Stefano Vespa, Panorama 15/5/2014, 15 maggio 2014
IL GUARDIANO DEGLI SPRECHI: «STANARE I FURBETTI DEI TICKET SANITARI»
[Intervista al presidente della Corte dei conti, Raffaele Squitieri] –
«Vuole un esempio?
In alcuni capoluoghi di regione stiamo accertando quanti sono i dipendenti delle società partecipate dagli enti pubblici perché esistono altre società a loro volta “partecipate da partecipate”. Migliaia di dipendenti, il cui esatto numero non è conosciuto». Raffaele Squitieri presiede dal novembre scorso la Corte dei conti, la magistratura contabile il cui ruolo nella scoperta di sprechi e magagne nell’uso dei fondi pubblici viene finalmente tenuto in maggiore considerazione. Squitieri fotografa per Panorama un’Italia di tagli da effettuare, debiti fuori bilancio dei comuni da ridurre, un mare di società partecipate da prosciugare. «Se i politici avessero seguito i suggerimenti della Corte, avrebbero saputo gestire meglio la cosa pubblica» dice il presidente aggiungendo, con malcelata soddisfazione, che da qualche anno hanno cominciato a farlo. Squitieri, che a luglio compirà 73 anni, è amareggiato dall’inchiesta sull’Expo («Avevamo raccomandato vigilanza») e si inalbera solo quando respinge le accuse di una certa stampa dopo il collo- camento a riposo di alcuni magistrati in concomitanza con i tagli degli stipendi decisi dal governo.
Presidente Squitieri, tra campagna elettorale e riforme istituzionali si parla meno di spending review. Quanto può essere utile la Corte dei conti? Spending review non significa tagli lineari, bensì un tentativo di razionalizzazione della spesa. La Corte ha una visione a 360 gradi e, se si interpretano bene i nostri lavori, gli elementi di razionalizzazione ci sono tutti. Non a caso la Corte ha condiviso con il commissario Carlo Cottarelli materiale e analisi.
In quali settori è più urgente intervenire?
Le esenzioni da ticket sanitari e il settore dei trasporti pubblici, per esempio. Taluni enti di ricerca forse si potrebbero accorpare. I centri di spesa si sono moltiplicati per ragioni che spesso nulla hanno a che fare con scelte gestionali.
In Italia ci sono 30 mila stazioni appaltanti, troppe perché i controlli siano efficaci. La normativa europea ha portato a una legislazione di dettaglio divenuta talmente complessa che paradossalmente ha talora favorito la corruzione: il malaffare interviene dall’esterno delle procedure sulla base di «accordi» che precedono l’assegnazione degli appalti. Quanto al numero delle stazioni appaltanti, la Consip nacque proprio per tentare di arrivare a un centro unico di spesa, ma molto resta da fare.
Gli arresti nell’inchiesta sull’Expo di Milano confermano le preoccupazioni che la Corte espose nella relazione del luglio scorso sulla gestione 2011-2012: necessità di «massima vigilanza» e monitoraggio sulle procedure di affidamento. A quanto pare, non vi hanno ascoltato neanche stavolta. Nella relazione da lei citata, la Corte ha raccomandato la massima vigilanza mediante un attento monitoraggio sull’esecuzione delle procedure di affidamento, sia da parte della stessa struttura amministrativa della società-stazione appaltante che dei vari livelli di controllo, al fine di coniugare la legalità e la corretta gestione delle pubbliche risorse con l’altrettanto necessario rispetto dei parametri di efficienza per l’esecuzione delle opere essenziali alla realizzazione dell’Expo. Riflessioni che oggi lasciano l’amaro in bocca. Appoggiamo in pieno la decisione del governo di creare una task force per favorire la trasparenza in tutti i prossimi lavori. In ogni caso, la Corte intensificherà il suo lavoro di controllo. Il neonato Ufficio parlamentare per il bilancio, presieduto da Giuseppe Pisauro, dovrà controllare la copertura delle leggi di spesa come chiesto dall’Europa. Il governo avrebbe potuto assegnarvi questo compito anziché creare l’ennesima authority. La politica vi considera dei rompiscatole? In Francia, infatti, questo compito è stato affidato alla Corte dei conti. Una soluzione che avrebbe semplificato il quadro: l’Ufficio parlamentare può trovarsi in una situazione delicata tra uffici studi di Camera e Senato, esperti dei gruppi parlamentari e noi. La Corte, articolata sul territorio, svolge questo lavoro da anni con relazioni quadrimestrali per leggi statali e, dal 2013, anche regionali. Inoltre, è l’unico organo che può sollevare questioni di legittimità costituzionale in materia di rispetto del pareggio di bilancio. In ogni caso garantiremo collaborazione e sinergia.
