Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 15 Giovedì calendario

I SOLDI INVESTITI IN LUSSEMBURGO E LE MANOVRE PER LA CANDIDATURA


ROMA — Sono almeno quattro i canali di finanziamento che sarebbero stati utilizzati dal gruppo che fa capo ad Amedeo Matacena per riciclare il denaro proveniente da attività illecite. L’associazione criminale, accusano i magistrati di Reggio Calabria, effettuava investimenti da milioni di euro in Italia e all’estero per conto della ‘ndrangheta. Le tracce di questi flussi sono nelle centinaia di faldoni sequestrati dagli investigatori della Dia. E uno potrebbe essere passato dallo Ior, la banca del Vaticano, proprio grazie a Claudio Scajola e al suo amico Giovanni Morzenti, l’imprenditore bergamasco indagato a Roma con monsignor Gaetano Bonicelli proprio per aver utilizzato un conto della Santa Sede per occultare i propri soldi.
La foto a Roma con Gemayel
L’esame dei documenti trovati nelle abitazioni di indagati e arrestati è cominciato ieri. Tra le carte custodite a Villa Ninina, la dimora ligure dell’ex ministro dell’Interno, c’è una foto che ritrae Scajola con Amin Gemayel, l’ex presidente libanese che si sarebbe adoperato per agevolare lo «spostamento» del latitante Matacena. È stata scattata due anni fa in occasione di un incontro ufficiale avvenuto a Roma, ma i pm ritengono sia importante per dimostrare la conoscenza fra i due poi confermata con la lettera che lo stesso Gemayel ha inviato al «mio caro Claudio» per assicurare il proprio appoggio. Altre carte sono rimaste accatastate in un magazzino annesso alla villa, gli uomini della Dia hanno filmato i faldoni prima di sottoporli a sequestro e nei prossimi giorni dovranno controllarli anche per verificare se custodiscano fascicoli riservati risalenti all’epoca in cui Scajola guidava il Viminale.
I finanziamenti e la candidatura Ue
L’ex ministro è accusato di essersi messo a disposizione di Matacena favorendo le cosche e per questo è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. I pm si sono convinti che fosse però «portatore di un interesse autonomo» nell’ambito del gruppo, forse convinto di poter ottenere vantaggi anche politici, per esempio la candidatura alle Europee. Non a caso allegano al fascicolo processuale «la conversazione ambientale registrata nello studio dell’avvocato Paolo Romeo nel novembre 2002 durante la quale si spiega in modo chiaro la ragione per la quale l’organizzazione criminale ha necessità di disporre di parlamentari europei al fine di canalizzare gli enormi flussi di denaro che derivano dai contributi gestiti in sede comunitaria».
Romeo è indagato nell’inchiesta sfociata nell’arresto di Scajola e degli altri presunti complici. Inserito dai rappresentanti dell’accusa nel «sistema» che ruota intorno a Matacena e che, dopo la sua condanna definitiva a 5 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, avrebbe puntato proprio su Scajola. Scrivono i pm: «Scajola diviene, per la impossibilità di Matacena ad avanzare candidature in sede di elezioni europee, l’interlocutore destinato, in caso di elezione, ad operare su indicazione del primo nella gestione e destinazione dei “finanziamenti”». Sarebbe proprio questo il secondo canale di riciclaggio, mentre il terzo passa dalle società di Matacena, sia pur intestate fittiziamente ad altri.
I dubbi dell’avvocato e la mail Mps
Per dimostrarlo gli inquirenti allegano alla richiesta di arresto una relazione firmata dall’avvocato Giuseppe D’Ottavio, «soggetto direttamente interessato alle vicende societarie» che elenca alcune anomalie relative alla gestione delle aziende di Matacena anche relativamente al ruolo di sua moglie Chiara Rizzo. Non a caso i pm rimarcano come «il legale sospetta la presenza di soggetti occulti dietro l’assetto societario, ipotesi che la presente indagine conferma attraverso l’esito delle risultanze provenienti tanto dalle captazioni telefoniche sull’utenza francese, ora in uso a Chiara Rizzo, che dalle mail pervenute nella casella di posta elettronica in uso a Martino Politi», il factotum di Matacena.
La donna sarebbe diventata il perno di quel canale di riciclaggio verso il Lussemburgo, dove sarebbero stati effettuati alcuni investimenti, e Antigua, dove voleva fondare una nuova società insieme con Scajola. E per provare le «intestazioni fittizie», l’accusa esibisce una mail spedita il 27 novembre scorso da un funzionario di Mps ai fiduciari di Matacena: «Al fine di ottemperare alla normativa antiriciclaggio, e quindi poter indicare il titolare effettivo, della “Ulisse Shipping srl”, vi chiediamo di comunicarci la composizione societaria della vostra controllante e della eventuale catena di controllo sino ad arrivare alla individuazione di una o più persone fisiche che esercitano il controllo del gruppo. Poiché tale adempimento è fondamentale per il prosieguo del rapporto, vi chiediamo un riscontro nel tempo più breve possibile» .