancato investimento. Poi naturalmente vanno contati gli 800 milioni di euro di appalti già stanziati. E la piastra, cioè il sito, dove i lavori sono al 40%. Cosa fare di una struttura pronta quasi a metà, grande un milione di metri quadrati, quanto centocinquanta campi da calcio, a parte coltivare erbacce non lo sa nessuno. Naturalmente si risparmierebbero quei 120 milioni di euro in appalti ancora da stanziare. Ma alla fine sarebbero solo noccioline, rispetto al gigantesco buco che si andrebbe a creare.
E allora rien ne va plus. «Sull’Expo abbiamo puntato tutto...», c’è chi lo racconta senza tanti giri di parole ai piani alti di via Rovello. Dove i giochi sono fatti e - a seconda di come la si guardi - lavorano capaci investitori pronti a ridisegnare il futuro economico dell’Italia a partire dal Grande evento. O «un’associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro pubblico» come sibila Beppe Grillo che intravede il Grande sfracello. In effetti i numeri della scommessa-Expo se visti in negativo, cioè dalla parte del fallimento o dello stop senza nemmeno arrivare al via, farebbero dormire sonni tranquilli a pochissimi. Alberto Dall’Acqua, docente universitario dello Sda Bocconi ha calcolato quanto vale Expo 2015 spalmato anche negli anni a venire: «Il danno maggiore naturalmente sarebbe quello di immagine. Ma anche i conti economici andrebbero in sofferenza». Secondo il suo studio elaborato per conto della Camera di commercio, si parla di una resa prevista di 10 miliardi di euro spalmati su dieci anni. Per non parlare dei 102 mila posti di lavoro - secondo altri calcoli sono «solo» 60 mila - che si volatilizzerebbero prima ancora di incominciare. E dei 2 miliardi di produzione aggiuntiva, quanto vale l’indotto, che verrebbero a mancare. E di altri milioni nemmeno quantificabili come aggiunge il professor Dall’Acqua: «Dobbiamo pensare ai privati che hanno già investito per tempo. Penso al turismo e a chi dovrà fornire vitto e alloggio ai visitatori».
Le stime sui visitatori si aggirano sui 20 milioni. Destinati pure a muoversi in qualche modo a Milano. Marco Ponti, docente di Economia applicata al Politecnico di Milano, esperto di infrastrutture, è sempre stato uno scettico blu sull’Expo. Ma nel calcolo dei costi e dei benefici ci mette pure le opere in corso d’opera: «Se non si facesse più l’Expo, si potrebbe fermare la Pedemontana che già serve a poco. Sarebbe sbagliato invece fermare le tangenziali esterne. Di sicuro le vie d’acqua attorno al sito non avrebbero più senso, se non per andarci in barchetta». Alla fine butta lì anche una provocazione: «Visto il malaffare che sta emergendo magari non fare l’Expo sarebbe il segno che questo paese vuole cambiare davvero pagina». Il dibattito è aperto. I miliardi di euro sono già sul piatto. Quando mancano appena 352 giorni al Grande evento che, comunque vada a finire, segnerà il futuro di Milano e di sicuro pure del Paese.
Fabio Poletti, La Stampa 15/5/2014