Aldo Grasso, Corriere della Sera 15/5/2014, 15 maggio 2014
CHIAMBRETTI IN STUDIO È UN PO’ IMPACCIATO
Il primo giudizio su un programma lo dà il palinsesto. Se «Chiambretti Supermarket» va in onda a mezzanotte, significa che la rete nutre qualche perplessità, pur avendo messo a disposizione del conduttore un mega-studio, scenografie sontuose, coreografie, persino l’intervento scritto di Fulvio Abbate su Andy Warhol (Italia 1, tutti i giorni).
Il caso di Chiambretti è curioso: da quando si è intestardito a condurre un programma in studio ha perso tutta quella for- za innovativa che caratterizzava i suoi primi interventi. È come svuotato, impacciato, smarrito.
Forse non ha più alle spalle un Bruno Voglino che gli dica cosa fare, forse non è stato capace di costruirsi una efficace squadra di autori (dicono abbia il braccino corto), forse è in preda alle sue ossessioni. Il suo tormento (non ne fa un mistero) è non essere Fabio Fazio. Non la persona ma il ruolo che Fazio ricopre nella tv italiana. Il parlare continuamente di markette, il desiderio di «vendere» l’arte in tutte le sue forme e di allestire una telepromozione alla sua massima espressione, persino la classifica dei libri più venduti sono sintomi pesanti del suo assillo: guarda che anche tu, caro Fabio, fai solo markette. E se il brodo di coltura di Fazio è la sinistra politicamente corretta, quello di Chiambretti è il «mostruoso», è Cristiano Malgioglio, è il variegato discount del baraccone mediatico, è Belen che legge Dostoevskij, è il figlio di Salvador Dalì… C’è anche il momento in cui potrebbe riscattarsi, intervi- stando Ciro Immobile. Ma Chiambretti ci fa sapere che Ciro è in collegamento dalla sua pizzeria di Torino (sua di Piero) e la cosa non pare molto elegante. Se poi bisogna stare svegli per vedere Malgioglio che la tira in lungo per cantare «Malafemmina», beh forse è il caso di aspettare che in rete finiscano i momenti più riusciti senza perdere altro tempo