Parliamo di comuni. Dai vostri dati emerge un aumento di quelli che rischiano il dissesto: difficoltà oggettive o incapacità degli amministratori? Sono quasi un centinaio i comuni in fase di predissesto, che chiedono cioè di essere ammessi a un piano decennale di rientro. Il piano è sottoposto alle valutazioni delle sezioni regionali della Corte e, in caso di bocciatura, si può ricorrere alle sezioni riunite. Capita, però, che qualche comune si rivolga al Tar sperando nella sospensiva: sarebbe opportuno che il legislatore estendesse espressamente la competenza della Corte a tutta la materia della contabilità pubblica.
Quali sono i buchi più preoccupanti?
Soprattutto due: i residui attivi e i debiti fuori bilancio. I primi si riferiscono talvolta a crediti incerti, addirittura risalenti agli anni 90, che le amministrazioni continuano a considerare esigibili per gonfiare avanzi e aumentare la spesa, se non addirittura per celare disavanzi reali. I debiti fuori bilancio sono un vero buco nero, un cumulo di passività che non traspare, ma c’è. L’esempio tipico è l’incarico di riparare una strada assegnato per ragioni di urgenza anche senza gara e in assenza di disponibilità economica.
Dai Comuni alle società partecipate il passo è breve. Il governo ne calcola 8 mila e il presidente Matteo Renzi vuole ridurle a mille in tre anni. Dai questionari che la Corte ha inviato agli oltre 8 mila comuni ne risultano attive quasi 6.400 su 7.500, perché 1.700 comuni vi dicono che non ne hanno. L’unica certezza è il caos.
Nate per offrire un servizio migliore e meno costoso, le partecipate sono talora diventate, dopo assunzioni di massa, megasocietà con gestioni farraginose. Basti dire che in taluni casi non si riesce a capire nemmeno con esattezza quanti sono i dipendenti dei gruppi: in alcuni grandi capoluoghi di regione si tratta di vere scatole cinesi costituite da società partecipate, a loro volta, da altre partecipate. Chi gestisce denaro pubblico dovrebbe essere sempre soggetto alla nostra giurisdizione, nonostante la giurisprudenza della Cassazione che, privilegiando la natura privatistica delle partecipate, ce le sottrae, facendo eccezione solo per quelle in house. Quali sono le conseguenze?
In caso di danno, spetta ai soci agire nei confronti di un proprio amministratore o di un dirigente, il che avviene raramente. Diverso sarebbe se il potere di agire spettasse sempre ai procuratori regionali della Corte.
E le regioni? Com’è la situazione?
Nella lotta agli sprechi serve una pazienza da montanaro e un occhio da chirurgo. Nella spesa sanitaria regionale ci sono buone notizie: tra il 2010 e il 2013 c’è stata una riduzione di oltre il 9 per cento, al netto degli interessi. La spesa in conto capitale si è ridotta di quasi il 19 per cento e quella corrente di quasi il 6: una contrazione senza precedenti. Riguardo ai rendiconti dei gruppi consiliari, il controllo della Corte non ha a oggetto somme ingenti, ma ha avuto un grande impatto sulla pubblica opinione con positivi effetti sui comportamenti. Spesso basta l’avvio di un’istruttoria per far cessare comportamenti potenzialmente dannosi.
Avete mai subito pressioni politiche?
Sono alla Corte da 43 anni e non ho mai subito pressioni. Chi fa controlli non è simpatico, non siamo la Chiesa che dà indicazioni morali, ma applichiamo la legge. Presidente, nelle scorse settimane Panorama ha pubblicato la notizia di 12 magistrati della Corte che hanno lasciato la toga in coincidenza con la decisione del governo di tagliare il tetto degli stipendi. In un’epoca di risparmi, alcuni commenti non sono stati teneri. Come replica?
Sono sdegnato con la campagna che alcuni giornali hanno condotto in maniera becera, quasi da querela. C’è chi ha scritto «fuggiti con il bottino», espressione infamante per una liquidazione maturata dopo 40 anni di lavoro da magi- strati prossimi ai 75 anni. Un modo subdolo per infangare quei colleghi e quindi la Corte. La maggioranza dei magistrati in media percepisce redditi largamente inferiori al tetto. Quanto costa la Corte?
Circa 300 milioni l’anno. Quanto vale il lavoro nel campo giurisdizionale in termini non solo di recupero di somme, ma anche di dissuasione? Quanto vale il lavoro di controllo annuale sui 700 miliardi di spesa e sui 420 miliardi di valore della produzione dei circa 300 enti controllati per conto del Parlamento? Quanto costerebbe non controllarli in termini di dissesti e sprechi? Su un organico di 607 magistrati, ne sono in servizio 426 tra centro e periferia. È evidente che la tutela degli equilibri della finanza pubblica, della correttezza e della razionalizzazione della spesa, e più in generale della lotta agli sprechi, richiederebbe un numero ben maggiore di magistrati.